La stanza gotica del Cenacolo - Dennis Jarvis / Flickr / CC BY-SA 2.0 DEED
La Biblioteca Bio-Bibliografica della Terra Santa e dell’Oriente francescano, storica collana editoriale avviata da padre Girolamo Golubovich nel 1906 – pubblicata, inizialmente, dalle Edizioni Quaracchi del Collegio di San Bonaventura, prima d’essere ereditata da Terra Santa Edizioni –, si arricchisce d’un nuovo, importante volume, curato da Bartolomeo Pirone, già professore ordinario di Lingua e Letteratura araba presso l’Università di Napoli “L’Orientale”, impreziosito dalla prefazione di padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa. Il titolo è di per sé significativo: Firmani e altri documenti sul santo Cenacolo (Terra Santa Edizioni, pagine 484, euro 60,00). Il riferimento è alla presenza francescana a Gerusalemme, in quello che la tradizione cristiana identifica come il monte Sion, l’altura sud-occidentale su cui si erge la città (significativo slittamento di denominazione rispetto alla collocazione originaria, verosimilmente presso la Spianata Sacra); là dove, attorno al luogo identificato con il Cenacolo – il luogo dell’Ultima Cena e dell’istituzione dell’Eucarestia, della Lavanda dei piedi, dell’effusione dello Spirito Santo – sorgeva una grande basilica: la “madre di tutte le Chiese”.
Per comprendere la portata del lavoro è bene fare un passo indietro. Il 21 novembre del 1342, con le bolle Gratias Agimus e Nuper Carissime, papa Clemente VI affidava ai frati minori la “custodia” dei Luoghi Santi. Il provvedimento era stato preceduto da alcuni atti di compravendita. Il 15 maggio del 1335, il minore Roger Guerin e il confratello Giovanni avevano acquistato per conto di Margherita, figlia di Federico III di Sicilia, un terreno demaniale attiguo alla chiesa del Sion per 1.000 dramme d’argento; il 19 settembre, Margherita aveva venduto la propria parte a Roger per 400 dramme. A quanto pare, i frati avevano agito autonomamente; in un secondo tempo, il papa era intervenuto sancendone l’operato. Ciò era stato possibile grazie alle relazioni strette fra Roberto d’Angiò, re di Sicilia e sovrano titolare di Gerusalemme, e la moglie, Sancia di Maiorca, con il sultano mamelucco, al-Nasir al-Din Muhammad. A seguito di lunghe trattative, i regnanti angioini avevano ottenuto che i minori potessero dimorare e officiare solennemente nel Santo Sepolcro. A ciò si aggiungeva la cessione del Cenacolo, della cappella in cui si commemorava la discesa dello Spirito Santo e di quella dedicata all’epifania di Gesù agli apostoli. Si dovette alla regina, inoltre, la decisione d’edificare un convento «in monte Sion» in cui i frati potessero dimorare. Iniziava, così, la storia della Custodia di Terra Santa; tutt’oggi, una presenza importante nel contesto mediorientale, e gerosolimitano in particolare.
Orbene: il lavoro di Bartolomeo Pirone rende finalmente disponibile, in traduzione italiana, materiale documentario in lingua araba di grande interesse, capace d’illuminare tale presenza; com’è noto, perdurante sino a metà Cinquecento, prima del trasferimento della comunità nell’attuale convento di San Salvatore. Un lavoro encomiabile, durato molti anni, in cui questioni patrimoniali si alternano a rapporti politici e diplomatici con le autorità mamelucche, prima, ottomane, poi, e tra i rappresentanti delle diverse confessioni cristiane. Siamo di fronte a centocinque documenti, tra cui numerosi “firmani” – termine derivante dal persiano farman, “ordine”, “rescritto” –, distesi in un arco di tempo lunghissimo, dal 1247 al 1797. Da una lettura preliminare emerge un fatto per nulla scontato: l’esclusiva proprietà francescana del luogo; sottolineata, del resto, dal titolo recato, tutt’oggi, dal presidente della Custodia Autonoma di Terra Santa (il “padre Custode”): “Guardiano del Santo Monte Sion e del Santissimo Sepolcro di Nostro Signore Gesù Cristo”. Si tratta d’un elemento importante. Com’è noto, al di sotto della «grande sala» in cui Gesù avrebbe “mangiato la Pasqua” e che avrebbe visto riunirsi gli apostoli assieme a Maria dopo l’Ascensione si trova la cosiddetta Tomba di David: un grande sarcofago, di cui s’ignora la posizione originaria, menzionato a partire dal X secolo; a quanto pare, scoperto nel corso dei lavori di restauro dell’antica chiesa bizantina. Se a ciò si aggiunge la presenza, dalla fine del Quattrocento, d’uno spazio di preghiera per i musulmani, che annoverano il re d’Israele tra i profeti, si capisce tutta l’importanza di quest’angolo di Gerusalemme.
Un luogo conteso, come mostra la documentazione tradotta, vista la necessità di riaffermare continuamente i diritti maturati dalla comunità cristiana su di esso («È questo uno dei luoghi più feriti di tutta la Terra Santa, testimone delle tante ferite nei popoli che la abitano», affermava il cardinale Pierbattista Pizzaballa, allora Custode di Terra Santa, nel corso della visita di papa Francesco al Cenacolo nel 2014); ma che, proprio per questo, ha tutte le carte in regola per assurgere a simbolo del dialogo tra popoli e religioni. Un dialogo difficile, traviato, sovente, da fondamentalismi. Ma di cui v’è assoluto bisogno.