Raffaele, detenuto, e quel "sì" di Patrizia sul sagrato di San Pietro

L'uomo sconta due condanne a 30 anni. Al Giubileo dei carcerati ha chiesto alla compagna di sposarlo in chiesa
December 27, 2025
Raffaele, detenuto, e quel "sì" di Patrizia sul sagrato di San Pietro
La richiesta di matrimonio di Raffaele a Patrizia in Piazza San Pietro
Sul sagrato della Basilica di San Pietro un uomo si inginocchia davanti alla sua donna e le porge un astuccio con un bellissimo anello. Pronuncia parole che arrivano da una storia lunga e commovente: «Sono la tua croce da cinquant’anni, tu sei da sempre la mia resurrezione». Accanto a loro un gruppo di amici sorridono, applaudono, gridano «Viva gli sposi!». Una scena inconsueta e sorprendente accaduta pochi giorni fa, domenica 14 dicembre, al termine della Messa celebrata da papa Leone XIV per il Giubileo dei detenuti, al quale Patrizia e Raffaele - questi i nomi dei due protagonisti - avevano partecipato nella basilica di San Pietro. Lei, del tutto ignara del dono che avrebbe ricevuto, era arrivata da Napoli, lui da Milano con il permesso dal magistrato di sorveglianza, e si sono dati appuntamento in San Pietro. Da nove anni Raffaele è detenuto nel carcere di Opera dopo essere stato recluso in vari penitenziari: sulle spalle porta due condanne a trent’anni (di cui quaranta già espiati) e un passato costellato di reati consumati nella sua Napoli, dove era diventato celebre per l’abilità con cui penetrava nei caveaux delle banche e delle gioiellerie per portare a segno i suoi colpi.
La famiglia di Raffaele è originaria del rione Forcella, ma lui appena nato conosce il carcere, la madre infatti lo allatta a Poggioreale dove si trova rinchiusa per una condanna. «A casa mia regnava la miseria – racconta –. Dovevo procurare il pane per me e i miei fratelli, per questo già da bambino ho cominciato a delinquere e sono finito in riformatorio, da dove sono fuggito ma dove mi hanno riportato. La mia è stata un’infanzia negata». Poi, da maggiorenne, ha inanellato una catena di reati fino a quando l’hanno pizzicato ed è finito in carcere da dove usciva ed entrava, sempre seguendo strade sbagliate. Oggi ha 67 anni, due terzi della vita li ha passati in cella e lei, Patrizia, gli è rimasta sempre fedele compagna. «Dal nostro amore, nei brevi periodi di libertà, sono nati cinque figli, oggi ho dieci nipoti e da due anni sono pure bisnonno. Nel 1985 ci siamo sposati civilmente, ora vogliamo consacrare il nostro legame davanti a Dio, ho scelto il giorno del Giubileo dei detenuti per regalarle l’anello. Patrizia per me è proprio un dono della Provvidenza, ha cresciuto i nostri figli facendo da madre e da padre. Tutti si sono laureati e lavorano, grazie al Cielo non hanno seguito le mie orme».
Raffaele sostiene che, a suo modo, è sempre stato credente. A suo modo, appunto: «A Dio mi raccomandavo perché andassero a segno le mie imprese criminali, era una fede malata. Poi è stato Lui a prendere l’iniziativa e ho scoperto la fede, quella vera, soprattutto grazie ai volontari che ho conosciuto in carcere e che mi hanno accompagnato sulla strada del cambiamento. Loro sono i miei angeli custodi».
Al Giubileo dei detenuti è arrivato in compagnia dei volontari di Incontro e Presenza, una realtà che opera da molti anni nelle carceri milanesi e che lo aveva invitato all’evento insieme ad altri reclusi. Durante la detenzione la sua vita ha preso una direzione nuova: ha completato gli studi superiori, si è iscritto al corso di laurea in Scienze dei beni culturali e tra poche settimane discuterà la tesi. «La cultura mi ha aperto la mente, mi ha dato gli strumenti per conoscere e giudicare. Vivo in carcere da tanti anni ma ora sono un uomo libero, la fede e la cultura mi hanno fatto evadere». Raffaele fa parte della redazione di “Cronisti in Opera”, un giornale scritto dai detenuti del penitenziario milanese, nell’ultimo numero ha firmato quattro articoli, uno dei quali racconta la sua partecipazione, insieme ai volontari, al pellegrinaggio a piedi da Milano a Trivolzio, dove sono venerate le spoglie di Riccardo Pampuri, medico dei Fatebenefratelli morto a 33 anni e proclamato santo da Giovanni Paolo II: «Ha molte somiglianze con Giuseppe Moscati, veneratissimo a Napoli, anche lui santo e medico e molto attento alla condizione dei poveri. Per questo stanno entrambi nel mio cuore».
Non c’è solo la “sorpresa dell’anello” che ha reso speciali le giornate romane di Raffaele: dopo avere ascoltato la sua testimonianza durante un incontro organizzato alla vigilia del Giubileo dai volontari di Incontro e Presenza, Antonio - un uomo rimasto vedovo da alcuni anni - ha deciso di regalargli la sua fede nuziale perché lo accompagni nel cammino. «La mia l’avevo persa in carcere – sorride Raffaele –: mi ha commosso quel dono inatteso, ricevuto da una persona che neppure conoscevo e che mi ha fatto sentire ancora più vere le parole che il Papa ha detto durante la Messa del Giubileo: “Il Signore è vicino, cammina con noi e, con Lui al nostro fianco, sempre qualcosa di bello e gioioso accadrà”. È accaduto, ed è il regalo di Natale più bello che potessi immaginare

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