mercoledì 13 febbraio 2019
Il polacco Blaszczykowski ricomincia “gratis” dal Wisla Cracovia, il club che l’ha lanciato. La rinascita di un campione che con la fede ha superato la tragedia della madre uccisa dal padre
Jakub Blaszczykowski detto Kuba, 33 anni, con la maglia della nazionale polacca di cui detiene il primato per numero di presenze / Janek Skarzynski / AFP

Jakub Blaszczykowski detto Kuba, 33 anni, con la maglia della nazionale polacca di cui detiene il primato per numero di presenze / Janek Skarzynski / AFP

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C’è un giocatore polacco che non finisce mai di stupire. E non parliamo di Krzysztof Piatek, il nuovo bomber del Milan che da quando è arrivato in rossonero continua a segnare a raffica come quando vestiva la maglia del Genoa. Negli stessi giorni in cui il “Pistolero” si prende tutti i riflettori in Italia è un altro suo connazionale a “colpire” gli appassionati calcistici (e non) di tutta Europa. Si tratta di Jakub Blaszczykowski, noto anche col diminuitivo di Kuba, che in patria è considerato alla stregua di un eroe nazionale, amato per le sue doti calcistiche ma anche per le sue qualità di uomo generoso e impavido. Estroso esterno d’attacco, capitano della Polonia ai Mondiali 2018 e tra i calciatori più talentuosi sfornati dal suo Paese negli ultimi anni, ha fatto la fortuna soprattutto dei tedeschi del Borussia Dortmund (ma ha giocato anche una stagione con la maglia della Fiorentina nel 2015-16).

Ebbene la settimana scorsa è ritornato a casa: a 33 anni ha voluto rescindere il contratto che lo legava al Wolfsburg per tornare “gratis” nel club che l’ha lanciato, il Wisla Cracovia. Da contratto percepirà uno stipendio simbolico di circa 116 euro al mese che destinerà peraltro all’acquisto di biglietti per lo stadio per i bambini degli orfanotrofi. Non solo. Dal momento che la squadra polacca è in gravi difficoltà economiche, al punto che non riesce a pagare gli stipendi e rischia di sparire dal calcio professionistico, Blaszczykowski tirerà fuori di tasca sua circa un milione di euro (oltre a un assegno di 300mila euro già versato l’anno scorso).

Un gesto di grande riconoscenza che ha sorpreso però soltanto quanti non conoscono la sua storia. Perché il suo cognome impronunciabile nasconde un’infanzia drammatica che Jakub ha rivelato solo di recente. Era il 1996, non aveva ancora dieci anni, quando vide con i suoi occhi suo padre Zygmunt uccidere a coltellate sua madre Anna. Il piccolo, sotto choc, si chiuse in camera sua per cinque giorni a letto senza voler sentire e vedere nessuno. «Non dimenticherò mai quel giorno, fa parte di me. Mi ha sconvolto la vita, ma mi ha anche dato la forza per andare avanti e diventare quello che sono. Adesso non mi spaventa nulla, so che qualsiasi cosa mi possa accadere ho già vissuto di peggio» scriverà poi nella sua autobiografia.

Saranno allora sua nonna materna Felicja e suo zio Jerzy Brzeczek, ex giocatore e capitano della Nazionale polacca, a prendersi cura di lui e di suo fratello Dawid. Ed è lo stesso zio a indirizzare la sua passione per il pallone. Il ragazzo ci mette tanta grinta e tenacia sobbarcandosi allenamenti molto duri. Ma il fisico non lo aiuta: a 16 anni è ancora troppo piccolo, alto appena 1 metro e 55 centimetri (e solo nel tempo riuscirà a raggiungere i 175 cm). Eppure la sua costanza e il suo talento gli permettono di raggiungere a vent’anni la Serie A polacca, col suo Wisla con cui vince anche il campionato. Il passo è breve anche per la Nazionale maggiore: Kuba ormai è diventato grande e può spiccare il volo. Prelevato dal Borussia Dortmund nel 2007, con i tedeschi vincerà due campionati, una coppa e due supercoppe di Germania, arrivando anche a giocarsi la finale di Champions League nel 2013 (persa col Bayern Monaco). Miglior giocatore polacco nel 2008, nel 2010 e agli Europei del 2016, l’anno scorso ha guidato ancora la sua Nazionale ai mondiali diventandone primatista a livello di presenze (103).

Una carriera costellata di successi in campo e fuori (è riuscito anche a laurearsi) senza mai dimenticare la mamma andata via troppo presto. Lo dimostrano le sue ormai toccanti esultanze: dopo ogni gol, mani e occhi fissi al cielo. Sono tutte per lei le oltre 70 reti messe a segno finora (tra club e Nazionale). Ma non è un mistero nemmeno dove abbia trovato la forza per superare un trauma del genere: la fede trasmessagli da sua nonna Felicja. «È lei la persona che poi mi ha cresciuto, che ha fatto tutto per me, dandomi tanti insegnamenti, con umiltà, buon senso e soprattutto allegria». Un’educazione coriacea capace di azioni incredibili. Alla vigilia degli Europei del 2012 Kuba si assentò per ragioni personali. Aveva infatti scoperto che il padre - che non vedeva dal giorno dell’omicidio - stava per morire e volle incontrarlo, per perdonarlo.

Ma Blaszczykowski è diventato anche un punto di riferimento per le opere caritatevoli della Chiesa cattolica, in prima linea per raccogliere fondi per i poveri e nell’evangelizzazione. Nel 2011 è stato anche testimonial della campagna “Non mi vergogno di Gesù”, organizzata dai cattolici polacchi in difesa della rimozione dei crocifissi dalle scuole superiori: «Cristo aiuta la nostra vita quotidiana, vorrei incoraggiare le persone a non dimenticare ciò che è più importante per noi, la fede e la preghiera ». Un impegno che condivide con sua moglie Agata, conosciuta a Czestochowa, dove lui stesso è cresciuto, il luogo mariano tanto caro a Giovanni Paolo II. Un matrimonio solido e operoso che li porta a battersi in primo luogo per i più piccoli. Perché Kuba papà felice di due bimbe (Oliwia e Lena) non può dimenticare: «Purtroppo sono i bambini quelli che soffrono di più nelle tragedie famigliari e non sono colpevoli di nulla. So bene quali sono i bambini feriti dal destino e ogni volta che posso cerco di aiutarli». Per i piccoli bisognosi d’aiuto ha anche creato con la moglie una fondazione che fornisce anche un servizio di assistenza telefonica.

Lunedì sera dopo quasi dodici anni Kuba è tornato a vestire la maglia del Wisla Cracovia con l’orgoglio di un vecchio capitano. Un nuovo debutto che purtroppo è coinciso con una sconfitta. La strada appare in salita per la squadra che non può permettersi passi falsi per non scivolare troppo nelle zone basse dalla classifica. Ma Blaszczykowski al termine della partita è apparso comunque fiducioso. Ha rincuorato e spronato i suoi compagni e ha dichiarato alla stampa che crede nella salvezza dei suoi. Lui che ha superato ben altri momenti può testimoniarlo. «Lo dico sempre ai ragazzi: è importante non arrendersi e non deprimersi. Se hai talento, passioni, sogni, coltivali fino in fondo. Era qualcosa che mi ripeteva anche mia madre. Alle mie figlie racconterò sempre quanto mia madre ha fatto per la nostra famiglia. Non eravamo certo ricchi. Lei però ha sempre creduto in me ed era convinta che ce l’avrei fatta. E sono certo che da lassù in Paradiso continua a guardarmi e guidarmi anche nei momenti più difficili».

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