Haim Baharier
La prima domanda la fa l’intervistato. «Ma lei il kova tembel se l’è messo in testa?», dice Haim Baharier alludendo al suo ultimo libro, Il cappello scemo (Garzanti, pagine 132, euro 16). Si tratta del copricapo da pescatore che un po’ tutti indossavano nei primi tempi dello Stato di Israele. «Per me – scrive Baharier – rappresenta sopra ogni cosa i valori dell’inizio, la memoria di quando scegliemmo di parlare».
Nato a Parigi nel 1947 da genitori scampati ad Auschwitz, matematico e psicoanalista, Baharier sostiene di avere fama di taciturno, almeno tra le mura di casa. In realtà è molto conosciuto per le sue parole, che rispecchiano un’instancabile assiduità nello studio della tradizione ebraica. Parla con la lentezza precisa dei maestri, prediligendo appunto lo stile dell’interrogazione. Un altro suo testo appena pubblicato si presenta in modo programmatico: Generare è rispondere o domandare? (Mimesis, pagine 62, euro 7).
Un punto interrogativo, del resto, campeggia anche nel titolo della lezione che Baharier terrà domani alle ore 21 presso la basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo nell’ambito del festival Filosofi lungo l’Oglio: “Thánatos è il nulla?”. Compito non facile, questo di pronunciarsi sulla morte in una delle città che più duramente è stata colpita dalla pandemia. Ma è proprio nella difficoltà che si apprezza l’importanza dell’interpretazione. «Personalmente – afferma Baharier – trovo molto convincente l’immagine proposta da un giovane maestro spirituale attualmente attivo in Israele. Con il Covid, sostiene, il Creatore ha imprigionato il mondo. Da qui occorre ripartire: dalla chiusura che c’è stata e dall’apertura che possiamo ripensare. Il Creatore non va necessariamente assecondato, ma di sicuro vanno indagate le sue intenzioni».
Secondo lei quali potrebbero essere?
«Forse il fatto che abbiamo troppo politicizzato alcuni temi, come l’accoglienza e la solidarietà, fino a svuotarli di significato. Ci siamo allontananti dal principio autentico che dovrebbe sorreggere la realtà, così come avevamo fatto all’epoca del Diluvio, un altro evento che di per sé non sopporta la commemorazione e pretende di essere interpellato».
L’ostacolo però rimane sempre lo stesso: la morte.
«Che nel disegno originario non è contemplata. Lo dimostra la condizione di amortalità in cui si trova Adamo nel breve periodo in cui vive secondo quanto disposto dal Creatore. Poche ore bibliche, secondo i commentatori, nelle quali si consuma il distacco definitivo dalla condizione di Neanderthal. Nel rifugio di Eden, Adamo prende coscienza della possibilità della morte, facendo conoscenza di thánatos e del suo gemello, hýpnos, il sonno. È un trauma che non si può più ignorare e che va costantemente rielaborato. Adamo, infatti, lo rielabora inventando la trasmissione come superamento della morte: impedendo, insomma, che la morte si identifichi con il nulla. A questo punto sorge un problema. Freud ha formulato per primo l’ipotesi della trasmissibilità delle patologie da una generazione all’altra. Resta da capire se e come si possa trasmettere anche il principio vitale, quello che i greci chiamavano eros. Ma per fare questo bisogna andare oltre eros».
E oltre eros che cosa c’è?
«C’è la responsabilità dell’essere vivente, nell’accezione più ampia di questo termine. Non solamente l’essere umano, ma il Creato intero, nel quale siamo tutti intimamente legati gli uni agli altri. Anche questo della responsabilità non è un compito che si possa assumere alla leggera. Stando alla tradizione biblica, la Torah fu offerta Israele dopo che gli altri popoli della terra l’avevano rifiutata, dato che ne consideravano troppo oneroso questo o quell’aspetto. La risposta di Israele è esemplare: «Faremo e ascolteremo ». Sono due elementi decisivi. «Faremo» esprime la disponibilità al cambiamento, mentre «ascolteremo» è l’impegno a fare più di quello che ci capisce per capire veramente quello che si sta facendo. Solo così si sperimenta la dimensione della fiducia, che in ebraico si esprime con la parola emunàh. La radice è la stessa di amèn, al centro sta sempre la lettera mem, la emme, che indica il principio di mediazione».
La Torah, dunque, è mediazione e non precetto?
«Esattamente. L’equivoco di una Torah come prescrizione nasce dall’errata traduzione del termine mitzvah, che in ebraico vale come “comunicazione” e non “precetto”. La differenza è sostanziale: il precetto va rispettato senza discutere, la comunicazione dev’essere interiorizzata. Non per niente, il principio più alto di ogni altro principio, ritenuto impenetrabile perfino da Salomone, è quello della Mucca Rossa».
Vale a dire?
«Nella Torah il grado più elevato di impurità è costituito dal contatto con thánatos, ossia con un cadavere. Per riconquistare la purezza occorre celebrare il rituale della Mucca Rossa. La si macella, la si riduce in cenere, si mischia la cenere all’acqua e in questo modo ci si purifica. Ma le persone che hanno presieduto alla preparazione del rito si sono a loro volta contaminate, perché sono entrate in contatto con il cadavere della Mucca Rossa. La morte, di per sé, non è impura. Impura è la mescolanza tra morte e vita, impuro è il mancato riconoscimento di questa distinzione».
La nostra società, però, è molto incline alla confusione dei piani, non trova?
«Sì, e lo abbiamo visto nella fase più drammatica della pandemia, quando la vecchiaia, che per tanto tempo ci eravamo sforzati di ignorare, è improvvisamente diventata una minaccia. Il punto è che, secondo i cabalisti, da principio la vecchiaia non esisteva. Abramo, per esempio, era avanti negli anni, ma non incanutiva. Invecchiò improvvisamente lungo la strada verso il monte Moria, che stava percorrendo per portare Isacco al sacrificio. Era con il figlio che aveva a lungo atteso, ma del quale non era del tutto soddisfatto. La Genesi lo lascia intuire abbastanza chiaramente: Isacco portava su di sé una fragilità, probabilmente la sindrome di Down. Durante il viaggio, a un certo punto, questo erede che non corrisponde alla promessa chiama Abramo a gran voce: "Padre!". Abramo gli risponde, pronuncia le parole "Sì, figlio" e in quell’istante invecchia. Scopre la vecchiaia, anzi. Dopo che è stato riconosciuto come figlio, Isacco non potrà più essere ucciso. Quanto accade in seguito è la conseguenza della vecchiaia inventata da Abramo, che è una forma di ospitalità, un modo per assumere la responsabilità dell’altro».