L'ex bomber macedone Goran Pandev ai tempi dell'Inter con cui vinse il triplete, stagione 2009-2010
L’ex bomber macedone, 40 anni, di cui 22 passati tra Inter, Lazio, Napoli e Genoa, racconta la sua storia iniziata a Strumica dove ha fondato l’Akademija Goran Pandev è la leggenda vivente della Macedonia del Nord. Il 12 novembre, nel calendario del popolo macedone, 2 milioni di anime e poco più, è considerato festa nazionale: tre anni fa, in pieno Covid, con un suo gol a Tblisi la Macedonia del Nord battendo la Georgia si qualificò per la prima volta nella sua storia alla fase finale degli Europei del 2021, poi vinti dall’Italia di Roberto Mancini. Ma siamo partiti quasi dai titoli di coda della magnifica storia di questo “normal one” del pallone che a 18 anni arriva a Milano proveniente dalla natia Strumica (città di 80 mila abitanti) per diventare l’idolo della Nord, intesa come Curva dell’Inter, poi della Lazio e del Genoa. Sotto la Lanterna dove si è fermato a vivere con la moglie e i tre figli, è stato il penultimo approdo agonistico prima di appendere definitivamente gli scarpini al chiodo, nel 2022, nel Parma di Gigi Buffon. Una carriera da incorniciare, 788 partite, 188 gol dei quali 32 con la maglia della sua nazionale (l’ultimo all’Austria, a 37 aanni e 321 giorni) che da leader indiscusso e da miglior bomber di sempre ha guidato per 122 battaglie in campo.
Sarà un caso ma ora che Pandev non gioca più la Macedonia del Nord, avversaria questa sera dell’Italia che nel 2022 ha buttato fuori nelle qualificazioni ai Mondiali del Qatar, è già fuori dalla corsa agli Europei di Germania 2024.
Il gol di Trajkovski che nel 2022 vi ha sbarrato la strada per i Mondiali è già un ricordo lontano. La Macedonia del Nord ha perso il treno per i prossimi Europei perdendo contro l’Ucraina. Poi, certo, un girone così ostico e il cambio generazionale in corso non ci ha aiutati a confermarci come tre anni fa. Ma il vero problema è che abbiamo una federazione che fa solo politica e non sa niente di calcio. Da noi mancano le infrastrutture, i ragazzi non hanno campi dove allenarsi e giocare e i dirigenti cosa fanno? Niente, pensano solo a riempirsi le tasche di soldi e nessuno che fiata, tutti zitti, a testa bassa. A cominciare dal ct della nazionale, Blagoja Milevski, lui mi ha deluso, fa solo quello che gli dicono questi potenti che hanno messo in piedi una piccola “dittatura” del pallone macedone.
Il sempre mite Goran “alza la voce”, forse parla con piglio da futuro presidente della federcalcio macedone?
No, io mi tengo alla larga dalla politica. Per sostenere il mio Paese cerco di fare i fatti e non parole: sto costruendo campi di calcio e college dove i ragazzi possono studiare e fare sport. Tredici anni fa a Strumica ho aperto l’Akademija Pandev. Siamo partiti dalla quarta serie e ora siamo in serie A. La squadra in cui gioca ed è capitano mio fratello, l’attaccante Sasko Pandev, “parla italiano”: è allenata da Giovanni Valenti, il vice è Michele Cavalli che è stato il secondo di De Zerbi allo Shakthar Donetsk. La società è stata rilevata per il 90% dal Brera di Milano e una holding americana che hanno sposato appieno il mio progetto di calcio ed educazione ai valori dello sport. Abbiamo un settore giovanile con 300 ragazzi e 10 scuole calcio sparse per la Macedonia. Vedere queste nuove generazioni giocare e divertirsi è la mia più grande gioia. Loro mi fanno capire che grazie allo sport sono riuscito a realizzare qualcosa di buono e di importante.
Anche Eljif Elmas, il centrocampista della nazionale della Macedonia del Nord prima di arrivare al Napoli è passato dall’Akademija?
Il primo torneo in Italia contro Atalanta e Inter, Elmas lo ha disputato con l’Akademija Pandev, poi suo padre ha preferito tenerlo a “casa”, giocava nel Rabotnièki di Skopje, e non mandarlo a Strumica. Al Napoli è andato passando dalla Stella Rossa. Molti nostri ragazzi prima lasciavano presto la Macedonia per entrare nei settori giovanili dei club vicini, serbi o croati. Ora, l’obiettivo dell’Akademija è quello di crescere e formare i nostri talenti per poi mandarli preparati nelle migliori società del calcio europeo.
E il “predestinato” talento macedone Goran, nel grande club, l’Inter, come c’è arrivato?
Nel 2001 con il Belasica partecipo al Torneo di Viareggio, faccio la mia figura e Silvano Martina, ex portiere e procuratore che parla bene lo slavo riesce a convincere i dirigenti dell’Inter a scommettere sul sottoscritto. E così sono entrato nella Primavera nerazzurra.
L’Inter ci crede nella scommessa Pandev, ma intanto inizia a girarlo in prestito.
Con altri 7-8 giovani della Primavera dell’Inter vado in C, allo Spezia, allora società satellite della famiglia Moratti. Dallo Spezia mi girano all’Ancona e lì vivo un anno difficile con tanto di fallimento finanziario della società del presidente Pieroni. Però mi faccio conoscere e apprezzare e l’anno dopo per me si aprono i cinque anni fondamentali alla Lazio dove ho trovato un grande insegnamento, tattico e umano, nella persona di Delio Rossi che non smetterrò mai di ringraziare.
Alla Lazio trova anche la bandiera Paolo Di Canio e il padre patron, il senatore Claudio Lotito.
Ricordo che quando Di Canio tornò alla Lazio, a Formello i tifosi vennero in massa, come se fosse un pellegrinaggio per riabbracciare il loro idolo. Di Canio è stato il primo leader in campo con cui ho giocato. Con il presidente Lotito per quattro anni ho avuto un buon rapporto, lui ha fatto tanto per salvare la Lazio, al primo ritiro sembrava che tutto potesse finire da un momento all’altro per via dei debiti che aveva ereditato dalla precedente gestione. Poi l’ultima stagione, 20092010, mi ha messo fuori rosa ed è finita male. L’addio alla Lazio resta un dispiacere, specie per tutto l’affetto che avevo ricevuto dai tifosi. Io dico sempre che con l’Inter ho vinto tanto, ma le partite più belle ed emozionanti, a cominciare dai derby con la Roma, le ho giocate con la maglia della Lazio.
Però all’Inter ha vinto il “triplete”, è salito sul tetto del mondo ed è stato allenato da José Mourinho.
L’Inter era il mio destino e la riprova che nella vita ci vuole anche un po’ di fortuna, lo dimostra il fatto che quando torno in nerazzurro arrivo a gennaio e dopo sei mesi di stop forzato, gioco e vinco tutto. Mourinho è il mister più carismatico che ci sia, uno che ti parla sempre in faccia e che sa caricarti come pochi al mondo, prima e dopo un match. Quell’anno magico appena entro nello spogliatoio mi dà piena fiducia, mi getta in campo e disputo tutte le partite più importanti, finale di Champions compresa al Bernabeu contro il Bayern Monaco... Che emozione! È stato un onore fare parte di quella squadra campione d’Europa e del mondo in cui c’erano attaccanti formidabili come Eto’o, Milito e Balotelli.
“Super Mario” Balotelli, forse il più grande talento inespresso e anche il più bersagliato dai cori razzisti che comunque non hanno risparmiato neanche Goran Pandev…
Mario ha avuto in dono da Dio tutte le doti fisiche e tecniche per diventare un n.1 del calcio mondiale, ma non ha saputo sfruttarle e oggi nonostante giochi ancora parliamo di lui con rimpianto. A Mario davano del “negro” e a me dello “zingaro”, ma in campo siamo stati sempre più forti degli insulti. Personalmente, sia quando mi arrivavano dai tifosi o dagli avversari, mi caricavo ancora di più e come risposta facevo gol più facilmente... Purtroppo il razzismo è una forma di ignoranza diffusa nella società e il mondo del calcio è costretto a subirla, da sempre.
Il calcio adesso deve subire anche la piaga delle scommesse: l’ultima frontiera è quella delle puntate online dei calciatori di Serie A.
È un fenomeno specchio dei tempi. Quando sono arrivato in Italia per telefonare a casa ai miei genitori in Macedonia andavo alla cabina e forse era meglio allora... Mi è dispiaciuto tanto leggere le storie dei ragazzi coinvolti nella vicenda e spero che questa brutta pagina giudiziaria si chiuda presto e per il meglio. Ho molto apprezzato la Juventus che ha prolungato il contratto di Fagioli fino al 2028, ha fatto bene il club ad aiutare un ragazzo che i dirigenti bianconeri conoscono meglio di noi e hanno capito che va recuperato quanto prima come persona e poi come calciatore.
Torniamo al calcio giocato e Italia-Macedonia del Nord: come vede il gruppo azzurro?
È un momento di passaggio anche per l’Italia. Io ho avuto la fortuna di confrontarmi con fuoriclasse come Del Piero, Totti, Pippo Inzaghi, Pirlo… Oggi di talenti azzurri paragonabili a quei fuoriclasse non se ne vedono. Mancano gli attaccanti? Quelli che ci sono, tipo Raspadori, al Napoli, spesso fanno panchina. Al Genoa ho avuto come compagno Scamacca: in allenamento gli ho visto fare delle cose fenomenali, poi però la partita è un’altra cosa, ma la sicurezza nei propri mezzi e l’esperienza te la dà solo la continuità, se ora all’Atalanta gioca titolare quelle doti importanti alla lunga verranno fuori. La Nazionale ha comunque un grande ct, Spalletti è uno che mi sarebbe piaciuto averlo come allenatore e quello che ha fatto a Napoli, dove ho giocato dal 2011 al 2014, è stato straordinario, perché siamo sinceri, l’Inter era più forte.
Sono due stagioni che tutti dicono che l’Inter è più forte ma poi lo scudetto lo vincono gli altri…
Infatti, possiamo anche dire che l’Inter ne ha “regalato” uno al Milan e l’altro al Napoli, anche se quello vinto da Spalletti è stato un successo più netto. Quest’anno l’Inter non può sbagliare, ha un Lautaro Martinez da Pallone d’Oro e comunque la squadra vista nella finale di Champions con il Manchester City era già su questa strada. Io a Istanbul c’ero e ho visto una formazione che ha tenuto testa fino alla fine al City di Guardiola. Se Lukaku avesse segnato quel gol... beh adesso saremmo qui a raccontare un’altra storia.
La storia di Pandev oltre al calcio racconta di tanto impegno nel sociale sostenuto dalla fede.
Sono un credente, Dio mi ha aiutato a superare i momenti difficili, specie quelli in cui vivevo lontano dai miei genitori. Dio mi ha dato una moglie, Nadica, che ha fatto tanti sacrifici per stare vicino a un calciatore che vive sempre con la valigia pronta e non ha mai il tempo necessario per dedicarsi alla famiglia e ai figli. Ora sto recuperando con i miei tre ragazzi, Filippo - non gioca a calcio fa scherma qui a Genova - Ana e Sofia. Credo di essere un padre attento e affettuoso, e lo stesso affetto ho cercato di trasferirlo nel calcio e nell’Akademija in cui sono entrati anche alcuni di quei bambini rimasti orfani che ho seguito da vicino in questi anni...
Qual è il sogno ancora da realizzare?
Il mio sogno è veder crescere bene i miei figli e continuare a fare del bene agli altri, anche attraverso il calcio. Però come ha detto qualcuno: il bene va fatto ma non c’è bisogno di andare a raccontarlo in giro.