Armida Barelli - archivio
È “Donne” il tema della 19ª edizione del Festival internazionale èStoria, in corso a Gorizia da lunedì e che si concluderà domenica 28. Durante le giornate del Festival si alternano dibattiti, presentazioni di libri, spettacoli, mostre, proiezioni e racconti di testimonianze. Obiettivo delle giornate, spiega il curatore e ideatore della rassegna Adriano Ossola è «comprendere le contraddizioni più profonde di una società sull’orlo estremo di una crisi d’identità» Contestualmente è in corso la terza edizione dell'èStoria Film Festival
“Niente sarebbe stato possibile senza di lei”. Parole sorprendenti per una donna vissuta tra fine ‘800 e metà ‘900, quando le donne non ricoprivano ruoli di rilievo, non votavano, raramente studiavano. Se poi a dirle fu padre Agostino Gemelli, uomo che dentro e fuori la Chiesa soppesava giudizi ed elogi, hanno un peso maggiore. Ma Armida Barelli ha davvero cambiato il mondo in cui si è mossa, stravolgendo il presente e impostando il futuro delle donne italiane.
Eppure non ci sono piazze né monumenti a ricordarla, solo una piccola aula dentro l’Università Cattolica (forse la sua più grande rivoluzione, l’idea in cui credette quando tutti, persino gli stretti collaboratori, vacillavano di fronte all’utopia): per questo uno degli incontri più originali di èStoria 2023, il Festival culturale di Gorizia arrivato alla XIX edizione e intitolato quest’anno proprio “Donne”, è quello dedicato ad Armida Barelli (sabato 27 maggio, ore 18), organizzato in collaborazione con Azione Cattolica Gorizia. A delineare la sua straordinaria leadership al femminile sarà la teologa Barbara Pandolfi, studiosa della Barelli e vicepostulatrice nella causa che l’ha vista beatificata il 30 aprile dello scorso anno da papa Francesco.
Professoressa Pandolfi, in un’epoca in cui o ci si sposava o si entrava in convento Armida Barelli si inventò la via della consacrazione nel laicato; quando nessuna ragazza viaggiava da sola lei percorreva l’Italia per “reclutare” le giovani a un cristianesimo impegnato nella vita sociale e politica; addirittura formò le poche donne che entrarono nella Costituente dopo la guerra e il fascismo… Insomma, donna modernissima per i suoi tempi, lo sarebbe anche per i nostri.
Nata in una famiglia della borghesia milanese lontana dalla fede, Armida intuisce che i tempi sono maturi per un’esperienza diversa per le donne, e lo coglie attraverso l’ascolto profondo delle esigenze che emergono dalle giovani che incontra in tutta Italia. All’inizio del ‘900 vuole donne capaci di dire la propria parola in ogni ambiente, una parola che sappia cambiare la società sia all’interno della famiglia, dove le ragazze sono ancora “tutelate” dentro le mura domestiche dal padre e poi dal marito, sia fuori, dove le sprona a essere protagoniste autonome. E questo straordinariamente lo fa anche nella Chiesa, dove nessuno dei tre pontefici con i quali lavora – Benedetto XV, Pio XI e Pio XII – si immagina che nascerà da lei un movimento forte come la Gioventù Femminile dentro l’Azione Cattolica Italiana, fino ad allora solo maschile. Armida percorre l’Italia con ogni mezzo, sui treni in III classe, ma anche con carrozze e carretti, “sono diventata una zingara per Dio”, dice di sé.
E’ Benedetto XV nel 1918 a dire ad Armida “la sua missione è l’Italia”. Fatta l’Italia doveva fare gli italiani, insomma?
Lei gli italiani li farà davvero, con un sincero sentimento di amore patriottico. Li farà unendo le donne d’Italia come sorelle sotto un unico ideale. Ma Benedetto XV con queste parole la invita a smettere di sognare il convento e le missioni all’estero, perché il papa ha intuìto che la sua missione di laica è qua. Dietro c’è l’idea di impegnare le sue energie per questo Paese travagliato dalla prima guerra mondiale e poco dopo dal fascismo. Armida aderisce al progetto, fa voto di povertà, castità e obbedienza ma vissute nel mondo, senza uscire dall’operatività. Grazie alla conoscenza delle lingue partecipa a diversi incontri delle Leghe femminili europee, porta le sue giovani fino in Terra Santa, cosa del tutto straordinaria negli anni ‘30, ha uno sguardo aperto sul mondo.
Un milione e mezzo di ragazze la seguono. Oggi sarebbe un’”influencer”.
Erano donne che andavano ad annunciare il Vangelo, ma anche gli ideali sociali: molte della Gioventù Femminile entrarono a far parte dei sindacati e dei movimenti che incisero profondamente nella vita reale degli italiani, tenevano testa ai vescovi e alle autorità politiche.
L’esempio più forte è il legame di Armida con padre Gemelli. Che rapporto c’era tra loro?
Alla pari. Non è la sua guida spirituale, è un grande amico e suo collaboratore, la persona che nella reciprocità dona e riceve. Dona ad Armida l’intuizione iniziale di un modo nuovo di essere cristiana, che va oltre le devozioni, e la introduce nell’attività lavorativa di apostolato, ma nello stesso tempo riceve da lei il coraggio di osare ciò che da solo non avrebbe mai osato, la stessa nascita dell’Università Cattolica, e più in generale il coraggio di “camminare”. Tant’è che nel testamento di Armida lei scrive chiaramente a padre Gemelli “non smetta, padre, di occuparsi delle opere”, teme che, morta lei, Gemelli si senta incapace di continuare l’immenso lavoro, e allo stesso tempo gli ribadisce di avere a cuore il suo cammino spirituale. È veramente una relazione innovativa, un esempio che le sue ragazze porteranno nella Chiesa affiancando i ragazzi nell’Azione Cattolica.
Chi era Agostino Gemelli all’epoca in cui riceveva da Armida il sogno apparentemente irrealizzabile di fondare una università cattolica?
Era stato un giovane socialista ed era un medico molto conosciuto a Milano. Improvvisamente si convertì ed entrò nei frati minori, e i giornali stigmatizzarono questo fatto come se un’intelligenza si fosse suicidata. Come frate, invece, rimarrà uno scienziato e nello stesso tempo darà vita ad alcune istituzioni come Vita e Pensiero, “focolaio di studi e ricerche” dell’Università Cattolica (che poi avrà come amministratore unico proprio la Barelli) e la diffusissima “Rivista di filosofia neoscolastica”. Armida lo incontra nel 1910, dopo la conversione avvenuta nel collegio svizzero d’élite in cui i genitori l’avevano mandata a studiare: lo cerca perché il papà è morto senza chiedere i sacramenti e lei, ancora legata a una religiosità tradizionale, ha paura che anche i fratelli non tornino alla fede. È un incontro straordinario: “Smetta di tormentarli, piuttosto proponga loro delle letture e, come offerta al Signore per la loro conversione, venga a lavorare con me alla Rivista di filosofia”, la provoca Gemelli, che ne intuisce il genio.
Eppure non è laureata…
È donna di grande cultura, lo si evince dagli, ma a differenza dei fratelli maschi non viene avviata a studi universitari. Altro segno dei tempi. Pensare che alla morte del padre, quando l’azienda ha un tracollo, è Armida a prenderne le redini, a recuperare il dissesto finanziario e permettere di non licenziare gli operai.
È corretto definirla femminista?
Ha cambiato la situazione delle donne, ma non apparteneva a quel mondo che teorizzava un cammino di liberazione: lei lo ha vissuto, senza mai estremizzare nulla. Il suo obiettivo era formare le donne del domani alla partecipazione attiva e la sua forza sono state quel milione e mezzo di ragazze che incredibilmente l’hanno seguita contro tutto e tutti.
Un’azione altamente politica.
Quando le donne nel 1946 e poi nel 1948 furono per la prima volta chiamate al voto, si assunse il compito di viaggiare per tutta Italia: c’era bisogno di indirizzarle a un’autonomia di pensiero, non dovevano votare per forza come il marito o il padre. Grazie a lei in Italia alcune furono elette come sindaco o, appunto, fecero parte della Costituente.
Oggi abbiamo largo Gemelli, Policlinico Gemelli, via Necchi, aula Lombardo, aula Olgiati… tutti cofondatori della Cattolica. Largo Barelli o Policlinico Barelli non sarebbe più giusto?
Gemelli nel suo testamento scrive chiaro che niente sarebbe nato “senza l’intelligenza soprannaturalmente ispirata della signorina Barelli” e raccomanda che in futuro si avvii la sua causa di beatificazione, usando un’espressione per l’epoca molto forte, “una persona che ho molto amato”. Ma Armida è stata cancellata proprio a causa del suo agire troppo innovativo, alla pari con uomini di altissimo livello. Si è preferito accentuare una battuta che lei diceva di sé, definendosi “la cassiera dell’Università Cattolica”, la “Marta” che trova le risorse. La realtà è che per avviare la fondazione della Cattolica occorreva un milione di lire e lei lo ha trovato! Soprattutto ha dato a tutti gli uomini che la circondavano la forza per portare avanti questo sogno a lungo accarezzato dai cattolici italiani, quando lo stesso padre Gemelli era preoccupato per l’immane compito. Gemelli, Necchi, il conte Lombardo ascoltavano il giudizio di questa donna e seguivano le sue indicazioni, anche davanti al papa.
È morta nel 1952. Da allora che percorso hanno fatto le sue istanze dentro la vita ecclesiastica?
Nonostante il Concilio Vaticano II, che ha fatto ipotizzare una entusiastica rivoluzione, oggi esiste un laicato meno preparato e appassionato. Il suo milione e mezzo di giovani portavano nella Chiesa la loro voce di laiche ante litteram, oggi si fa fatica, non a caso papa Francesco sollecita con forza una Chiesa sinodale, termine che applicato ai giorni di Armida sarebbe antistorico, ma quella che lei faceva vivere alle sue giovani era assolutamente una chiesa sinodale, dove ciascuna si sentiva responsabile, partecipe e protagonista. Non era affatto scontato, in un’epoca in cui la spiritualità era ancora devozionale e si andava a messa spesso senza comprendere nulla: da appannaggio del clero la chiesa diventava la casa di tutti. Il suo è uno sguardo aperto al mondo. Pensi che alla fine della sua vita, quando la malattia degenerativa le ha già tolto l’uso della voce, accoglie nell’Istituto delle missionarie della regalità alcune donne statunitensi che, venute a conoscenza di questo istituto laico, chiedono di partecipare dagli Stati Uniti. È curioso vedere come Armida e padre Gemelli in quell’occasione preparano le altre componenti, “vedrete arrivare donne molto truccate, con orecchini vistosi e capelli tinti, ma non giudicatele, ogni persona deve vivere come laica nella propria cultura”. Concetti decisamente moderni.
E le opere della Barelli esistono ancora tutte.
Eclatante è il caso delle suore cinesi dello Shanxi: Benedetto XV chiede alla Barelli di cercare risorse per la missione del francescano Eugenio Maffi in Cina e la Gioventù Femminile trova gli aiuti che servono. Progressivamente nasce in alcune ragazze cinesi il desiderio di diventare suore e Armida in onore del papa gli intitola l’“Istituto Benedetto XV”, costituito solo da suore autoctone, innovative come lei: le francescane cinesi non solo annunciano il Vangelo, ma distribuiscono sacramenti, in particolare il battesimo. Abbiamo le lettere di queste giovani che fino al 1958 scrivono alla Gioventù Femminile. Poi arriva la rivoluzione culturale e tutti gli istituti religiosi vengono sciolti, le francescane sono perseguitate e inviate lontano nell’interno della Cina. Quando la situazione migliora ricominciano a riunirsi, non hanno più le case ma ricordano bene la loro origine, e oggi sono ancora uno degli istituti religiosi più fiorenti della Cina.