Anthony Hopkins nei panni di Nicholas Winton nel film "One Life" - .
«Chi salva un uomo salva il mondo intero», recita il Talmud. «Chi salva un bambino, salva il futuro», parola di papa Francesco. E allora, Nicholas George Winton ha salvato il futuro di una larga parte di umanità avendo strappato al boia nazista ben 669 bambini, la maggior parte ebrei. Lo ha fatto in silenzio e con lo spirito dei giusti.
E questa storia, rimasta nell’oblio per mezzo secolo, è diventata di dominio universale da quando nelle sale è uscito il film capolavoro di James Hawes, One Life.
Il primo lungometraggio di Hawes che fa subito centro, anche grazie all’aurea di Sir Winton che nel film è impersonato da un magistrale Anthony Hopkins, il quale, per conto nostro, dovrebbe passare a ritirare immediatamente l’Oscar per la migliore interpretazione. Sarebbe il terzo Oscar per l’attore britannico, classe 1937, forse il più meritato. Un saggio di bravura attoriale quello di Hopkins (bravo anche il cantante e attore sudafricano Johnny Flinn nei panni di Winton da giovane) che rimanda allo spettatore tutta l’umanità e il gesto straordinario compiuto da questo signore che da stimato ma anonimo broker della City londinese è assurto al titolo eroico di “Schindler britannico”, meritandosi il cavalierato «per servizi resi all’umanità», che gli conferì, nel 2003, dalla Regina Elisabetta.
Tutti i film che trattano la Shoah e fanno riferimento alla deportazione delle anime più innocenti, i bambini, hanno sempre un enorme impatto emotivo. È stato così per il monumentale Schindler’s List di Steven Spielberg per Jona che visse nella balena di Roberto Faenza, Un sacchetto di biglie diretto da Christian Duguay e tratto da romanzo autobiografico di Joseph Joffo, per non parlare dell’altro premio Oscar, Roberto Benigni, che commosse tutti con La vita è bella. Ma nel film chapliniano di Benigni si ride anche dinanzi alla banalità del male, mentre assistendo a One Life – ispirato dalla biografia If It’s Not Impossible...: The Life of Sir Nicholas Winton, ci si ritrova nella sala buia del cinema in compagnia di un sentimento costante di nodo in gola, per arrivare inevitabilmente alle lacrime.
Si piange, ci si strugge per la tenerezza e lo sforzo compiuto da un giovane che pur vivendo nell’agio di una borghesia molto british, aveva messo a disposizione la sua vita pur di salvare tutti i bambini del ghetto di Praga. Una missione iniziata nel 1938, quando era un agente di Borsa in carriera, con esperienze professionali già maturate a Parigi e Berlino.
Tornato a Londra non rimase insensibile alla minaccia nazista e dopo aver scoperto le sue radici ebraiche (era nato Nicholas Wertheim) corse in soccorso dell’organizzazione praghese per l’evacuazione dei bambini ebrei e quelli delle famiglie a rischio deportazione. Nella Cecoslovacchia occupata dalle truppe tedesche, nel 1939, l’impavido Nick con i volontari dell’associazione mise in atto il piano di salvataggio denominato Kindertransport. Un programma che all’inizio si scontrò con le resistenze dei rabbini, ai quali rispose a muso duro: «Se preferite un bambino ebreo morto piuttosto che uno vivo e vegeto ma allevato da cristiani, questo è un problema vostro, non mio». E poi dovette superare anche gli ostacoli burocratici del governo inglese, più preoccupato dalle ragioni di Stato, a cominciare da quelle della difesa del Regno dalla minaccia nazifascista, che delle mere questioni cecoslovacche.
Alla fine però, grazie al suo impegno di indomito combattente, Winton ottenne il benestare del Ministero degli Interni britannico che supportò il Kindertransport. Con passaporti falsi preparati da quei tipografi boemi che ricordano tanto l’impavida tipografia di Luigi e Trento Brizi di Assisi (falsificò centinaia di documenti d’identità di ebrei tratti in salvo dai viaggi in bicicletta del campione Gino Bartali, impresa raccontata sul grande schermo dal film Assisi Undeground di Alexander Ramati,) su 8 treni della tratta per la libertà, Praga-Londra, salirono quei 669 bambini che una volta arrivati in Inghilterra trovarono delle famiglie pronte ad accoglierli e adottarli. Una lavoro certosino di coordinamento sotterraneo, ad altissimo rischio, portato avanti direttamente da Praga dagli amici di Nick, gli altrettanto eroici Trevor Chadwick e Doreen Warriner.
Con l’avanzata della follia totalitaria e la soluzione finale, il piano di evacuazione assunse i connotati della “mission impossible”, ma nessuno si tirò indietro. Winton ebbe il supporto della famiglia, a cominciare dalla madre, Babette (nel film è Helena Bonham Carter). Uno sforzo dettato dalle ragioni del cuore, giustificate davanti al rabbino di Praga come dovute, per via della sua radice ebraica (da parte dei nonni), ma in realtà frutto di una sensibilità fuori dal comune che lo portò alla prostrazione quando il 9° convoglio venne bloccato dal blitz delle SS alla stazione di Praga.
Il 1° settembre 1939, due giorni prima dell’invasione della Polonia ordinata da Hitler, segna la fine del Kindertransport: il treno che doveva portare in salvo 250 bambini venne bloccato e quelle creature indifese finirono con le loro famiglie nei campi di sterminio. Nella vicina Polonia occupata, l’assistente sociale Irena Sendler aveva attuato un piano simile a quello di Winton portando in salvo 3mila ebrei: 2.500 di questi erano bambini del ghetto di Varsavia.
Irena che visse fino a 98 anni (è morta nel 2008) fu una delle protagoniste della Resistenza polacca nelle formazioni cattoliche e la sua storia è diventata un film per la tv di John Kent Harrison , Il coraggio di Irena Sendler. Pellicola che non ha avuto lo stesso successo dei cult precedenti sulla “Shoah dei bambini”, nonostante l’interpretazione di Anna Paquin, anche lei premio Oscar, a 11 anni, come miglior attrice non protagonista del film di Jane Campion, Lezioni di piano. E a proposito di lezioni, sul fronte della Memoria, alla voce leviana i sommersi e i salvati, per fortuna ce ne sono state tante, e la speranza per il futuro è che molte non sono ancora venute alla luce e un giorno potranno essere conosciute e divulgate.
La lezione di Winton, film a parte, stupisce e commuove lo spettatore fino alle lacrime, perché si percepisce la sofferenza dell’uomo che ha provato in ogni modo ad evitare che la vita di quei piccoli diventasse cosa agli occhi dei carnefici. L’incubo ricorrente di tutta la sua lunghissima vita - Winton si spense alla veneranda età di 106 anni – fu quello di «non aver fatto mai abbastanza».
La frase scolpita nella memoria dell’eroe esemplare che, dopo essere tornato dalla guerra (ufficiale aeronautico della RAF: Royal Air Force), ha tenacemente continuato l’attività filantropica, gettandosi con generosità in altri progetti umanitari, ma restando sempre fedele al motto del “giusto”Gino Bartali, «il bene si fa ma non si dice».
Tutte le foto e ogni singolo ricordo di quei bambini del Kindertransport sopravvissero nella sua mente, riposte dentro un album di ritagli che ha custodito gelosamente in una borsa di pelle (dono dell’amico Trevor). Quegli scatti li aveva messi al riparo da ogni sguardo, celati nel cassetto della scrivania del suo studio. E lì sarebbero rimasti, mimetizzati dal caos delle cartelle e dei faldoni accumulati in una vita, se solo sua moglie, Grete, non si fosse accorta di quel “tesoro della memoria”. Fu Grete a fare la scoperta di quei misteriosi taccuini del marito in cui erano annotati tutti i nomi dei bambini evacuati in Inghilterra e i relativi dati delle famiglie che si erano presi cura di loro. Cinquant’anni dopo, nel 1988, grazie all’intervento della moglie dell’editore Maxwell (Betty) quella storia venne fatta conoscere dal talk televisivo That's Life!.
Il "vero" Nicholas Winton (1909-2015) - ANSA
Un Carramba! Che sorpresa formato Bbc che riuscì a rintracciare molti dei 669 bambini salvati. Durante una puntata della trasmissione più seguita dagli inglesi, quelle che erano solo foto incollate in un album ripresero le sembianze di persone: erano i suoi bambini diventati adulti che, commossi, riabbracciavano il loro salvatore. Winton a sua volta immerso nel pianto si liberava finalmente dell’incubo di un’esistenza in cui era ancora convinto, «non si fa mai abbastanza per gli altri».
Ora, se Hopkins merita il terzo Oscar per l’interpretazione in One Life, forse in Svezia dovrebbero indire un Premio Nobel alla Memoria di Winton, visto che quello per la Pace dopo diverse candidature non gli è stato mai riconosciuto. Il premio più bello per il vecchio e caro Nick, fu comunque quello di riabbracciare i “suoi bambini” e rivedere, nel 2009, un treno viaggiare per l’Europa per commemorare il Kindertransport.
E all’arrivo di quei vagoni, si lasciò sfuggire l’ultimo rimpianto da Schindler inglese: «La vera sfortuna è stata che nessun altro Paese abbia fatto altrettanto. Ho provato a sensibilizzare gli americani, ma non hanno preso con sé alcun bambino. Se l’avessero fatto avrebbero fatto la differenza...».