Sa di essere l’ultimo sopravvissuto della banda dei Soliti Ignoti, il film cult della commedia all’italiana, firmato nel lontano 1958 da Mario Monicelli, il leggendario Ferribotte, alias Tiberio Murgia classe 1929 ma si sente di tracciare un bilancio positivo della sua vita: lui sardo purosangue, per generazioni di italiani, ha vestito i panni del siciliano gelosissimo e possessivo. Domani taglierà il traguardo fatidico degli ottant’anni di vita. Dalla sua abitazione nel quartiere Balduina di Roma tornano in mente i ricordi, i volti che hanno costellato la sua esistenza di attore e di caratterista. «Mi sembra di rivederli tutti accanto a me – ricorda commosso – sul set: Salvatori, Mastroianni, Gassman o il mitico Capannelle a rubarsi la scena come se fossero dei bambini ». Non dimentica, nel suo album dei ricordi, Leopoldo Trieste, De Sica e Peter Sellers, ma anche l’affetto e l’ironia di Monica Vitti «con cui ho recitato nella Ragazza con la pistola » e non da ultimo Alberto Sordi, suo compagno di scena ne La Grande Guerra. «Quel film per la fatica delle scene è stato come fare il militare per davvero…. ». Venditore ambulante a Oristano, poi minatore a Marcinelle («riuscii a salvarmi dalla strage del centro minerario per un puro caso») all’arrivo a Roma dove intraprende vari mestieri, dal manovale al lavapiatti in un ristorante, all’incontro con Mario Monicelli, che gli cambiò la vita. «Lavoravo in un ristorante vicino a Piazza di Spagna che esiste ancora Il Re degli amici – rivela Murgia –. Appena mi vide Monicelli ebbe una cotta improvvisa per me. Credo che gli siano piaciuti subito il mio modo di camminare. Quell’incontro mi cambiò la vita e a Monicelli devo quello che sono diventato».
Quando è stato il suo ultimo incontro con Monicelli? Pochi mesi fa ci siamo incontrati, per caso, a Piazza di Spagna. Abbiamo festeggiato assieme il mio esordio sul set. È stato l’incontro e l’abbraccio amoroso tra un padre e un figlio. Ha sempre voluto da me l’immagine del siciliano orgoglioso: «Tiberio ti voglio altero». I suoi insegnamenti sono stati per me una scuola di vita.
Lei fu esordiente nel 1957 con Claudia Cardinale. Eravamo i due principianti del set. Io parlavo in sardo e lei in francese. Ricordo che la dovevo proteggere dagli altri divi, come Renato Salvatori. Lei era timidissima e bellissima e terrorizzata da tutto e un po’ come succede nel film la proteggevo dagli altri. Io ero pur sempre il «fratello di Cammellina».
E di Gassmann e Mastroianni? Dei veri signori nella vita come sulla scena. Ricordo ancora quando nelle pause dal set preparavo le sigarette, 'il trinciato forte' per loro due. Ci siamo rivisti sulla scena per il remake dei soliti ignoti di Todini. Fu bello lavorare assieme, anche se il film fu un fiasco.
Com’era Totò? Un vero principe, uno che non si dava arie. Alla mattina se non stringeva la mano a tutti, non era contento. Lui quasi cieco mi cercava sul set e mi riconosceva al tatto della mano e diceva: «Questo è Ferribotte ».
Meno idilliaci furono i suoi rapporti con Franco e Ciccio. Ho lavorato con loro in alcuni film. Non fu un rapporto facile perché io naturalmente era nato prima di loro. Io facevo il siciliano e questo ovviamente li irritava. Monicelli mi ha imposto nei copioni. Il mio ruolo di siciliano era un po’ il contraltare ironico di quello che interpretavano loro due, che erano siciliani per davvero.
Cosa le manca di quegli anni? Mi manca l’età, il sorriso, la fantasia. Potrei ancora dare alla gente l’abbraccio di un attore che ha fatto divertire, con le sue gag generazioni di italiani. Pensi che coi Soliti Ignoti sono divenuto famoso persino in Giappone… Manca anche a noi anziani il set ma forse quello che manca di più è la poesia e leggerezza di quella stagione cinematografica.