domenica 23 gennaio 2022
Nel 1944 a Parigi la giovane Maïti viene torturata dal nazista Léo Non potrà più toccare il pianoforte. Dopo 40 anni l’uomo, malato, le chiede un incontro. Una storia di rinascita anche nella fede
Maïti Girtanner, scomparsa nel 2014 a 92 anni

Maïti Girtanner, scomparsa nel 2014 a 92 anni - .

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C’è un passato che continua a presentare il conto, dal quale è difficile, talvolta impossibile, liberarsi. Solo il perdono riesce a spezzare le catene che tengono imprigionata la memoria del male compiuto, e solo chi ha patito questo male, solo la vittima può aprire uno squarcio di luce nel buio che abita il cuore del carnefice. È il 1984, a quarant’anni di distanza dal loro incontro un medico della Gestapo bussa alla porta di Maïti, la donna che aveva ridotto in fin di vita dopo averla arrestata a causa della sua attività nella Resistenza francese. Vuole trovare pace, per quel breve tratto di vita che il cancro gli concede ancora. Vuole riparare il male commesso, ma come è possibile? «Con l’amore – risponde la donna –. La sola risposta al male è l’amore. Non potrà mai riparare o correggere il male che ha fatto agli altri durante la guerra. Utilizzi i mesi che le restano per fare del bene intorno a lei, per amare coloro che la circondano».

Lui lo ha fatto, gli ultimi sei mesi di vita sono stati un’offerta di sé agli altri. Per Maïti Girtanner non è stato facile perdonare, anche se per tanti anni pensava di essere pronta a farlo. Non si perdona in astratto, bisogna guardare in faccia il proprio carnefice e implorare per lui una misericordia che l’uomo non è capace di offrire. Bisogna affidarsi e affidarlo a Dio. Solo dieci anni dopo il loro incontro la donna ha deciso di raccontare la sua storia in un libro scritto insieme a Guillaume Tabard, giornalista di Le Figaro, che ora viene tradotto in italiano e pubblicato da Itaca con il titolo Maïti. Resistenza e perdono (Itaca edizioni, pagine 144, euro 14).

La protagonista ha diciotto anni quando le truppe di Hitler invadono la Francia e lei, sfruttando la sua conoscenza del tedesco, riesce a ottenere una libertà di movimento che utilizza per aiutare la gente del suo villaggio e per fare attraversare a soldati in fuga la linea di demarcazione tra la Francia occupata e quella libera. Entra nella Resistenza e si prodiga per falsificare documenti, instradare corrieri, fornire cartine agli inglesi, individuare movimenti di sottomarini, prendersi carico di due professori di musica interdetti dall’insegnamento perché ebrei. Arrestata a Parigi nel 1943, è oggetto di violenze indicibili da parte dei soldati agli ordini di Léo, un medico scelto dalla Gestapo per sperimentare nuovi "trattamenti" con l’obiettivo di ottenere confessioni e testimonianze. Sottoposta per mesi a percosse che producono gravi lesioni ai centri nervosi, viene liberata nel 1944 in condizioni disperate e sottoposta per anni a terapie per recuperare la motricità e attenuare i dolori.

La salute migliora ma deve prendere atto che non potrà realizzare il suo sogno: diventare pianista. Per molto tempo, sentire suonare il pianoforte la farà piangere, di rabbia e di rimpianto. È costretta a misurarsi con un destino molto diverso da quello sognato. «Un giorno decisi che non avrei più rimpianto ciò che ero stata o sarei potuta diventare, ma avrei amato ciò che ero e cercato ciò che avrei dovuto essere. È stato un lungo viaggio, ma questa è la condizione per una vera redenzione e allo stesso tempo il luogo di ogni battaglia». Maïti scopre la vita come vocazione, risposta alle chiamate ricevute: quello che conta «non è prevedere ciò che arriverà, quanto essere all’altezza delle circostanze che si presentano in ogni istante, senza preoccuparsi di ciò che potrebbe venire dopo. Non avevo da scegliere il mio cammino, ma da accoglierlo».

L’avvenimento decisivo è l’incontro con un sacerdote domenicano durante un pellegrinaggio a Lourdes, vissuto distesa in barella, dopo il quale entra nel terz’ordine della congregazione. Gli anni a seguire sono abitati dal ricordo del suo carnefice, la sua voce metallica e il suo sguardo arcigno restano come un peso nel cuore, e della sua sorte si sente in qualche modo responsabile. «Sì, responsabile. Non gli dovevo niente, se non il mio triste stato fisico, ma ero angosciata all’idea che quell’uomo potesse morire deformato dal male di cui si era fatto strumento e complice. Ma lui, chi era diventato? Cosa aveva fatto della sua vita? Come giudicava i suoi atti nella sua coscienza?». Vive così una lunga e misteriosa preparazione a quell’incontro inatteso eppure desiderato, che avviene quarant’anni dopo nella sua casa di Parigi, quando Léo intravede la fine dei suoi giorni e le chiede di incontrarla.

Maïti, che morirà nel 2014 a 92 anni, accetta di rivedere il suo carnefice e capisce che, nel tempo in cui non poteva più far correre le mani sulla tastiera del pianoforte, «il perdono era uno spartito da suonare a quattro mani con Dio».

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