Il pilota di MotoGp Marco Simoncelli (1987-2011)
Come il Freccia di Luciano Ligabue, anche io credo nelle rovesciate di Bonimba e nei riff di Keith Richards. Ma poi ho creduto anche nelle fughe in salita al Tour del “Pirata” Marco Pantani, nel tango mundialdi Diego Armando Maradona, ma soprattutto ho inseguito il sogno a tutto gas della moto del “Sic”, la magica n. “58” di Marco Simoncelli. Il 23 ottobre saranno dieci anni senza il “Sic”, volato via dopo appena 24 primavere trascorse su questa terra, perché sì sa, gli eroi Lassù li vogliono tutti giovani e forti. Era fortissimo Simoncelli, e non solo in pista. Me ne resi conto al primo incontro per il nostro giornale quando confessò di aver letto «una volta sola. Sì Avvenire l’ho visto in parrocchia a Coriano e per curiosità mi misi a sfogliarlo... Non male dai!». Sorrideva ad ogni risposta il “Sic”, che è ancora qui. Non a caso, Rise Again, canta in suo onore la band di Manchester dei Rainband. Il “Sic” sorrideva e si illuminava e sventolava quella cascata di riccioli dorati dal sole sotto i quali custodiva i mille progetti, i mille sogni tutti ancora da realizzare. La prima gara della sua vita ho scoperto con gioia mista a stupore che la corse nella mia città natale, a Spoleto. Fu dopo l’estate che aveva passata a duellare sulla pista di Cattolica con Gioele Pellino, centauro di Foligno. «Mi ricordo l’emozione di quel viaggio, eravamo sulla Mercedes 2000E nera, tutti gasati, prima gara, primo, viaggio, c’era anche la mamma (Rossella). Quando siamo arrivati a Spoleto abbiamo trovato il diluvio universale... », si legge nel libro di ricordi struggenti, l’album di foto di famiglia di Rossella e Paolo Simoncelli, Il nostro Sic , che la Rizzoli ha appena ristampato (in edicola con la “Gazzetta dello Sport”).
Mi piace tornare con un brivido di commozione a quel nostro primo incontro: anno 2008, la stagione del suo trionfo nel Mondiale della 250. Campione alla faccia di tutti, anche dei paesani di Coriano che lo sfottevano amorevolmente: «T’an avre’ vent e’ Mundiel Callaghan? », tradotto dalla lingua madre di Romagna: «Ah, non avrai mica vinto il Mondiale Callaghan?», con l’ispettore Callaghan che lassù sulla collina che guarda il mare di Rimini e Riccione sta per «oh, fenomeno!». Già, il “Sic” era un pilota fenomenale, ben al di là di quel titolo mondiale conquistato (ne avrebbe vinti altri, forse, nella MotoGp in cui era sbarcato alla grande) o dei 14 Gp che lo videro salire in cima al podio in quella carriera da crisalide del circus. Simoncelli era un campionissimo d’umiltà, ed è quella che distingue il talento puro. «Tanti hanno detto che non avevo manico e che potevo anche passare all’ippica. A cominciare da quelli della mia vecchia squadra che pensavano che non ero buono. Mi sa’ che si sono sbagliati dai!», mi disse con orgoglio quel giorno voltandosi a cercare lo sguardo fiero e amorevole di suo padre, Paolo. Un papà che ti commuove sempre solo a guardare i suoi occhi, due laghi pieni di tristezza e solitudine per quel figlio dolcissimo, il fratellone amato da Martina, che non è più tornato a casa. Paolo è rimasto con lo sguardo pietrificato sull’asfalto della maledetta pista di Sepang (Malesia). Lì dove il “Sic” nel 2008 tagliava il traguardo provando la più grande gioia sportiva della sua vita, si è anche chiusa per sempre la sua breve parabola esistenziale...
Quel giorno del funerale eravamo arrivati da ogni parte del mondo pur di abbracciare papà Paolo, mamma Rossella, Martina e la “morosa” di Marco, la Kate, che dopo dieci anni è rimasta a Coriano che aspetta i tifosi del “Sic” al Museo che il paese ha dedicato al loro Marco. E lui, in cambio, da quelle nuvole in cui sfreccia ancora in sella alla “58” ha ricambiato con la “Casa Marco Simoncelli” dove vivono e vengono accuditi i ragazzi disabili della Comunità di Montetauro. «Ricordo la sua simpatia contagiosa era diventato uno di loro... Gli volevano un mondo di bene i nostri ragazzi», ricorda don Lanfranco Bellavista, il parroco della chiesa di Santa Innocenza e responsabile della Comunità Montetauro. L’ultima volta che sono stato lì, Paolo mi ha detto: «Marco lo sentiva sulla sua pelle il calore e l’affetto che gli trasmettevano quelle creature, e voleva ricambiare in qualche maniera. Così un giorno mi fa: “Papà, perché non rimettiamo a posto quel vecchio albergo vicino alla chiesa di Sant’Andrea in Besanigo e ci mettiamo i ragazzi di don Lanfranco?”. Così abbiamo fatto». È costata quasi 3 milioni di euro la vecchia Casa Vacanze Santa Marta che adesso è “Casa Marco Simoncelli”. Il suo nome corre ancora forte anche con il team “Sic 58”. Paolo lo porta avanti con amore e con la speranza che magari un giorno spunti fuori un altro campione pari al “Sic” che da Lassù rinnova la sua richiesta: «Mi piacerebbe essere ricordato come uno che in gara sapeva emozionare».