Giuliano Giuliani (1958-1996) portiere del Napoli del 2° scudetto, 1989-’90 - Ansa
«Bella la vita che se ne va...». Il Carrozzone di Renato Zero è la colonna sonora di due destini incrociati che ho voluto si incontrassero dopo aver letto tutto d’un sorso notturno il libro del collega del “Corriere della Sera” Paolo Tomaselli Giuliano Giuliani, più solo di un portiere (66THA2ND. Pagine 196. Euro 16,00). Giuliano Giuliani, piccolo eroe esemplare di quel calcio italiano ancora epico e a tratti avanguardistico degli anni ’80 (un solo straniero e di solito il migliore del Paese di provenienza) nella mente dell’allora “piccolo” Tomaselli era l’idolo indiscusso. Era il portiere dell’Hellas Verona post scudetto, stagione 1986-’87, al quale lo scolaro e futuro giornalista della redazione sportiva di via Solferino inviava una lettera, spedita da Treviso e «scritta con la grafia incerta ma piena di entusiasmo di un bambino di terza elementare ». Come Tomaselli sognava di diventare un giorno un portiere di Serie A come Giuliani (che a sua volta aveva sognato dietro ai monumentali Lido Vieri e Ricky Albertosi) , il sottoscritto avrebbe tanto voluto essere un bomber come Bruno Giordano. Ma non potendo ambire a tanto, almeno giocare all’attacco come l’uomo del “destino incrociato” a quello di Giuliani: Maurizio Scarsella. Chi è Maurizio Scarsella? Vi chiederete. E cosa può avere in comune con Giuliano Giuliani? Il filo che lega questi due calciatori è la loro storia di belli e dannati. Due talenti che hanno finito troppo presto la loro corsa su questa terra, tragicamente stoppati entrambi dalla “peste” del secolo scorso (peraltro non ancora debellata), l’Aids.
Ma mentre di Giuliano Giuliani, portiere scudettato con il Napoli di Diego Armando Maradona, qualcosa si conosceva anche prima della toccante e necessaria biografia di Tomaselli, di Scarsella alla maggior parte di voi il suo nome non dirà quasi niente. Stiamo parlando di un talento di quella Lazio fine anni ’70, sul quale la grande anima del settore giovanile Volfango Patarca avrebbe scommesso a occhi chiusi. I dirigenti laziali andarono a prendere dall’Urbe Tevere la gemma Scarsella che aveva 11 anni e ne fecero un gioiello. Il ragazzo, classe 1962, giocava a testa alta, all’Antognoni, «fisico alla Van Basten e il sinistro di Mihajlovic», ha scritto Marco Giordano, figlio del bomber Bruno. Marco appena nato era finito tra le braccia di Scarsella, adottato da suo padre ai tempi in cui giocava nel Napoli mentre Maurizio tentava disperatamente di risalire la china al Campania Puteolana (serie C). Dall’esordio in Serie A, grazie a Bob Lovati, in Torino-Lazio (4 maggio 1980) a Una vita sulle montagne russe, proprio come quella di Bruno Giordano (titolo della biografia scritta da Giancarlo Governi). Ma nel caso di Scarsella è stata una caduta libera, passando dal paradiso all’inferno con brevi scali nel purgatorio del calcio di provincia. L’attaccante atipico che, per numeri e qualità tecniche, avrebbe potuto ricalcare il cammino di Vincenzo D’Amico, via dalla Lazio è passato come una cometa a Teramo (15 partite e 1 gol), Varese (18 presenze e 3 reti nel 1982/83 in Serie B) Reggiana, Messina (1986/87 sempre in B). E poi la lenta agonia in C: Campania- Puteolana appunto, Frosinone, Lodigiani, Chieti e Cuneo.
Lo scrivente da ginnasiale lo incontrò rimanendone stregato nella sua fugace stagione al Foligno, campionato di C1 1983-’84. Un testardo senza gloria quel ragazzo di vita della periferia romana che viveva come un Casanova in fuga per le strade dell’Umbria. Durante il ritiro del sabato invece di andare al cinema con la squadra del Foligno, Maurizio si perdeva in mille avventure trasgressive che puntualmente lo facevano rientrare in ritardo. «Scarsella, che personaggio! – mi ha raccontato l’ex portiere di quel Foligno Lamberto Boranga – Quando tornava in albergo alla sera della vigilia della partita noi avevamo già finito di cenare ed era sempre la solita scena: “Mortacci vostri – attaccava Maurizio –, io ero al cinema e quando sono uscito non ho più trovato il pullman. Così mister (l’allenatore era Alberto Mari) ho fatto tardi per cercare un taxi che non se trovava... Oh, non è colpa mia, adesso non voglio sentì parla’ de multe...”. Scarsella era questo – sorride nostalgico Boranga – , genio e sregolatezza, un talento incredibile come ne ho visti pochi, ma si è buttato via per colpa di quei vizi che non lo hanno mai abbandonato ». E fu lo stesso dottor Boranga a diagnosticare quel male, difficile anche da dire, che ha ucciso Scarsella a soli 31 anni. «Un giorno si presenta nel mio studio medico di Perugia e mi fa con il suo solito sorriso scanzonato: “Bongo, famme un po’ quell’esame per capire se c’ho quella malattia che adesso va tanto di moda”. Una settimana dopo risultò positivo all’Hiv. Lo curava il prof. Aiuti ma non c’è stato niente da fare, due anni e mezzo dopo quelle analisi Maurizio è morto».
Era il 26 settembre 1993, Scarsella veniva stroncato da quella stessa malattia che due anni prima aveva ucciso lo scrittore simbolo degli anni ’80, Pier Vittorio Tondelli (1955-1991). L’Aids agli inizi del 2000, quando il testimonial mondiale contro l’Hiv era diventato l’icona del basket Nba, Magic Johnson, aveva già causato 40 milioni di morti. E non avrebbe mai festeggiato il nuovo millennio Giuliano Giuliani che in quell’estate del ’93 in cui Scarsella moriva ricordato da tre righe in cronaca, aveva appeso guanti e scarpini al chiodo. Il cronista più attento pensionava il portiere fenomeno del Como, passato al Verona di Bagnoli e poi acquistato dal Napoli per prendere il posto dell’ex saracinesca gialloblù, Claudio Garella, e conquistare – tra l’89 e il ’90 – il 2° e ultimo scudetto e la Coppa Uefa dei partenopei, per andare poi a chiudere all’Udinese. Un’uscita di scena macchiata da una vicenda penale – traffico di stupefacenti e associazione mafiosa – da cui fu pienamente assolto, e alla quale seguirono le dicerie contro l’untore da evitare assolutamente, quelle sul portiere malato di Aids. La fama del miglior “pararigori” della sua generazione, meglio dei colleghi azzurri Walter Zenga e Stefano Tacconi e unico portiere italiano, forse al mondo, ad aver ipnotizzato per due volte Maradona dal dischetto, era svanita. Giuliani irriconoscibile, con cappellino calato in testa a nascondersi dal mondo, si aggirava per gli stadi nel ruolo di osservatore triste e solitario. Si curava all’Ospedale Sant’Orsola a Bologna dove il poco tempo che gli era rimasto da vivere lo trascorreva nella sua casa in collina ospitando la sua piccola Gessica. La bambina, ora diventata donna, che, la breve eppure intensa storia del padre campione di calcio, l’ha rivissuta attraverso le pagine di Paolo Tomaselli. Pagine scure che parlano di un’infanzia difficile per Giuliani, affidato agli zii, con un padre assente e una madre assassinata in Germania da un folle amante geloso, e la notizia quella domenica lo convinse a portare il suo dolore in campo e giocare lo stesso.
Le pagine chiare sono quelle di una scalata veloce, con l’Inter di Ernesto Pellegrini che l’opziona, ma poi Giuliano finisce nel Napoli di Maradona. E dentro di sì, era convinto che aver preso parte al matrimonio del Pibe de Oro gli era stato fatale. Le nozze furono precedute dalle notti folli di Buenos Aires, dove un rapporto sessuale non protetto potrebbe aver decretato la condanna a morte di Giuliani. Una fine evitabile, difficile da raccontare e da far conoscere, almeno non prima che Gessica fosse diventata grande. E infatti la sua ex moglie e madre della bambina, Raffaella Del Rosario, ha aspettato quattordici anni (Giuliani è morto il 14 novembre 1996) prima di rendere nota la fine del calciatore professionista dimenticato, morto di Aids. La vera storia della solitudine del portiere, che, una volta spenti i riflettori degli stadi, era diventato uno spettro. Quattro amici appena si videro al suo funerale, due erano gli ex compagni del calcio: Luca Mattei (ex Como) e Rodolfo Vanoli (ex Udinese). Perfino il sempre pronto e generoso Maradona non rispose mai agli appelli per organizzare una partita benefica in ricordo dell’ex compagno Giuliano. Solo i tifosi della Curva B del San Paolo lo ricordarono: la domenica dopo la morte esposero lo striscione «Giuliani, dall’azzurro del Napoli, all’azzurro del cielo». Destini incrociati. Così, mentre richiudo il libro di Tomaselli ho immaginato che Giuliani e Scarsella si siano incontrati almeno un giorno a Napoli, Magari a casa di Bruno Giordano, con Maurizio che fino alla fine per la gioia degli amici e la tristezza del suo cuore, ha cantato le canzoni dell’amato Renato Zero. Il Carrozzone, specie quello del calcio, va ancora avanti da sé, con le regine i suoi fanti e i suoi re.