La scrittrice francese Lila Hassaine - Francesca Mantovani/edizioni e/o/© Editions Gallimard
Una storia di immigrazione che si dispiega lungo tre decenni, dagli anni Sessanta alla fine degli anni Ottanta. Ma che ci parla molto dell’oggi. Sole amaro di Lilia Hassaine, giornalista e scrittrice francese, classe 1991, con radici familiari algerine - pubblicata Oltralpe da Gallimard e in uscita in questi giorni in Italia per le edizioni e/o (pagine 144, euro 17,00) - racconta sogni e bisogni, speranze e disillusioni, fatica e rabbia, separazione e sradicamento, ma anche resistenza e voglia di cambiamento di alcune famiglie di immigrati in una degradata periferia parigina. Con uno sguardo che abbraccia anche la costa sud del Mediterraneo: « Non è mai facile partire, lasciare la terra dei propri cari. E se si prendono dei rischi è perché si è davvero disperati», riflette l’autrice, che nel libro rielabora anche alcune vicende familiari. « Le albe sono strazianti / Ogni luna mi è atroce e ogni sole amaro ». È da questo verso di Arthur Rimbaud che Hassaine trae il titolo di questo suo secondo romanzo, che mette a nudo le vite di persone che finiscono col sentirsi sempre in bilico: «Speranza e disincanto, voglia di futuro e promesse tradite: il tema della separazione mi ha sempre molto travagliata così come quel senso di sradicamento e di non sentirsi a casa da nessuna parte che mi interroga e mi inquieta molto anche oggi».
Nel suo romanzo racconta tutte queste fatiche e inquietudini attraverso la vicenda della famiglia di Naja e Said, che arrivano negli anni Sessanta in una Francia assetata di manodopera per le grandi opere in costruzione. Come molte altre famiglie di immigrati, vivono in una vasta periferia popolare, gli uomini ad ammazzarsi di lavoro nei cantieri o nelle fabbriche, le donne a far crescere i figli, strattonate tra i ruoli e i valori delle tradizioni che hanno lasciato e una realtà che sentono estranea e che le fa sentire di serie B. « La duplicità in quanto identità era già una contraddizione - si legge nel romanzo -, non esisteva una parola per dire uno e due insieme ». Stranieri in Francia, dove rimanevano gli “immigrati” - o peggio gli “arabi” -, lo divenivano sempre più anche nei Paesi d’origine, dov’erano percepiti come appartenenti a un altrove. Ad approfondire lacerazioni, dubbi e ferite anche la storia di un’altra separazione, quella di due gemelli che vengono divisi alla nascita. «Una storia vera – racconta Hassaine –, un segreto che è davvero esistito e che mi è stato raccontato dalla mia famiglia. Soggetti personali e ossessioni d’altri hanno trovato spazio in questo romanzo che, in realtà, avevo cominciato molto tempo fa. Ma sono dovuta passare attraverso la scrittura di un altro libro per ritrovare l’ispirazione che mi ha portata a tornare a questa storia».
La vicenda, seppur narrata in modo sobrio, è ampia e complessa, attraversa tre decenni e si articola a cavallo di alcune generazioni ed epoche. «Gli anni Sessanta sono stati quelli dei grandi flussi migratori in particolare dall’Algeria verso la Francia, soprattutto di uomini soli, che rispondevano al grande bisogno di manodopera. Un po’ alla volta sono arrivate le famiglie e, nonostante le difficoltà, erano ancora anni di speranze che via via sono scemate, quando il lavoro ha cominciato a diminuire e anche le condizioni abitative, già precarie, si sono ulteriormente degradate». Accanto alla precarietà e alle discriminazioni sociali, nel romanzo emergono anche i travagli personali. Sono anni di grandi fermenti e di emancipazione femminile. Spinte che, nella famiglia di Naja e Said vengono vissute in maniera diversa: il padre, più legato a origini e tradizioni, costringerà una delle figlie a un matrimonio precoce nel villaggio d’origine; Naja, rinchiusa nel ruolo tradizionale di moglie e madre, cerca faticosamente di trovare un equilibro; il figlio, promessa di riscatto attraverso lo studio, finirà nell’abisso della droga; mentre le tre figlie subiscono le fratture che lacerano la famiglia e che porteranno a una rottura completa da parte della più giovane, Nour.
Sono loro, tuttavia, queste donne le vere protagoniste del romanzo di Hassaine: « Pur con le loro contraddizioni – sottolinea l’autrice – sono quelle che provano a resistere e a cambiare le cose. Con gli uomini confinati nella dimensione del lavoro, le donne si sono adattate, si sono occupate dei figli, si sono confrontate con altre donne, hanno sofferto, ma hanno anche contribuito a creare un senso di comunità e un cambiamento innanzitutto di mentalità. Molti progressi sociali sono passati attraverso le donne seppur tra molte difficoltà e sofferenze». E anche tra tanti pregiudizi e molte forme di razzismo. Che emergono nel romanzo e sono purtroppo ancora presenti nella società e nei discorsi della politica: «Si usano categorie, stereotipi e semplificazioni che alimentano luoghi comuni e cliché e fomentane tensioni e opposizioni – dice Hassaine –. Tutto questo non aiuta a leggere una realtà che è molto più complessa, ricca e plurale».