Venezia Werner Jaeger (1888-1961) - archivio
Pubblichiamo qui un’anticipazione della Presentazione di Carlo Ossola al volume di Werner Jaeger Umanesimo e teologia (Vita e Pensiero, pagine 112, euro 13,00), che sarà in libreria il 20 gennaio. Dopo Paideia, il monumentale saggio sulla formazione dell’uomo greco, divenuto uno dei cardini della riflessione culturale della nostra epoca, Jaeger ricerca, nella conferenza del 1943 qui riproposta, le radici dell’Umanesimo europeo. E le trova aprendo una via diversa rispetto alla convinzione consolidata secondo cui l’Umanesimo nasce da una rottura rispetto al Medioevo “teologico” e a favore di un ritorno alla classicità centrato su una nuova concezione della natura umana. È vero, ricorda Jaeger, che gli umanisti rinascimentali desideravano far rivivere la cultura greca e romana, ritenendo il Medioevo un periodo barbaro, ma il loro rifiuto era indirizzato alla forma degenerata della tradizione scolastica, con il risultato di offuscare la grande portata “umanistica” di autori medievali, come san Tommaso e Dante.
L’Umanesimo nella Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis nasce su quella che fu la Waste Land della Teologia, esemplarmente illustrata nel Poliziano: « Nel Poliziano tutto è concorde e deciso; non ci è più lotta. Teologia, scolasticismo, simbolismo, il medio evo nelle sue forme e nel suo contenuto, di cui vedevi ancora la memoria prosaica nelle laude e nei misteri, è un mondo in tutto estraneo alla sua coltura e al suo sentire. Quello è per lui la barbarie. E non ha bisogno di cacciarlo dalla sua anima: non ve lo trova» (capitolo XI: Le «Stanze» ). La nascita dell’Umanesimo per sottrazione alla teologia domina naturalmente anche la storiografia del mondo riformato, sin da Jacob Burckhardt, che osservava: « Lo scriver trattati sull’educazione dei principi, fin qui compito dei teologi, diventa ora naturalmente anche loro (degli umanisti nda) dominio. Enea Silvio, per esempio, stese per due giovani principi della casa d’Asburgo diffusi trattati sulla loro educazione ulteriore» ( La civiltà del Rinascimento in Italia, 1860). In un panorama storiografico così uniforme giunge come freccia acuminata l’Aquinas Lecture, nel 1943, di Werner Jaeger; iniziate nel 1937 su impulso dell’Aristotelian Society della Marquette University, queste lezioni avevano subito avuto un rilievo internazionale. Werner Jaeger (Lobberich, Renania, 1888 – Boston 1961) era allora professore a Harvard e direttore dell’Harvard Institute for classical Studies. Il suo immenso affresco Paideia. Die Formung des griechischen Menschen (19341945) si stava imponendo anche nel mondo anglosassone. Ma quella lezione, Humanism and Theology, non è ricapitolativa, bensì fondativa di una nuova visione sulla “lunga durata” della “paideia” greca nel mondo cristiano, che sarà coronata – più tardi – da due importanti volumi: The Theology of the early Greek philosophers (1948) e soprattutto: Early Christianity and Greek Paideia (1961), volume che si pone accanto al grande affresco di Hugo Rahner, Griechische Mythen in Christlicher Deutung (1945) quale segnale della profonda continuità “umanistica” tra mondo greco e mondo cristiano, tanto nella fioritura patristica che nelle reviviscenze medievali. La forza della tesi di Jaeger risiede nel fatto che, sin da Paideia, il percorso dell’educazione filosofica si risolve in una «conversione» che l’autore non esita a marcare semanticamente in modo più netto che gli usi ordinari del termine: « La natura, dunque, dell’educazione filosofica è veramente “conversione” nel significato spaziale (“volgersi”, “voltarsi”) di “tutta l’anima” alla luce dell’idea del bene, cioè all’origine del Tutto». Ci aspetteremmo dunque, secondo tradizione, che tale riferimento alla «teologia platonica» trovi il suo naturale compimento nella tesi umanistica di Marsilio Ficino, Theologia Platonica de animorum immortalitate. Jaeger invece nella sua luminosa Aquinas Lecture punta decisamente su san Tommaso e sulla sintesi ch’egli produsse del pensiero aristotelico e platonico, ribaltando come aprioristica l’avversione degli umanisti alla Scolastica e alla teologia medievale. Eugenio Garin, un decennio più tardi, riprenderà quelle posizioni, citando spesso Jaeger, anche se non mostra di essere a conoscenza del saggio Umanesimo e teologia: « Il Medioevo amava i classici non meno del Rinascimento; Aristotele era sulla bocca di tutti, e forse meglio che nel Quattrocento; […] la valorizzazione dell’uomo era più potente e meditata in san Tommaso che non in Ficino; mentre naturalismo ed empietà - Machiavelli, Pomponazzi, Bruno - proprio là dove sembrano più arditi e più nuovi sono più vecchi e lontani: eredi più o meno consapevoli dell’alessandrinismo medievale» ( Medioevo e Rinascimento, 1954). La storia delle traduzioni di Humanism and Theology è un capitolo alto dell’itinerario delle meditazioni umanistiche del XX secolo: in Italia apparve nel 1958 per Corsia dei Servi, nella traduzione di Luciana Bulgheroni. Corsia dei Servi era un’associazione fondata da David M. Turoldo e Camillo De Piaz, Servi di Maria, poeta il primo, il cui Udii una voce: poesie era uscito con una Premessa di Giuseppe Un-garetti. Le edizioni Corsia dei Servi ebbero un ruolo importante di aggiornamento, impegnato, del cristianesimo lombardo e italiano e non stupisce trovarvi la conferenza di Jaeger, la quale – tuttavia – non sarebbe tornata all’attenzione europea, senza la traduzione, di un biennio precedente, del père Saffrey. L’opera dello studioso domenicano Henri-Dominique Saffrey (19212021) è imponente tanto sul versante critico che su quello delle traduzioni e edizioni di classici greci commentate, e continua l’alta lezione dell’altro Maestro domenicano di studi greci, André- Jean Festugière (1898-1982). La traduzione italiana di Humanism and Theology passò quasi inosservata, salvo un caldo elogio di Giuseppe Toffanin; e una non meno attenta lettura di don Giuseppe De Luca; egli si manifesta in un punto nodale degli studi sull’Umanesimo italiano. Carlo Dionisotti aveva appena pubblicato il Discorso sull’Umanesimo italiano, opuscolo ch’egli invia a Giuseppe De Luca, ricevendo una risposta tiepida: «ho letto due volte le tue pagine sull’umanesimo italiano – gli scriveva nel maggio del ’58 - ma, dovessi dire, non ti ci trovo. Tu sei altro uomo, ormai, da sostare su quei temi, anche per dirli superati. Conosci la conferenza di Jaeger tenuta nel 1943, su “Umanesimo e teologia”?» Quell’interrogativo: « Conosci la conferenza di Jaeger ?» vale ancor oggi, è anzi divenuto più urgente nell’isterilirsi delle ipotesi intorno a «una sintesi della cultura antica e dello spirito cristiano ». Citando nella parte finale del suo saggio l’Humanisme intégral di Jacques Maritain (1936), Jaeger sembra aderirvi, trovando in esso ciò ch’egli aveva cercato di definire come «terzo Umanesimo». Meditando sulla «tragedia dell’Umanesimo » moderno e antropocentrico, Maritain gli aveva infatti opposto la tradizione aristotelica e tomista, su un punto essenziale che rimarrà inalterato da Dante a Pico, il destino dell’uomo sovra- eminente la propria umanità: « Non proporre all’uomo che l’umano – osservava Aristotele – è tradire l’uomo e volere la sua sventura, perché attraverso la sua principale natura, che è lo spirito, l’uomo è chiamato a un destino più alto che una vita puramente umana» ( Umanesimo integrale, Introduzione). Conservare all’Umanesimo un anelito universale - come in san Tommaso e Dante - più ancora che una sollecitudine testuale, è compito primario, perché nessuna diligenza filologica invera da sola la dignitas del «te sovra te» sancito da Virgilio nella Commedia.