Si afferma spesso che l’islam, quello sunnita in particolare, non ha un’autorità religiosa centrale: sociologi, antropologi e islamologi, pur ammettendo che nell’islam vi sono figure dell’autorità, si troverebbero d’accordo su quest’affermazione. Da qui la spinosa questione, sempre più attuale per governi e autorità locali, di identificare i partner con cui interagire a livello istituzionale. Se alcuni voci si spingono a negare del tutto l’esistenza di un’autorità religiosa nell’islam, più recentemente, gli autori di L’autorité religieuse et ses limites en terres d’islamhanno sostenuto che ci troviamo di fronte a «un’assordante cacofonia delle voci dell’autorità». Per cogliere adeguatamente i tratti delle figure dell’autorità musulmana distinguo gli azionisti ( shareholder) dell’autorità, cioè i detentori tradizionali dell’autorità (imam e teologi), e i portatori d’interesse ( stakeholder), cioè i gestori, i militanti ecc. Precisiamo meglio i ruoli dei diversi attori. Il giurista- teologo s’intesta il ruolo di “guardiano del tempio”: dispensa fatwe e interviene sulle questioni etiche e teologiche che toccano la vita personale o collettiva dei musulmani. Taher Tujgani in Belgio e Zakaria Seddiki in Francia rappresentano questa figura di teologo. L’imam ha una funzione più tecnica: conduce le preghiere e tiene i sermoni. Può essere un imam-automa oppure un imam-autonomo, con un sapere religioso che lo distingue dal resto della comunità e a volte dai suoi concorrenti per il carisma e la capacità di negoziare tra la comunità e lo Stato (per esempio Franck Hensch). A volte può anche essere dissidente, adottando un tono radicale che lo contrappone allo Stato o alla società (per esempio lo shaykh Alami, in Belgio). I portatori d’interesse sono più numerosi. In primo luogo vi è il gestore, che assume la funzione di assistente del teologo e organizzatore. Protegge l’aura e la parola del teologo e allo stesso tempo la manipola.
L’Esecutivo dei musulmani del Belgio (istituito nel 1994) è un esempio di gestore. In concorrenza e/o in collaborazione con gli attivisti, il gestore può beneficiare del sostegno nelle ambasciate (Marocco, Algeria e Turchia). Controlla i teologi, gli imam, l’industria halal e l’istruzione. Negli ultimi due settori l’attivista dispiega la legittimità dell’azione e fa concorrenza all’operatore. Gli attivisti possono essere distinti in moderati e radicali. I primi hanno libero accesso allo spazio pubblico e hanno ottenuto l’avallo dello Stato o di alcuni partiti politici: i Fratelli musulmani e l’associazione islamica Millî Görüs sono esempi di attivisti considerati moderati. Operano nell’ambito delle organizzazioni giovanili e studentesche, del femminismo islamico, della lotta all’islamofobia, dell’istruzione parallela, della carità. Gli attivisti radicali sono invece rappresentati dai salafiti. La quinta figura dell’autorità è l’intellettuale musulmano. Qui occorre distinguere tra l’intellettuale insider e l’intellettuale outsider. Il primo agisce dall’interno della comunità rafforzando le rivendicazioni comunitariste e identitarie. È il caso di Tariq Ramadan e Michaël Privot. L’intellettuale outsider non aderisce a queste rivendicazioni e si muove controcorrente, proponendo un islam liberale o secolarizzato. Si pensi a Chemsi Cheref-Khan in Belgio, o a Malek Chebel, Fethi Benslama e Ghaleb Bencheikh in Francia. La sesta figura dell’autorità è il maestro sufi. La via sufi, come la Qadiriya Boutchichiya (Qâdiriyya Budshîshîyya) a Bruxelles-Parigi-Madagh, fa valere una legittimità spirituale. È questo il caso di Sidi Lahcen Esdar, maestro di questa via spirituale marocchina a Bruxelles. I sufi si dedicano alla spiritualità, alla musica e all’educazione religiosa. La lista delle autorità sunnite si chiude con l’esperto, definito anche islamologo, che fa valere una competenza religiosa, spesso tecnica. Nella questione della radicalizzazione, per esempio, solitamente interviene una figura di islamologo.
La questione dell’autorità nell’islam non riguarda solamente un sapere religioso propriamente detto, ma anche una legittimità discorsiva, ovvero la capacità di trasformare, con l’ausilio di una rete e di risorse, lo studio di alcuni testi, spesso compendi di un centinaio di pagine, in un’eredità santificata (’ ilm). L’autorizzazione concessa, a volte senza trasparenza, da shaykh o da colleghi è più importante del numero di testi studiati, della padronanza della materia, dello spirito di ricerca o della qualità della memoria del “dotto”. In Europa, la questione del sapere religioso è enorme e si può notare immediatamente l’interferenza con la legittimità discorsiva. Si prenda per esempio il sito salafita www.3ilmchar3i.net, il cui titolo è «3ilm char3i - La scienza legiferata tratta dal Corano e dalla Sunna secondo la comprensione dei nostri pii predecessori» . Il sito è popolare in particolare tra i salafiti madkha-liti, che sono tradizionisti pietisti, sottomessi allo Stato saudita, anti-islamisti e contrari al jihadismo. Il sito divide i “dotti” in due campi: quelli da imitare, cioè i circoli tradizionisti sauditi, e quelli da evitare e dai quali il sito mette in guardia, tra cui i salafiti politici e i jihadisti, i salafiti indipendenti, i Fratelli musulmani, i seguaci del sufismo, del Tablîgh, l’imam Rachid Abou Houdeyfa, Hassan Iquioussen, Tariq Ramadan, Isis, al-Qaida, lo sciismo... L’attivista musulmano rivendica una forma di autorità ottenuta con l’azione attraverso l’associazionismo musulmano, che milita soprattutto nei campi dell’educazione, del sostegno alla Palestina, del contrasto all’islamofobia ecc.
È il caso della Lega dei musulmani del Belgio, il cui capitale deriva dall’organizzazione della fiera musulmana, del concorso nazionale di Corano, di conferenze, seminari, attività nel mese di Ramadan, campi estivi e piccolo pellegrinaggio (’ umra). L’azione sociale o associativa è moderna nel senso che, nella sua forma, è consentita dalla legge e promossa dalla società civile in Belgio. Ciononostante, produce l’effetto opposto: comunitarismo ed erosione della società civile. La legittimità attraverso l’azione è la forma più efficace nell’economia morale islamica: raccoglie finanziamenti per le moschee, per le scuole, per i Rohingya [un gruppo musulmano perseguitato in Birmania] ecc. C’è sempre un buon motivo per raccogliere fondi e dunque porsi al centro del processo di scambio di beni santificati che, a loro volta, generano autorità e benefici per chi si trova al centro dell’azione. Questa legittimità conduce inevitabilmente al comunitarismo perché l’azione può svolgersi solamente in un contesto musulmano o prevalentemente musulmano.
Assieme al comunitarismo si manifesta poi l’identitarismo, dal momento che l’attivista può accedere a una legittimità islamica soltanto se l’azione favorisce l’economia morale islamica. Questa economia non ha alcun interesse ad avviare una forma di azione civica che faccia uscire i musulmani dall’isolamento e dall’illusione dell’identità musulmana. L’azione virtuosa non è politica nel senso della partecipazione civica nella polis, ma nella misura in cui trasforma una legittimità e un’autorità morale in una risorsa di potere nella città. Un altro discorso che consente di legittimarsi attraverso l’azione è quello della riforma. Il teologo e l’imam sono conservatori per natura e, per controbilanciare la loro autorità, l’attivista cavalca la retorica della riforma. Di fronte alla critica all’islam e all’islam politico in particolare, la riforma e la laicità diventano, nel contesto europeo, strumenti con i quali l’attivista si svincola dall’estremismo, si smarca dal teologo troppo rigido, e tende una mano ai non-musulmani. Si pensi a tutte le iniziative che propongono di riformare l’islam o alla comparsa di un islam riformato in Europa.