domenica 14 gennaio 2018
Alla vigilia del centenario della nascita, nuove edizioni rilanciano l’autore polacco che fu tra i primi a denunciare l’orrore dei campi di prigionia sovietici. Parla la figlia Marta
Gustaw Herling nel suo studio di Napoli nel 1988 (B. Paczowski / Archivio Herling)

Gustaw Herling nel suo studio di Napoli nel 1988 (B. Paczowski / Archivio Herling)

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È un taccuino molto piccolo, tanto da stare in una tasca, ma ha una copertina di metallo a proteggerlo: dalle durezze della storia, dal passare del tempo. Gustaw Herling lo acquistò nel 1942, appena liberato dal gulag nel quale aveva trascorso due anni della sua vita. Su quelle pagine – oggi conservate insieme con le altre carte dello scrittore polacco presso la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce di Napoli – furono presi i primi appunti destinati ad alimentare l’officina di Un mondo a parte, il capolavoro di Herling che ora torna negli Oscar Mondadori in un’importante edizione arricchita dall’introduzione di Francesco M. Cataluccio e da numerosi documenti d’archivio (traduzione di Gaspare Magi riveduta dall’autore, pagine XXXII+388, euro 15,00). Libro leggendario, Un mondo a parte, ma anche osteggiato e tormentato. Apparve per la prima volta in Gran Bretagna nel 1951, accompagnata da un’entusiastica prefazione di Bertrand Russell, ma nell’Europa continentale, dove più marcata era l’influenza dei partiti comunisti nazionali, le resistenze furono forti e persistenti. In Francia Un mondo a parte non fu tradotto fino alla metà degli anni Ottanta, nonostante già nel 1956 Albert Camus ne avesse caldeggiato la pubblicazione da Gallimard. In Italia, in compenso, prima della caduta del Muro le edizioni furono addirittura due – da Laterza nel 1958 e da Rizzoli nel 1965 –, ma la denuncia di Herling rimase pressoché inascoltata fino al 1994, quando Un mondo a parte , ormai considerato un classico nella Polonia post-comunista, entrò nel catalogo Feltrinelli.

Sembrerebbe un destino simile a quello di altri grandi dissidenti dell’Est europeo, non fosse che dal 1955 Herling aveva vissuto a Napoli, la città dove è morto il 4 luglio del 2000 (era nato a Kielce il 20 maggio 1919) e dove più numerose sono le tracce della sua avventura umana e intellettuale. L’archivio è stato affidato alla Biblioteca Croce, appunto, mentre i mobili e i libri provenienti dal suo appartamento di Villa Ruffo sono attualmente in deposito presso l’Istituto Italiano di Studi Storici, di cui è segretario generale la figlia Marta, nata dal matrimonio con Lidia Croce, la più giovane tra le quattro figlie del filosofo napoletano. Un intreccio di biografie e di vicende culturali non privo di implicazioni simboliche, come ammette la stessa Marta Herling: «Quand’era ancora studente in Polonia, mio padre aveva letto e discusso con gli amici la Storia d’Europa nel secolo decimononodi Croce – racconta –, iniziando così a riflettere su quella “religione della libertà” che avrebbe poi guidato tutta la sua esistenza ». Fuori dal gulag, Herling si era infatti arruolato nel Secondo Corpo d’armata polacco del generale Anders, nei cui ranghi combatté in Medioriente (tra i suoi scritti figura anche un reportage da Mosul). Sbarcato a Taranto, si era ammalato di tifo ed era stato mandato in convalescenza a Sorrento.

«Qui – prosegue Marta Herling – Croce lo aveva accolto a Villa Tritone, la “casa aperta” alla quale mio padre dedicò in seguito uno dei suoi racconti. In quell’occasione aveva conosciuto mia madre ed era nata la loro amicizia». Il definitivo trasferimento a Napoli, che pone fine a un nomadismo che aveva portato Herling in diverse città d’Europa, non coincide però con un momento felice nella vita dello scrittore. E anche questa volta è un taccuino a darne notizia. «Prima ancora delle annotazioni del ’42 – spiega Marta Herling – Un mondo a parte era stato composto nella mente, una frase per volta, come atto di sopravvivenza alla prigionia. Di notte, nel silenzio della baracca, mio padre fissava nella memoria gli episodi salienti della giornata, assumendo su di sé il compito del cronachista. La cronaca è un genere letterario molto significativo nella tradizione polacca, mio padre ne era consapevole, così come gli era chiaro che, una volta riconquistata la libertà, era suo dovere prendere la parola anche a nome dei compagni rimasti nel gulag. Un mondo a parte è un libro molto complesso anche sul piano stilistico, non si limita a prendere a modello Memorie da una casa di morti di Dostoevskij, ma rivive quella situazione dall’interno, in un processo veramente sbalorditivo di assimilazione letteraria e, insieme, di affermazione della propria personalità. Non dimentichiamo che è un libro scritto da un uomo poco più che trentenne, e senza mai un cedimento, senza mai un’incertezza. Compiuta un’impresa simile, restava da domandarsi in quale direzione procedere».

L’inedito Diario napoletano del 19571958, emerso di recente dagli archivi, rende conto di questo dilemma. «Mio padre stava cercando di scrivere un romanzo autobiografico, che avrebbe dovuto intitolarsi Lo stagno scuro – racconta la figlia –, ma non riusciva a dare forma ai ricordi della sua infanzia in Polonia. Cercava di ricostruire una realtà per lui perduta, e che forse non esisteva già più, e intanto si sentiva sovrastato dal sentimento di solitudine che contrassegnava la sua vita in Italia. Aveva nostalgia della lingua polacca, per esempio, e nello stesso tempo, lentamente, cominciava a scoprire e ad amare il paesaggio e la cultura del Mediterraneo. Uscì dal suo isolamento grazie all’amicizia con intellettuali come Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, che lo chiamarono a collaborare alla rivista Tempo presente, ma non è un caso che la parte finale di questo diario ritrovato si strutturi come un racconto autonomo, Il sole e la morte, nel quale sono riordinate le impressioni di un lungo viaggio in Calabria e Sicilia». In via di pubblicazione in Polonia, il Diario napoletano rappresenta l’embrione dell’opera maggiore di Herling, Diario scritto di notte, quasi tremila pagine nelle quali la riflessione si alterna alla narrazione. Nel corso del 2018 gli Oscar Mondadori pubblicheranno un’ampia scelta dei Racconti, mentre per il 2019, nel centenario della nascita di Herling, è prevista appunto una nuova edizione del Diario scritto di notte, che amplierà in modo consistente la versione apparsa da Feltrinelli nel 1992.

Animatore di Kultura, la rivista dell’intellighenzia polacca in esilio, e intransigente fino all’ultimo nella sua denuncia del comunismo (nel 1999 Einaudi rifiutò il suo saggio introduttivo a un altro classico della letteratura sul gulag, i Racconti della Kolyma di Varlam Salamov), Herling è stato anzitutto un grande, coraggioso esploratore del mistero del male, sondato in una serie di testi che da Un mondo a a parte arrivano fino a Requiem per il campanaro, bellissimo racconto napoletano pubblicato postumo nel 2003 dall’Ancora del Mediterraneo, la sigla partenopea alla quale lo scrittore aveva affidato molti dei suoi scritti. «C’è una ricerca morale che attraversa tutta l’opera di mio padre – osserva Marta Herling – e che negli ultimi anni, quando il confronto con gli eventi storici sembra farsi meno serrato, assume sempre più spesso un’intonazione quasi religiosa. Alla base di tutto, resta la sua intransigenza: una dote molto poco apprezzata, purtroppo, e che aiuta a capire come mai, a volte, la solitudine sia il prezzo da pagare per restare davvero liberi».

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