La ritirata dell'Armir - archivio
Con la nota dell’arcivescovo Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia, che qui anticipiamo, esce una nuova edizione di La croce sui girasoli, diario di monsignor Aldo Del Monte (1915-2005), vescovo di Novara, ma ancora prima cappellano nella tragica campagna di Russia. L’edizione, che esce presso Interlinea, a cura di don Gianmario Lanfranchini, sarà presentata oggi alle ore 15 a Omegna (Vb). Due le occasioni nelle quali l’incontro sarà inserito: il centenario della locale Associazione nazionale alpini (Ana) e la mostra documentaria sulle carte dell’autore, ordinate di recente a cura del Centro novarese di studi letterari. Tali carte saranno presto consegnate da Mariella Enoc al monastero benedettino Mater Ecclesiae dell’isola di San Giulio per essere conservate e studiate.
In cerca di Dio e in cerca dell’uomo! Mi pare sia fotografato così, monsignor Aldo Del Monte, da questo suo diario di cappellano militare sul fronte russo di ottant’anni fa, La croce sui girasoli, la cui riedizione vede ora la luce in occasione del centenario della Sezione Alpini di Omegna-Cusio. Come interpretare diversamente il suo anelito di sacerdote – amico di don Gnocchi, promotore del rinnovamento della catechesi italiana e poi vescovo di Novara – che egli stesso, definendosi «entusiasta», quasi incarna in quella «Chiesa in uscita» della quale papa Francesco farà uno dei cardini del suo pontificato? Un ministero, un servizio, che cerca l’uomo lì dove e come l’uomo è. «Se l’uomo è in pace, lui è a servizio dell’uomo in pace. Se l’uomo è in guerra, lui è a servizio dell’uomo in guerra», scrive infatti don Aldo, classe 1915: «Se necessario, bisogna uscire dal chiuso delle canoniche e andare in cerca dell’uomo sulle strade, sulle piazze e nelle trincee, e persino nel burrone, dove è disceso Gesù a cercare la pecorella smarrita». E lui, monsignor Del Monte, la pecorella smarrita l’ha cercata. Ha cercato l’uomo ed è stato cercato dall’uomo. Un sacerdote e un vescovo molto amato. Un maestro spirituale cercato da tanti uomini e donne che ne percepivano la grande finezza interiore, il cui segreto era continuare a cercare continuamente Dio. Ha cercato e trovato Dio cercando e trovando l’uomo smarrito nel buio delle trincee, sferzato dalla gelida aria delle campagne russe... l’uomo che non poteva essere lasciato solo, perché Gesù non lo aveva lasciato solo. L’uomo al quale stare vicino non da «combattente» ma seguendolo «come un viatico di pace nella guerra, di gioia nel dolore, di vita nella morte »: ecco la vocazione del cappellano mi-litare! Così, le pagine di questo diario – in modo originalissimo ma, al contempo, con tante assonanze con l’esperienza vissuta da altri cappellani militari, specie nelle due guerre mondiali che hanno coinvolto anche l’Italia – regalano al lettore lo stupore di una straordinaria prospettiva pasquale, che si schiude quando la vita sia vissuta come un cammino veramente evangelico. Che cammino, quello di don Aldo, che ricalca le orme del Buon Samaritano in ogni situazione, come ad esempio dinanzi ad alcuni «alpini feriti». Scrive, come rimedio per guarire dalla guerra sul Don dove viene ferito a una gamba: «Gli infermi passano e vanno; i piantoni passano e vanno; i medici curanti si preoccupano delle cure materiali. Il cappellano invece non può passare e andare. Io non posso svolgere la mia missione se non entro in ciascuno di loro; e non posso entrare in loro senza mettermi sulle spalle tutte le loro croci». Credo che chi ha conosciuto Aldo Del Monte (fino a Mariella Enoc che ha seguito in modo filiale i suoi ultimi passi, in riva al lago Maggiore) testimoni quanto fosse in lui sviluppata questa capacità, per la quale non bastano qualità umane, sia pure non comuni, ma serve la maturazione nel mistero della Croce di Gesù. Serve, come egli stesso annota, «gustare... goccia a goccia tutto questo mare di dolore», temendo a volte di «naufragare». Serve vivere con i soldati, i quali dicono che «è bello avere vicino anche qui dei cappellani... l’unica cosa della nostra vita antica che ci ha seguito, e volontariamente, e che ora muore con noi». Così, come per molti cappellani, l’esperienza del fronte è stata per lui una vera maturazione nella logica del dono della vita, fino alla morte: «Che cosa troveranno nei loro reparti? Forse un’ara per la loro immolazione? », egli si chiede vedendo due cappellani giovanissimi appena arrivati al fronte. Ma li conforta, li guida, in quella disponibilità e fiducia nella quale guiderà anche in seguito tante anime: «Siamo nelle mani di Dio. Non è bello sentirci proprio... sulle ali della sua volontà?» In questo tempo in cui l’individualismo e il bisogno di autogratificazione rischiano di bloccare la crescita umana e spirituale dell’uomo contemporaneo, insidiando anche la spiritualità sacerdotale, la dimensione dell’offerta è il suo segreto, attualissimo, e questo diario ha il merito di confidarlo, illuminato da una gigantesca croce sui girasoli impressa nella campagna russa che ha visto settantacinquemila caduti.