DorotheaLange,“TowardLos Angeles, California”, 1937 - Farm Security Administration/Library of Congress
Quando si parla di Beat Generation, si parla di un gruppo di scrittori non solo appartenenti a una medesima generazione e accomunati da un certo modo di fare letteratura, ma anche reciprocamente legati da intensi rapporti personali. In particolare, la nascita di quel movimento è segnata dall’incontro tra Jack Kerouac, Allen Ginsberg e William Burroughs. Gli anni giovanili di questo instabile trio sono stati descritti efficacemente in un film una decina d’anni fa, Giovani ribelli (Kill Your Darlings) di John Krokidas.
A illuminare l’intenso rapporto tra Kerouac e Ginsberg esce anche in Italia la raccolta delle loro Lettere, tradotta per Mondadori da Leopoldo Carra 13 anni dopo l’edizione americana (dalla quale è stata ripresa l’introduzione dei curatori, Bill Morgan e David Stanford). Va apprezzata nel volume la presenza di un dettagliato indice dei nomi, mentre si sente la mancanza di un più generoso apparato di note a chiarire i molteplici e molte volte oscuri riferimenti (storici, culturali, artistici, biografici) presenti nelle lettere.
Il carteggio (circa 200 lettere, molte delle quali finora inedite) ha inizio nell’agosto del 1944, quando Kerouac ha 22 anni e Ginsberg 19. Quest’ultimo, in una lettera del luglio del 1945, offre un autoritratto che contiene gli elementi fondamentali di una posa da artisti bohémien tipica di entrambi: dall’autocommiserazione («Io non sono un figlio della natura, appaio a me stesso brutto e imperfetto, e non riesco attraverso la poesia o le visioni romantiche a innalzarmi fino a una gloria simbolica») al disprezzo dell’arte («Per me l’arte è stata, quando non ingannavo me stesso, un magro compenso per ciò a cui aspiro»), sebbene ci sia spazio anche per qualche sprazzo di disarmata sincerità («Se in amore faccio il passo più lungo della gamba, è perché ne desidero tanto, e ne ho avuto tanto poco»).
Già in questa missiva si coglie il carattere fortemente introspettivo della corrispondenza (ciò è vero anche per le lettere di Kerouac), che fa di questo scambio un documento del mondo interiore, oltre che della vita, dei due scrittori, comprese le dipendenze autodistruttive (dall’alcol alle droghe), che però sono parte integrante del loro maledettismo. In tal senso l’interesse del volume sta nel fatto che nella loro successione le lettere costituiscono una sorta di suggestiva autobiografia in presa diretta.
Naturalmente è significativa anche la dimensione letteraria: i due autori leggono l’uno i lavori dell’altro (L’urlo di Ginsberg esce nel 1956, Sulla strada di Kerouac l’anno successivo) e sono generosi di osservazioni, consigli, critiche, giudizi. E anche se a un certo punto Ginsberg mette in guardia l’amico dall’accettare troppo facilmente l’etichetta Beat, non mancano frequenti riferimenti a Neal Cassady e William S. Burroughs, nonché alla più ampia cerchia di amici e colleghi che comprendeva Gregory Corso, Lucien Carr, Peter Orlovsky, Paul Bowles, Gary Snyder, vale a dire ai nomi che a quella corrente hanno dato sostanza.
Tra Kerouac e Ginsberg, sembra soprattutto quest’ultimo a fare di tutto per mantenere viva la loro amicizia. La sua ultima lettera all’amico è dell’ottobre 1963 e si conclude con queste parole: «Presto ti scriverò di nuovo. Mi amerai per sempre?». Ma Kerouac era ormai preda dell’alcol, il cui abuso lo porterà a morire di cirrosi epatica di lì a pochi anni, nel 1969, all’età di 47 anni, nonostante gli sforzi di Ginsberg e degli altri amici per salvarlo.