lunedì 22 aprile 2024
Vincendo il derby 2 a 1, conquista matematicamente il 20esimo scudetto della sua storia. Un successo che ha molti padri
L'esultanza dei giocatori dell'Inter a fine partita

L'esultanza dei giocatori dell'Inter a fine partita - Fotogramma

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Un successo atteso ma reso ancora più bello dal fatto di essere arrivato nel derby e, per di più, in casa dei cugini. Battendo il Milan 2 a 1, l'Inter vince il 20esimo scudetto della sua storia, arrivando alla seconda stella. Un trionfo che parte da lontano...

La vittoria di un collettivo di qualità, ma senza primedonne. È stata questa la grande forza dell’Inter di Simone Inzaghi che ha dominato il campionato regalando al club nerazzurro il 20° scudetto per la seconda stella attesa da 58 anni. Un lavoro iniziato pazientemente dall’allenatore piacentino nell’estate del 2021, quando è stato chiamato a sostituire Antonio Conte che aveva lasciato la panchina dopo il tricolore numero 19 dell’Inter, pensando che il ciclo fosse esaurito a causa dei problemi economici della proprietà. Inzaghi ha raccolto il testimone gettato per terra e ha continuato a far correre la squadra a velocità sostenuta nonostante le partenze (cessione o mancato rinnovo a scadenza di contratto) di diversi staffettisti importanti: Lukaku, Hakimi, Perisic, Brozovic, Skriniar, Onana e Dzeko. I titolari rimasti dallo scudetto di Conte sono appena tre: Bastoni, Barella e Lautaro. C’è anche De Vrij che, però, è scivolato nelle gerarchie alle spalle di Acerbi. Inzaghi non ha fatto una piega e ha raccolto tutto nell’accogliente disegno del suo gioco armonico e ricco di automatismi. Basta vedere i pochi spezzoni aperti dei suoi allenamenti (ormai le squadre di Serie A sono blindatissime) per rendersene conto: i giocatori partono da sessioni di passaggi di prima codificati con ripetuti spostamenti di posizione. Sono gli stessi schemi che si rivedono in partita e vengono frequentemente conclusi con il pallone nella porta avversaria. È un tiki-taka più verticale e immediato. Inzaghi lo ha fatto notare con una frase che nasconde una rivincita: «Dopo tre mesi dal mio arrivo a Milano nel 2021, i tifosi per strada mi facevano già i complimenti per come giocava l’Inter», ha detto sabato. Come dire che i tifosi se ne erano accorti prima di tanti critici saliti sul carro molto dopo solo di fronte all’evidenza. Servono giocatori intelligenti e rapidi di pensiero. Per questo il piedistallo di questa impresa è stato il centrocampo con il trio Barella, Calhanoglu e Mkhitaryan. Impossibile prescindere da questi tre interpreti, anche a costo di limitare le presenze da titolare di Frattesi, encomiabile per la capacità di farsi trovare pronto senza lamentele mettendo a segno gol pesantissimi entrando dalla panchina con una media formidabile di una rete ogni 130 minuti. Degna di un attaccante. Intorno a questo basamento in mezzo i movimenti scorrono fluidi. Gli inserimenti dei due difensori centrai laterali – Pavard (Bisseck) e Bastoni (Carlos Augusto) – aggiungono due centrocampisti alla manovra quando l’Inter attacca. Sulla fascia sinistra Dimarco è diventato uno degli esterni più forti del mondo. A destra Darmian ha superato Dumfries, a sua volta prezioso a gara in corso. Giocatori come Darmian e Carlos Augusto offrono una duttilità tattica formidabile, visto che possono essere impiegati anche nella linea difensiva a tre, presidiata al centro da Acerbi che ha ceduto poche volte il posto all’elegante De Vrij. Davanti Lautaro e Thuram sono stati strepitosi fino a febbraio, poi hanno avuto un calo fisiologico visto che le alternative in attacco non erano all’altezza. Arnautovic e Sanchez hanno confermato lo scetticismo iniziale, dovuto anche all’età (entrambi sono over 35). Hanno dato il loro contributo ma senza davvero poter essere un’alternativa ai titolari. Anche qui si è vista la forza di Inzaghi che è magistrale nella capacità di nascondere i limiti della propria rosa, al contrario di altri allenatori che, invece, sembrano volerli esaltare per nascondere i propri. I Campioni d’Italia hanno segnato più di tutti e subito meno di tutti. I dirigenti nerazzurri hanno capito che la lacuna principale della rosa è la coperta corta in attacco e si sono già assicurati Taremi a parametro zero. Stessa formula per Zielinski che a centrocampo dovrà dare un po’ di respiro a Mkhitaryan, considerato l’indispensabile numero uno da Inzaghi. Esemplare la premura di Beppe Marotta e Piero Ausilio che a febbraio si erano già garantiti due rinforzi di ottimo livello per la prossima stagione. La forza della società è stata un’altra caratteristica fondamentale di questo scudetto, a completamento del ciclo di due coppe Italia e tre supercoppe italiane (oltre alla finale di Champions League). Solo dirigenti espertissimi potevano neutralizzare la situazione proprietaria per certi versi surreale. Di fatto l’Inter viaggia sull’autosostentamento economico da tre anni, con l’unico aiuto esterno dei periodici versamenti del prestito di Oaktree (a breve dovrebbe subentrare l’altro fondo californiano Pimco) a Suning che non immette più capitali propri dalla seconda metà del 2020. Una situazione problematica resa ancora più evidente dall’impossibilità del presidente Steven Zhang di tornare in Italia. Non lo fa dalla scorsa estate e non lo ha fatto nemmeno per lo scudetto. Tra qualche anno questa gestione esemplare diventerà un caso di scuola reso possibile dal miglior dirigente calcistico italiano (Marotta), da un allenatore molto pragmatico e innovativo (Inzaghi) e da un gruppo guidato da alcuni elementi di intelligenza calcistica superiore, su tutti Mkhitaryan e Calhanoglu. Così una squadra senza vere star ha conquistato la seconda stella.

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