martedì 24 settembre 2024
Il nuovo libro del prete-scrittore prende in prestito le parole dei grandi scrittori per raccontare il cammino che ognuno di noi compie dalla nascita alla morte, al di là dello scorrere del tempo
Don Paolo Alliata

Don Paolo Alliata - archivio

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Pubblichiamo il prologo del nuovo libro di Paolo Alliata L’avventura umana. Quando la letteratura accompagna il nostro cammino, in uscita il 24 settembre per Mondadori (pagine 204, euro 18,00). Prendendo in prestito le parole dei grandi scrittori, don Alliata accompagna il lettore in un’esplorazione profonda e illuminante del cammino che ogni essere umano compie dalla nascita alla morte, un’avventura che non si esaurisce nel semplice trascorrere del tempo, ma che vuole conferire significato e direzione alla nostra esistenza. Nonostante i tempi cambino, infatti, la letteratura di ieri e di oggi offre un supporto prezioso nell’affrontare questioni esistenziali come la difesa della libertà e del bene comune, il confronto intergenerazionale, la responsabilità verso gli altri, la verità e l’ineluttabile esperienza della morte. Passando da Remarque a Umberto Eco, da Van Gogh a Tolstoj, Alliata ci guida in un viaggio letterario toccante e inedito ai confini tra terra e cielo. Alliata, sacerdote ambrosiano, è autore di numerosi saggi che indagano il rapporto tra pittura, letteratura e spiritualità. Tre dei quali sono usciti proprio quest’anno: La voce leggera delle pagine. Intrecci di letteratura e spiritualità (Àncora), Vento e sorgente (Centro ambrosiano) e L’amore fa i miracoli. Tra le pagine dei grandi romanzi (Ponte alle Grazie).

In che cosa consiste l’avventura umana, il viaggio a cui ciascuno di noi è chiamato fin dalla nascita? Nell’accumulare semplicemente il tempo, giorno dopo giorno, o nel dargli un senso, una direzione, un significato? L’avventura di diventare umani. Che cosa si intende di preciso? Qual è il significato profondo di questa espressione? Ognuno è esistenzialmente impegnato a rispondere, e lo sta già facendo, che ne sia consapevole o meno. La visione cristiana delle cose suggerisce che si tratta di diventare pienamente quel che siamo, incarnarci nella nostra identità di figli e figlie di Adamo, assomigliare un po’ di più a Colui che è il più umano dei figli di Adamo, quel Gesù di Nazareth che si lasciava chiamare figlio dell’Uomo, lui, figlio di Dio, e che in quel binomio − uomo e Dio − non vedeva una contrapposizione, semmai una realizzazione, una compiutezza, via e meta del viaggio. È un modo per dire che la vita merita davvero di essere vissuta, perché è un’opportunità ricca e degna di tutto l’impegno. Come recita quell’aforisma impropriamente attribuito a Chesterton: «La vita è la più bella delle avventure, ma solo l’avventuriero lo scopre». Nei capitoli di questo libro affronteremo alcuni degli snodi fondamentali del cammino di ognuno di noi, del percorso di vita che ci caratterizza: l’evoluzione, l’indipendenza, la ricerca della libertà, il confronto tra generazioni, la questione della verità, l’esperienza del morire come cruciale passaggio esistenziale. Concluderemo con un capitolo dedicato a Pinocchio, che riassume per intero l’avventura umana nel suo germogliare da tronco inanimato per poi crescere e affermarsi come bambino in carne, ossa e spirito.

Il grande Gianni Rodari ci ha regalato, tra gli altri, quel piccolo tesoro che è il racconto intitolato “La strada che non andava in nessun posto”. «All’uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto». Martino è un bimbo curioso e dal piglio esplorativo, per restare in tema di avventurieri. Dove va la terza strada? domanda un po’ a tutti. E quelli a cercare di farlo star buono: non va da nessuna parte, non l’ha mai percorsa nessuno, è sempre stata lì… Martino però non si accontenta di risposte di circostanza, non è disposto a lasciarsi anestetizzare dalla banalità imperante. Gli danno il nomignolo di Martino Testadura, perché non si arrende al tran tran degli adulti senza curiosità. Martino è l’immagine di chi vede quel che gli altri non vedono. Gli abitanti del paese hanno tutti i giorni la terza strada davanti agli occhi, ma non se ne accorgono. Nella Bibbia chi vede sotto la superficie, chi scorge le cose nascoste ai più, è il profeta oppure il sapiente, che la Parola del Signore istruisce. Diventiamo umani quando ci lasciamo raggiungere e destare dalla Parola a riconoscere quel che c’è, a non perdere per strada l’essenziale. Vale anche rispetto alle persone: lo sguardo è davvero umano quando sa scorgere gli invisibili, quelli che nessuno vede o vuol vedere, gli scartati, i messi da parte. Vien da pensare a quanti incontri di questo tipo sono raccontati nei Vangeli, con Gesù che si ferma ad ascoltare e a dar parola a mendicanti, vedove senza risorse e pubblici peccatori stizzosamente evitati dai più. E allora eccolo lì, Martino l’intrepido, che affronta la strada che non va in nessun posto, e tiene duro anche quando ha male ai piedi, e non desiste neppure quando è stanco. Trova ostacoli, rovi e spine, ma tira dritto. E arriva a un cancello, al grande parco, al sontuoso palazzo: là c’è una bella signora che lo accoglie, e pare aspettarlo da molto tempo. «“Toh,” si rallegrò Martino, “io non sapevo che sarei arrivato, ma lei sì”». E la bella signora, così allegra e sorriden- te: «“Allora non ci hai creduto.” “A che cosa?” “Alla storia della strada che non andava in nessun posto.” “Era troppo stupida. E secondo me ci sono anche più posti che strade.” “Certo, basta aver voglia di muoversi. Ora vieni, ti farò visitare il castello”».

L’uomo e la donna maturi sono degli avventurieri, sanno per esperienza − e per averci posto tante volte attenzione − che il mondo è grande, è molto più ampio della loro immaginazione, e che «ci sono più posti che strade». E che l’esistenza ha un vasto respiro. Vivono «nella possibilità», per dirla con Emily Dickinson. Il racconto di Rodari si conclude con Martino Testadura che se ne torna a casa stracarico di ricchezze. L’eroe, nei racconti di tutti i tempi e geografie, torna a condividere con la comunità il tesoro che ha trovato. Non si sogna neanche di tenerlo per sé, la sua gioia è di farne parte ai suoi. Ma quelli del villaggio si lasciano subito pigliare dall’avidità: si mettono sulla strada che non andava in nessun posto per scoprire anche loro giardino, palazzo e bella signora, e riempirsi le tasche di oro e gioielli. E rientrano tutti scornati la sera stessa, pieni solo di lividi e graffi: «Perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova, e il primo era stato Martino Testadura». Perché l’uomo e la donna di Dio − se così vogliamo dire −, l’uomo e la donna maturi, sono degli innovatori, aprono strade nuove, prima inesplorate; le strade nuove erano inesplorate perché erano soltanto le loro. Ognuno di loro ha aperto la sua strada. Sul letto di morte Francesco d’Assisi dice ai suoi discepoli: «Dio mi ha mostrato il mio sentiero, adesso indichi a voi il vostro». Non si copia nessuno, non si può seguire il sentiero di un altro. Per dirla con Carl Gustav Jung: «La mia via non è la vostra via, dunque non posso insegnarvi nulla. La via è in noi, non in dèi, né in dottrine, né in leggi. In noi è la via, la verità e la vita. Guai a coloro che vivono seguendo dei modelli! La vita non è con loro. Se voi vivete seguendo un modello, allora vivrete la vita del modello, ma chi dovrebbe vivere la vostra vita, se non voi stessi? Gli indicatori di via sono caduti, davanti a voi si aprono incerti percorsi. Esiste solo una via ed è la vostra via. Cercate la via? Vi metto in guardia dall’imboccare la mia strada. Per voi può essere quella sbagliata». Eliot scrisse che non smetteremo mai di esplorare, e alla fine di tutto questo andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta. Ecco, dunque. Partiamo.

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