L'impianto di desalinizzazione di Sorek, a circa 15 chilometri da Tel Aviv, è un modello per tutto il mondo
A una quindicina di chilometri da Tel Aviv due gigantesche vasche, grandi come campi da calcio, vengono riempite da acqua che arriva dal Mediterraneo. Fuoriesce da un tubo che emerge dalla sabbia che è così grande che ci si potrebbe camminare dentro. Le vasche contengono un letto di sabbia dove l’acqua subisce una filtrazione prima di finire all’interno di grandi capannoni. Il loro interno assomiglia alla camera dei motori di una navicella aliena. Migliaia e migliaia di cilindri biancastri di poco più di un metro d’altezza e larghi quanto un palmo di mano, contengono fogli di membrana di plastica che presentano pori con un diametro inferiore a un centesimo di quello di un capello umano, le quali avvolgono un tubo centrale. L’acqua marina viene sparata nei cilindri a una pressione di 70 atmosfere: l’acqua passa, il sale viene bloccato e la salamoia residua ributtata in mare. Il risultato è acqua potabile che serve per un milione e mezzo di persone.
Si tratta del nuovo impianto di desalinizzazione di Sorek, il più grande al mondo, una vera e propria salvezza per Israele. Solo pochi anni or sono il Paese si trovava sprofondato in una delle peggiori siccità dell’ultimo millennio, ora ha acqua potabile da vendere. Nel 2008 infatti, Israele si trovò vicino alla catastrofe ambientale. Una siccità decennale aveva bruciato la Mezzaluna fertile e la più importante fonte di acqua dolce del Paese, il Mar di Galilea, era sceso fino a toccare la black line, la linea nera al di sotto della quale la quantità di sale presente nel lago lo avrebbe reso inutilizzabile per secoli a venire. I raccolti andarono quasi completamente distrutti. Nella vicina Siria si cercò disperatamente di perforare pozzi a 100, 200 fino a 500 metri di profondità per cercare acqua dolce, ma alla fine i contadini dovettero arrendersi e fu una corsa verso le principali città a cercare un lavoro di fortuna. In una ricerca apparsa su Proceedings of the National Academy of Sciences si dice che la situazione, trascurata dal governo Assad, è stata una delle cause dei drammatici sviluppi che si sono venuti a creare negli ultimi anni. La siccità e le conseguenze hanno colpito anche Paesi come l’Iran, l’Iraq e la Giordania sui quali pesa ancora oggi come una spada di Damocle.
Israele, invece, è uscita dal dramma e questo attraverso due strade: da un lato vi è stata una profonda campagna per far capire quanto sia fondamentale non abusare dell’acqua e quindi quanto sia importante riciclarla il più possibile. Servizi igienici e docce a basso flusso d’acqua sono stati diffusi a livello naziona-le, mentre sono stati costruiti sistemi innovativi di trattamento dell’acqua che riutilizzano oltre l’85 per cento di quella di scarico. Dopo un trattamento, viene utilizzata per l’irrigazione in agricoltura, un riciclo che non ha confronti neppure con il secondo Paese al mondo, la Spagna, che ne riconverte il 19 per cento. Ma tali misura non erano sufficienti a far fronte alle richieste d’acqua, circa 1,9 miliardi di metri cubi all’anno, ne mancavano ancora almeno 500 milioni di metri cubi. Se si fosse continuato a pompare acqua dal Mar di Galilea, le fattorie avrebbe solo spostato in là di qualche anno la loro morte. E allora, ecco l’altra strada. Si è ricorsi agli impianti di desalinizzazione cercando i modi per abbattere i costi di manutenzione che fino a pochi anni prima rendevano l’acqua desalinizzata inarrivabile ai più. Israele infatti, non ha semplicemente comperato la tecnologia per la desalinizzazione da Paesi terzi, ma ha realizzato miglioramenti tecnologici di grandissimo interesse che ora esporta. Il lavoro lo si deve soprattutto a Bar-Zeev dell’Istituto Zuckerberg di Israele, esperto di biofouling, la tecnologia che studia e combatte le incrostazioni di microorganismi, alghe o altri animali che vivono e crescono su superfici bagnate. I sistemi più avanzati di desalinizzazione infatti, lavorano spingendo acqua salata in membrane che contengono micropori i quali lasciano passare l’acqua, ma non i sali. E su tali membrane cresce una grande quantità di microrganismi che fanno perdere efficienza al sistema. La pulizia è molto costosa e questo ha sempre fatto sì che la desalinizzazione dell’acqua marina fosse considerata un po’ «l’ultima frontiera» a cui ricorrere per avere acqua dolce. Ma Bar-Zeev ha sviluppato un sistema che, utilizzando pietra lavica, cattura i microrganismi prima che questi si adagiano sulle membrane. In questo modo i costi per avere acqua dolce si sono notevolmente abbattuti e ora Israele può permettersi di produrre con la desalinizzazione il 55 per cento di acqua dolce usata dai suoi abitanti. In un lavoro pubblicato su Scientific American, Osnat Gillor, dell’Istituto Zuckerberg spiega: «Il Medio Oriente si sta prosciugando, l’unico Paese che non soffre lo stress idrico acuto è Israele».
L’impianto di Sorek, che produce 150 milioni di metri cubi di acqua, è solo l’ultimo di una serie: agli inizi della siccità si era costruito quello di Askelon che produce 127 milioni di metri cubi di acqua dolce. Poi, nel 2009, l’impianto di Hadera che butta fuori 140 milioni di metri cubi di acqua e altri ne sono stati costruiti e sono in arrivo. E se un tempo l’acqua da desalinizzazione costava più di un litro di vino, ora agli israeliani pagano una bolletta mensile di circa 30 dollari, più o meno simile a quella di molte città degli Stati Uniti (in Italia siamo attorno ai 15-20 euro). Il Mare di Galilea è tornato a risplendere, così come le aziende agricole.
La strada intrapresa da Israele sta dilagando a macchia d’olio: secondo la International Desalination Association 300 milioni di persone al mondo bevono acqua desalinizzata e il numero è in rapida crescita. La società israeliana che ha costruito gli impianti nel proprio Paese ne sta ora costruendo una a Carlsbad, nel sud della California e altre commesse stanno arrivando da varie parti del mondo. Ogni anno se ne costruiscono almeno sei simili a quello di Sorek. Un impianto particolarmente ambizioso è quello in progetto sul Mar Rosso, dove israeliani, giordani e palestinesi si divideranno l’acqua prodotta e la salamoia verrà riversata nel Mar Morto che negli ultimi anni è sceso di oltre un metro in seguito al prelievo di acqua fatto dal 1960 ad oggi. Che sia l’acqua dallo stesso rubinetto a rimettere ordine nel Medio Oriente non è da escludere a priori.