martedì 24 agosto 2021
Lanciata da Netflix in 190 Paesi in 32 lingue colpisce “al-Rawabi - School for girls”, verosimile viaggio tra adolescenti arabe in cui dominano disvalori e crisi che sfociano in violenza psicologica
Un’immagine della serie “al-Rawabi School for Girls”

Un’immagine della serie “al-Rawabi School for Girls”

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Mariam è sempre andata a scuola volentieri. Di più: la scuola era tutta la sua vita. Ma il suo mondo di sicurezze va in pezzi quando diventa il bersaglio prediletto di un trio di compagne di liceo, tre bulle che fanno il bello e il cattivo tempo nella scuola superiore femminile al-Rawabi. È questo il punto di partenza di una miniserie realizzata in Giordania , al-Rawabi School for Girls (regia di Tima Shamali), lanciata da Netflix in 32 lingue e 190 Paesi. Un viaggio alla scoperta del bullismo fra le adolescenti arabe contemporanee, avvincente e appetibile anche per un pubblico internazionale, benché profondamente intriso di musica, fotografia, scenografia, tradizione narrativa del Vicino Oriente. Layan, Rania, Ruqaia sono le “cattive”: ciascuna di loro – in modo del tutto personale e con lo stile che le è proprio – si impone nella società con arroganza e sadismo nei confronti delle compagne più fragili.

Gli strumenti di cui si avvalgono sono le piattaforme social, le chat della scuola, gli smartphone che tutto immortalano: i momenti di trasgressione, di libertà, di debolezza. Layan è la leader: aggressiva e prepotente, bella e invidiata, è in grado di manipolare le coetanee e pure gli adulti, forte del rispetto timoroso che suscita la figura del padre. Tutto le viene perdonato, nel college sulle colline di Amman, perché una scuola privata non può farsi nemici pezzi grossi della borghesia giordana come i suoi familiari. Rania e Ruqaia sono le sue migliori amiche, incapaci di mettere in discussione decisioni, capricci e rabbia della capobanda, venerata come una dea.

Presa di punta dal trio, Mariam precipita all’inferno, e lo spettatore con lei. Sospesa dalla scuola per azioni che non ha compiuto, neanche in famiglia trova il conforto necessario a recuperare la fiducia in sé. Inutile il percorso psicoterapeutico cui istituzioni e genitori la costringono, inadatti come sono a guardare la realtà in faccia, comprenderne la complessità e affrontarla. Ma non tutto è come sembra. Puntata dopo puntata, lo spettatore impara a conoscere Mariam e a scoprirne l’inaspettato carisma: anche intorno a lei, in realtà, si crea una “banda” determinata e vendicativa, abile nel riportare in parità la partita, colpo su colpo. C’è Noaf, la ragazza nuova, tutta piercing e occhi bistrati di nero, silenziosa e sfuggente. A lei, espulsa da un’altra scuola, famiglia e società stanno dando un’ultima chance di adeguarsi alle regole e mettere la testa a posto. Noaf, hacker di talento, ha utilizzato le sue doti, in passato, per fare giustizia.

Ad al-Rawabi scopre, un passo alla volta, che bianco e nero spesso si mescolano, senza ritorno, e che essere giusti vuol dire anche perdonare e mettere fine ai soprusi. Anche la terza del gruppo, Dina, solare e allegra, insicura perché goffa e sovrappeso, entra nel tunnel del bullismo – prima sofferto, poi inferto – e, infine, si ribella. «Noi non siamo come loro!», urla all’amica Mariam per farla rinsavire. Ma la trasformazione è irreversibile. Intanto, sul piano narrativo, un gioco di lenti di ingrandimento avvicina ciò che era lontano, per rivelare agli spettatori un altro elemento.

Anche le carnefici sono vittime di qualcun altro, in questa miniserie che ha fra i suoi punti di forza una colonna sonora robusta e variegata, tutta arabo-mediorientale, farcita di rap, neo melodico, raggae, disco dance. In un crescendo tragico, la vittima Mariam – contaminata dalla sua carnefice, di cui condivide la stessa vulnerabilità adolescenziale – perde di vista la sua bussola etica, diventando una inarrestabile giustiziera, fino a un epilogo noir che lascia spiazzati. Sullo sfondo, una scuola superiore che è metafora di una società intera, in cui le giovani (e i loro coetanei maschi) piegano la testa a leggi immutabili: la reputazione, per una donna arabomusulmana, che sia a capo scoperto o velata, è tutto; la parola di un uomo vale di più di quella di una donna; gli adulti possono diventare giudici spietati dei loro figli.

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