Faccia a faccia fra l’uomo di Neanderthal (a destra) e l’Homo Sapiens: le loro differenze sono minime
La storia dell’origine dell’Homo sapiens si fa sempre più complessa e gli intrecci con le specie con le quali venne a contatto ai suoi primordi è ben lontana da quella che si era delineata anche solo una ventina di anni fa. Allora si pensava, molto semplicemente, che il sapiens fosse l’ultimo gradino dell’evoluzione iniziata con l’Homo habilis. Ma le scoperte degli ultimi anni hanno messo in crisi questa semplicistica linea di pensiero. Oggi sappiamo che, poco prima o contemporaneamente alla nascita e allo sviluppo della nostra specie, ne nacquero anche altre, con molte caratteristiche simili al sapiens, tali da possedere una propria cultura e forse l’autocoscienza. Poi, il sapiens, ancora in parte misteriosamente, prese il sopravvento su tutte le altre specie. Districare la storia iniziale delle specie vicine a noi è estremamente complesso e ricco di colpi di scena. Un’inaspettata scoperta è arrivata da un gruppo di scienziati del Max Planck Institute dell'Università di Tubinga in Germania, le cui conclusioni sono state pubblicate su “Nature Communications”. Essa demolisce quel che si pensava dei rapporti che il sapiens aveva avuto con il Neandertal. Fino ad oggi infatti, l’ipotesi sostenuta dalla maggior parte dei ricercatori diceva che i Neanderthal avevano lasciato l’Africa molto tempo prima del sapiens e che questi venne a contatto solo circa 60.000 anni fa, poche migliaia di anni prima che il Neandertal scomparisse. La “rivoluzione” trova le sue radici nello studio del Dna di mitocondri (cellule che – tra l’altro – producono energia) estratto dal femore di un Neandertal trovato nel 1937 in una grotta della Germania. Le conoscenze sul Dna mitocondriale sono tali che hanno permesso di stabilire che tra i Neandertal e i sapiens vennero fisicamente a contatto circa 220.000 anni fa. Cosa significa questo? Signifi- ca che il sapiens tentò di lasciare l’Africa molto tempo prima di quel che si pensava. L’idea comune era che il sapiens raggiunse la maturazione per lasciare il continente africano 125.000 anni or sono per arrivare in Europa circa 60.000 anni fa. Ma ora sappiamo che qualche nostro progenitore tentò il grande passo dell’esplorazione planetaria almeno 100.000 anni prima. Forse una o più tribù facendosi coraggio l’un l’altra, spinti da mutamenti climatici che impedivano loro di trovare cibo con facilità, si spostarono lungo le coste del Mar Rosso finché riuscirono a trovare una lingua di terra che permise loro di attraversarlo e di arrivare in Medio oriente. E qui incontrarono i Neandertal. Non sappiamo come fu l’approccio, se vennero o meno accettati immediatamente nel loro campo, ma sta di fatto che prima o poi i due gruppi si fusero. E nel Dna dei Neandertal rimase impresso una parte di quello dei sapiens.
Cosa successe poi al sapiens rimane un mistero: non sappiamo se qualcuno di loro procedette oltre, fino a giungere in Europa o se svanì nel nulla, dopo aver lasciato un’impronta inequivocabile nei Neandertal. Spiega Ilan Gronau dell’Interdisciplinary Center Herzliya di Israele ed esperto genetista di popolazioni: «È una storia molto bella che spiega come il Neanderthal abbia avuto nei suoi geni mitocondri dell’uomo moderno». Fin qui la recente scoperta. Ma la storia è molto più complessa di quel che si evince da questo quadro. Perché insieme al sapiens e al Neanderthal negli ultimi anni sono venute alla luce altre specie di Homo che vissero insieme a questi ultimi e che avevano una cultura molto avanzata, ma che poi scomparvero come il Neandertal. Fino a una ventina di anni fa infatti, specie come quella dei denisovaini o dei floriensis erano del tutto sconosciute. Il misterioso popolo dei denisoviani venne scoperto meno di una decina di anni fa. Esso convisse per decine di migliaia di anni a fianco dei Neandertal e con questi ultimi, lo sappiamo con certezza attraverso lo studio del Dna, il sapiens ha convissuto e si è intrecciato. Questo quadro ha iniziato a delinearsi quando ricercatori dell’Istituto Max Planck tedesco hanno analizzato il Dna recuperato da un osso di un dito di una bambina e da due molari trovati nella grotta Denisova, in una remota regione dei Monti Altai, in Siberia. Quel Dna è presente per il 5% in quello dei melanesiani e in quantità più o meno simili nei neandertaliani. Quel popolo dunque, visse sulla Terra quando erano in circolazione il sapiens e il Neandertal e con questi si sono incrociati. E che il sapiens si incrociò con il Neandertal è certo da vari studi (oltre all’ultimo raccontato sopra), tra i quali quello recentemente prodotto da Ed Green dell’Università della California di Santa Cruz, il quale incrociando il Dna delle due specie ha scoperto che nel patrimonio genetico di noi tutti, ad eccezione degli africani, c’è dall’1% al 4% di patrimonio genetico dei Neandertal.
In questa complessa situazione, all’interno della quale non vanno escluse altre eclatanti scoperte di intrecci, si inserisce comunque un altro elemento a complicare le cose: la presenza dell’Homo floresiensis. La scoperta di questa specie risale al 2003 quando vennero trovati resti fossilizzati nelle grotte di Liang Bua sull’isola di Flores (da cui il nome) nell’Indonesia orientale. Ma su di loro il mistero è ancor più grande dei Desinova. Purtroppo la genetica non riesce a raccontarci più di tanto perché il loro Dna è stato distrutto dal clima della regione e dunque sono solo le ossa che ci possono raccontare qualcosa di quel popolo. Forse erano su quell’isola da 750.000 anni, ipotesi sorta dopo il ritrovamento di utensili tanto vecchi che mostrano forti similitudini con quelli utilizzati dai floresiensis. Purtroppo però non si sa chi fu il loro predecessore, come è arrivato su quell’isola e poi, come è scomparso.