Renato Zero, 69 anni il 30 settembre, esce venerdì con un nuovo album di inediti “Zero il folle”
Quanto Renato Zero sia davvero “folle” come dice d’essere nel titolo del suo nuovo album in uscita venerdì, non è dato saperlo; certo però l’artista romano è ancora provocatorio e ribelle come ai tempi migliori, e come quando licenziava Mi vendo o Più su lo è nel modo più spiazzante possibile dentro il pop, puntando cioè sui valori. Se infatti lasciamo da parte il sarcasmo con cui Zero (un plauso) si loda perché «orgoglioso di non conoscere Sara Ferragni… Ah, si chiama Chiara?!?», o l’acume con cui annuncia l’eccellente idea «ho seppellito i protools, che hanno rotto le scatole, per tornare a strumenti veri facendo musica cogli altri e non allo specchio », quanto va in primo piano sia nel nuovo cd Zero il folle sia nella conferenza stampa con cui è stato presentato festeggiando il suo 69° compleanno, sono faccende ben distanti da ciò che ultimamente si usa mettere nelle canzoni. Oggi infatti per solito si canta il vuoto: Zero invece canta, e pure bene, dignità come parola cardine e reazione al degrado quale parola d’ordine; rimarca l’ecologia e l’essere genitori; inveisce contro un web che ci violenta e ironizza sul diffuso pentirsi solo a posteriori; e finisce col trattare in musica della morte e di Dio. «È che sono cantautore per eccesso e mai per difetto, sin da quand’ero ragazzino al Piper» dice sornione. «Nel tempo le mie canzoni hanno sortito effetti diversi, ma nascono sempre dalla vita e dalla gente: e ancor oggi scrivo non per dare risposte ma per spingere a farsi domande, anzi per dare modo a chiunque di provare a capire le cose. Il mio miraggio resta scuotere le coscienze: come faceva Jannacci, come ha fatto Modugno». Le coscienze Zero il folle, tredici inediti dai testi smaglianti, le scuoterà assai: l’ha già fatto col singolo Mai più da soli, «rabbia dell’anima» contro una tecnologia che ci convince d’essere eterni, figurarsi se non lo faranno i vari La culla è vuota, Un uomo è…, Quattro passi nel blu. Il primo, per dire, incita a far figli cantando contro l’aborto, seguendo però una lezione applicata già nel primo lp del ’73: «L’amore non deve solo rappresentare un rapporto a due ma pure dar continuità alla specie, condanno fortemente l’aborto anticoncezionale; poi se anche altri non preservano la vita il mio dovere è farlo, come quando in Sogni nel buio diedi voce a un embrione».
Quattro passi nel blu invece sublima il morire in una dedica: «Ad amici come Dalla o Mango, che porto addosso e voglio rappresentare sempre; poi ormai io ho fatto un accordo con la morte, soprassiedo a sudditanza e terrore…». Un uomo è… osa valori forti con la maiuscola: «Non mi piacciono i troppi “maschi” che oggi spopolano, esser uomini è un’altra cosa. È farsi carico dei problemi collettivi e avere il coraggio di denunciare quel che non va, che sia la violenza sessista o la spazzatura». A proposito di spazzatura, Renato in Zero il folle ne ha anche per come stiamo riducendo il mondo, e lo grida in maniera poco retorica e molto ficcante. «È incredibile com’è ridotta la mia Roma… Allora mi permetto di cantare che ecologia è respiro, nutrimento, affrontare il cielo senza paura che le nuvole portino tifoni… E Greta? Greta ci frastorna: ha più coraggio di noi vecchi, nel dire che non vuole morire intossicata. Ma se invece di criticare smettessimo di giudicare dalla poltrona?». Zero da sempre in poltrona ci sta poco, si sa: infatti dopo l’uscita di Zero il folle (cd, lp, 45 giri de “La vetrina”) sarà in tour dal 1° novembre a Roma al 26 gennaio a Bari (in vendita dodici date, e altre 13 già esaurite). Il culmine della sua odierna, ribelle, coraggiosa, matura follia è Quanto ti amo: splendida canzone d’amore il cui soggetto, si svela nel finale, si chiama Dio. «Per me l’amore è protezione, comunicare agli altri la loro potenza: se non dici t’amo la gente sfiorisce, va speso. E perché non avrei dovuto nominare Dio? Quando trovi un amore così forte e poderoso come fai a non chiamarlo per nome?».
L’importante però, con Zero il folle come per altre pagine del re dei sorcini, sarà ascoltarlo senza confondere l’elevata qualità della proposta musical-testuale di Zero coi suoi narcisismi, ben rappresentati dalle quattro cover diverse con cui escono cd ed lp: anche perché lui ha il guizzo finale di spiegarlo in maniera non solo astuta, soprattutto credibile. «Quando andai a Sanremo (cantandovi la vecchiaia e un’Ave Maria, ndr) lo feci per riprendermi Renato a fronte di uno Zero che il successo aveva reso invadente; ma oggi è diverso, vanno d’accordo. E devo festeggiarlo Zero, per avermi posseduto a quindici anni togliendomi dalla noia, dal disincanto, dalla nullatenenza; per avermi spinto ad amare la vita, provare a cambiarla, trasferire la mia energia a terzi… Mio padre voleva fare il tenore e non ci riuscì, mentre Zero fu per me l’espediente per vincere il grigiore: e ancor oggi è Zero la spinta per riuscire a stare a galla, pure a 69 anni e dopo che Zerovskij non è stato capito. Per quanto, mi succede sempre, so che verrà capito fra trent’anni, il mio difetto è andare avanti troppo… Però se sono fastidioso è perché vorrò sempre calarmi in toto in Zero: anche per dar la sensazione di poter essere ancora un padre, o un fratello maggiore, per i troppi giovani d’oggi in cerca di sé stessi e di un senso».