Una scena del film "L'esorcista del papa" con Russel Crowe - © 2023 CTMG / Sony Pictures
Difficile dire cosa si pensi di un simile film senza cadere nell’errore diabolico della denigrazione. Certamente, quantunque più volte citato nelle titolazioni di testa e di coda, don Amorth non c’è. Del resto se ci fosse, chi ne ha conosciuto l’ironia e il senso dell’umorismo lo sa bene, a conclusione della pellicola si guarderebbe indietro e si farebbe una bella risata. Roba da ridere, insomma. Come del resto ridevano ieri in sala alcuni dei giornalisti di testate specializzate durante la proiezione in anteprima, perché L’esorcista del papa, con Russell Crowe nelle vesti (si fa per dire, vista l’assoluta mancanza di affinità nel fisico, nei modi, nel parlare e nell’agire) di don Gabriele Amorth e Franco Nero in quelle di un fantomatico Papa con la barba (dei nostri tempi o rinascimentale?). Un Papa amico “pappa e ciccia” con l’esorcista-Crowe, in un film destinato a uscire oggi nelle sale dopo essere stato annunciato da una pioggia di trailer, molto efficaci nel dare inconsapevolmente il giusto peso splatter all’opera del regista australiano Julius Avery.
Un film da ridere, ma che può inquietare, certamente, perché è costruito a questo scopo. Un film che non ha davvero niente a che fare con l’esercizio del ministero dell’esorcista che è, prima di tutto, ministero di misericordia e testimonianza dell’amore di Dio per le sue creature. E poco ha a che fare col diavolo e con la sua rarissima (per stessa ammissione dell’esorcista-Crowe in una delle poche battute attribuibili al vero don Amorth) azione diretta sugli esseri umani: che se fosse così eclatante, molesta e visibile come lo è nel film avrebbe automaticamente perduto tutta la sua capacità di fascinazione nell’ombra, oltre che quella di condizionare, purtroppo, le vite delle persone e non solo di queste. Splatter, quindi, e inattendibile. Non a caso sono queste le parole utilizzate dall’Associazione internazionale degli esorcisti in un post scritto proprio a commento del trailer e che alla luce (si fa per dire visto il buio costante in cui si muove il film) della visione completa non può che essere confermato. Tanto più che il personaggio di Crowe ricorda davvero (come denunciano gli stessi esorcisti) il gladiatore che lo ha reso celebre e col quale nel 2001 ha vinto l’Oscar.
Il gladiatore, ma anche un supereroe della Marvel, per tornare ai commenti a fine proiezione. Un supereroe con tanto di armi simboliche e spirituali (si fa sempre per dire) che combatte strenuamente un male preponderante e alla fine, dopo essere stato sull’orlo della sconfitta, riesce ad averne ragione. Il tutto in un profluvio di boati, urla, rumori inquietanti, fiammate, esplosioni, sangue, volti orrorifici e dolore a profusione in stile Apocalypse Now o Full Metal Jacket in cui quando tutto finisce, come nel miglior western, l’esorcista-Crowe porta la mano sotto la talare per estrarre una fiaschetta con cui condividere un sorso di whisky col pretino (Daniel Zovatto) che l’ha aiutato nella battaglia. E che questo sia il vero riferimento culturale della pellicola lo testimoniano alcune battutecitazioni che rievocano Rambo, del tipo: «io sono la tua più grande paura» o «io sono la tua sconfitta ».
Per quel che poi riguarda le citazioni la migliore di tutte, si fa sempre per dire, è attribuita all’Apocalisse in cui, sostengono vari personaggi nel film, sarebbe indicato il numero di «duecento angeli caduti». Affermazione che è invece tratta dall’apocrifo libro di Enoch. L’apocalisse è comunque presente qua e là, come per esempio nel pozzo in cui si svolge gran parte dell’azione finale che richiama il «pozzo dell’abisso » con tanto di «chiave» necessaria all’esorcista-Crowe-Indiana Jones (c’è anche una mappa, e come potrebbe non esserci?), per accedere al luogo in cui si annida il demonio.
Ma veniamo alla trama, quanto meno per svelare nella sua interezza il meccanismo cinematografico messo in piedi da Avery, che si avvale dei consueti luoghi comuni sulla Chiesa cattolica: dall’inquisizione al complottismo in stile Codice da Vinci al papa che crede di essere Dio in terra, ai cardinali che negano l’esistenza del diavolo agevolandone l’azione, ai loschi maneggi, diavolerie, stupri di giovani donne in Vaticano (vago riferimento a noti fatti di cronaca) e, strano, mancano i templari. L’anno è il 1987. L’esorcista-Crowe viene inviato dall’amico Papa-Nero (il bianco accecante del vestito papale è l’unico chiarore dell’intero film) a «indagare» su un brutto caso di possessione che si sta verificando in un ex monastero in Castiglia. La struttura abbandonata da decenni è stata ereditata da una donna con i suoi due figli, maschio e femmina, che la vanno ad abitare mentre è in corso il restauro. I poveretti non sanno che quel monastero è abitato dal demonio Asmodeo con la sua legione (nel film non si parla mai di demòni, ma sempre di dèmoni) che sul finire del Quattrocento si era impossessato del corpo dell’influente esorcista della casa reale attraverso il quale aveva influenzato la regina Isabella e scatenato l’Inquisizione spagnola.
Risvegliato dai lavori il dèmone si impossessa del giovane figlio minacciando tutti di morte, con una serie di effetti speciali che, visti i tempi nuovi, fanno impallidire L’esorcista. Crowe arriva al monastero castigliano a cavallo di una vespa. Qui incontra il giovane prete che, suo malgrado, diventa l’aiutante venendo messo a nudo nei suoi peccati dal démone che scruta anche le debolezze dell’esorcista-Crowe, che viene a sapere che Asmodeo lo vuole usare per agire in Vaticano come aveva fatto con l’esorcista alla corte di Isabella. La battaglia è cruenta, lo abbiamo detto, mentre in Vaticano il Papa viene a sapere delle oscure presenze castigliane da alcuni antichi libri che gli svelano il mistero, al punto da esserne coinvolto a distanza. Così coinvolto che a conclusione del film viene il dubbio che forse il diavolo si sia davvero impossessato, di lui e, chissà?, dell’intera pellicola. Quando infatti l’esorcista-Crowe col prete spagnolo torna vittorioso, si esibisce in un paio di battute ridicole e sospette, si fa sempre per dire. All’amico super eroe dice: «Hai messo a segno un punto importante per la nostra squadra». Poi al momento del commiato, riprende una frase più volte rivolta come ingiunzione al dèmone dall’esorcista-Crowe: «Riconosciti inferiore a Dio», quindi porge ai due preti l’anello da baciare.
E don Amorth? Totalmente assente, con la sua fede, il suo amore per Maria, la sua serenità acquisita ai piedi dell’Eucaristia, il suo sorriso, la sua pelata, le sue ironie gentili, il suo volto accogliente e pronto all’abbraccio, la sua capacità di portare la luce di Cristo facendosi strumento di consolazione e misericordia con persone devastate da un male spirituale il cui abisso da sanare il film di Avery, con tutti i suoi effetti speciali, nemmeno sfiora e assolutamente non comprende.