martedì 17 settembre 2024
Trenta anni fa scompariva il filosofo che ragionò a fondo sui rischi di ogni utopia politica e volle mantenere «la rotta della ragione in mezzo alle tempeste dei “profeti”»
Karl Popper nel 1980

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Nel dicembre del 1936 Karl Popper, scomparso il 17 settembre del 1994, lasciò Vienna, dove era nato nel 1902, e scelse l’esilio, raggiungendo la Nuova Zelanda, dove insegnerà fino al 1945 presso la Canterbury University, a Christchurch. Da quel lontano punto di osservazione, la sua analisi dei totalitarismi prese forma in un libro fondamentale per il pensiero del Novecento, La società aperta e i suoi nemici (1945). Finita la guerra, Popper accettò un lettorato offertogli da Friedrich von Hayek alla London School of economics, divenne poi cittadino britannico e fu nominato Sir nel 1965. Il primo volume della Società aperta, Platone totalitario (il secondo ha per titolo Hegel e Marx Falsi profeti), dimostra come Popper si accostasse al filosofo ateniese per contrastare le teorie che, in forme diverse, furono manipolate dalla propaganda totalitaria. Johann Chapoutot ha scritto in proposito che, nella rilettura nazista della grecità, il filosofo ufficiale del Terzo Reich divenne Platone e non Nietzsche, a cui Hitler non perdonava di essersi allontanato da Wagner. La Repubblica era, per Popper, il prototipo di una società chiusa, che rispecchiava, come un uomo in grande, la struttura tripartita e gerarchica dell’anima. Porre la domanda, come fa Platone, su chi debba governare implica una risposta che indica i migliori. Bisogna piuttosto, precisa Popper, chiedersi quale sia il metodo per proteggere le istituzioni dai tiranni e garantire l’alternanza senza ricorrere alla violenza. La concezione platonica della leadership è per Popper del tutto illiberale. Rinvia infatti al Mito delle stirpi e alla Sacra bugia, legittimando una disuguaglianza originaria tra gli uomini. Il fondamento della Repubblica risiede dunque nell’autorità del mito e non in un accordo o in un contratto. La Sacra bugia autorizza inoltre i filosofi a elaborare “una costruzione globale della società”, definita da Popper ingegneria sociale utopistica. Ad essa contrappone una ingegneria sociale gradualista, che riduce i mali senza promettere di realizzare il bene supremo.

Non erano sicuramente della sua opinione Alexandre Koyré, che individuò nella Repubblica un ideale regolativo e Hans Georg Gadamer, il quale la considerava un “archetipo in cielo”, che può offrire un orientamento ai singoli e agli Stati. Popper non sembra tener adeguatamente conto della differenza tra libertà antica e libertà moderna, al centro della celebre conferenza tenuta da Benjamin Constant a Parigi, all’Athénée Royal, nel 1819. Il più oscuro cittadino di Roma e di Sparta, scriveva Constant, decideva della pace e della guerra, ma doveva, come privato, accettare di essere “circoscritto, scrutato, compresso in tutti i suoi movimenti”. Il sistema rappresentativo ha permesso invece ai moderni di delegare alcuni individui a svolgere quei compiti a cui molti cittadini, intenti ai propri affari, non sono interessati. Se la libertà antica coincideva con l’esercizio dei diritti politici, la libertà moderna trova infatti espressione nella “sicurezza nei godimenti privati”. La concezione organica della polis, in cui la comunità prevale sull’individuo, appartiene al mondo greco nel suo complesso, con eccezioni che possono riguardare Democrito o la Sofistica. La democrazia ateniese del V secolo non può porsi accanto alla Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688, come le concezioni olistiche, in Eraclito, in Platone o negli Stoici, non prefigurano i regimi totalitari.

È evidente che Popper non volesse proporre una interpretazione storicofilologica della Repubblica, come emerge nella prefazione alla seconda edizione de La società aperta, quando scrive che l’idea dell’opera nacque dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nazista. Ecco perché alcune critiche possono apparire «più emozionali e aspre di tono» di quanto ci si aspetti, ma non era il tempo di smorzare le parole, sottolinea Popper . Descrivere Platone come il teorico della società chiusa, in cui il “richiamo della tribù” domina sul proceduralismo liberale, diveniva allora un “pretesto” per denunciare i regimi totalitari. In una intervista rilasciata a Giancarlo Bosetti e Nina Fürstenberg (“Corriere della sera”, 15 marzo 2002), Gadamer dichiarava di essere diventato amico di Popper nonostante litigassero su Platone. Se in Gadamer prevaleva il rigore ermeneutico, in Popper a prevalere era l’esigenza di smascherare i falsi profeti che, immaginando di edificare sulla terra la Gerusalemme celeste, giustificavano ogni atrocità. Nelle teocrazie ideologiche, di destra e di sinistra, il tradimento dei chierici è stato ampiamente diffuso e pochi si sono sottratti alle seduzioni totalitarie. Dahrendorf ricorda tra questi Isaiah Berlin, Raymond Aron e Karl Popper, e li descrive come quegli uomini erasmiani, «che mantengono chiara la rotta della ragione anche in mezzo alle tempeste scatenate nella loro epoca dai profeti».

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