Il cantautore Giorgio Conte, 81 anni, ha ricevuto il Premio Tenco 2022
«Ero preoccupato. Ma quando me lo danno questo premio Tenco? mi chiedevo. Se aspettano ancora un po’ sarà un premio postumo». Sorride ironico e disincantato Giorgio Conte che all’alba degli 81 anni ha ricevuto ieri sera sul palco del Teatro Ariston di Sanremo il prestigioso Premio Tenco alla carriera, appassionando il pubblico con i suoi tanti successi da chansonnier giocoso ed eclettico (è anche scrittore e pittore), dopo una carriera da autore per nomi quali Mina, Ornella Vanoni, Fausto Leali ( Deborah) Rosanna Fratello, Loretta Goggi.
Nell’edizione numero 45 del Premio Tenco, che ha visto premiare giovedì il rapper Marracash ( Targa Tenco Miglior Album dell’anno), e che si concluderà stasera col Premio Tenco a Claudio Baglioni e Fabio Concato, Giorgio Conte (premiato ieri sera con Alice) rappresenta la quota, sempre più rara, dei cantautori di razza. «Prevengo la domanda su mio fratello Paolo – mette le mani avanti Giorgio –. A un certo punto mi sono rassegnato perché tutti gli articoli su di me iniziavano così: 'Giorgio Conte, fratello del più noto Paolo'. Ma c’è bisogno di sottolinearlo? Beh, una volta mi hanno scambiato anche per il fratello di Carlo Conti…'.
Ride sotto i baffi lo chansonnier che trasforma i suoi concerti in happening ricchi di aneddoti e interazione col pubblico. Proprio dal palco del Premio Tenco nel 1983 decise di abbandonare la toga di avvocato per dedicarsi alla musica a tempo pieno. «Era impossibile tenere il piede in due scarpe – ci spiega l’ex avvocato civilista Conte –. Dovevo far finta, quantomeno, di essere una persona seria e se vai in televisione perdi la tua credibilità come avvocato. Presi la decisione quando un cliente che mi disse: 'Avvocato, l’ho vista in televisione. Mi fa piacere, ma la mia causa a che punto è?'». In gioventù Conte unisce gli studi in diritto alla passione per il jazz, la musica popolare e la canzone francese. «Sia io che mio fratello Paolo avevamo un destino segnato nella testa di nostro padre che era notaio e voleva un aiuto – ricorda –. Abbiamo fatto il possibile per assecondarlo, ma non è stato possibile. Abbiamo ripiegato nell’avvocatura e anche lì, a un certo punto, ho dovuto scegliere».
Ma la musica è di casa nella famiglia Conte dove entrambi i genitori suonano il piano, che il piccolo Giorgio comincia a studiare «finché mi sono innamorato di una chitarra classica suonata da un mio amico. Allora ho fatto un corso di chitarra classica a Torino, ma ho imparato il minimo indispensabile per poter comporre. Meno mezzi ho, e più amo raggiungere il risultato ». I primi passi nella musica li condivide col fratello maggiore Paolo con cui instaura un sodalizio umano e professionale importante, sino a che le carriere singole si separano. «Agli inizi ci consideravamo autori per altri interpreti. Confezionando per altri era più facile mettere insieme le idee. Invece quando abbiamo capito, soprattutto prima lui, che le canzoni che ognuno scriveva erano più credibili in bocca nostra, ognuno ha preso la propria strada – aggiunge –. Quando si pedala in tandem è difficile mantenere l’equilibrio, e quindi ci siamo presi due biciclette singole». I successi firmati per altri da Giorgio Conte sono innumerevoli.
«A volte l’incontro con questi grandi interpreti era entusiasmante e ci si capiva al volo, a volte era più problematico. Con Ornella Vanoni sono sempre andato d’accordissimo, anche con Rosanna Fratello che vinse la Gondola d’Argento con Non sono Maddalena » ricorda. Lo stile musicale di Conte unisce ironia e riflessione, per cantare del tempo che passa e della vita quotidiana con malinconica allegria. «Io ho fatto delle buone letture, ho ascoltato artisti che mi hanno sicuramente influenzato, mi piacciono le canzoni che raccontano qualcosa. Nell’universo francese ho trovato molto, però mi piacciono anche tanto le canzoni americane, mi abbandono alle melodie che al di là del testo hanno una forza straordinaria – rivela –. Attualmente ascolto solo pianisti jazz importanti perché suonano brani di autori come Jerome Kern o George Gershwin. Tutta quella roba buona che piace a Woody Allen. Che mi piacerebbe davvero incontrare». Giorgio Conte è schietto e concreto come la campagna dell’astigiano, dove vive nella casa che fu di suo nonno. «È il mio ambiente naturale. Mi vedo le stagioni che mi girano intorno, coltivo i fiori, qualche frutta, ho due cani fedeli e una bella moglie che mi sopporta – sorride –. L’astigianità e la campagna mi hanno ispirato qualche canzone come L’erba di San Pietro, che è un’erba per fare frittate, penso ai cavalli, a un giardino, a una casa che avevo durante la guerra dove c’erano i partigiani in giardino, fra le siepi e le rose. Me li ricordo ancora...».
Adesso è un periodo, ci racconta l’artista, in cui vorrebbe cambiare ancora una volta rotta: «Nel mio mondo ho raschiato il barile abbastanza e non so più tanto cosa dire. Quindi vorrei fare solo il musicista con dei libretti scritti da altri». Come nel caso del La misteriosa fiamma della Regina Loana il nuovo allestimento del Teatro Stabile d’Abruzzo, adattamento del regista Giuseppe Dipasquale dell’ultimo romanzo di Umberto Eco di cui Giorgio Conte ha curato le musiche originali e che ha appena debuttato. «Mi piacerebbe anche lavorare per il cinema ma lì è un mondo un po’ chiuso» ci confessa. Quindi non ci dobbiamo aspettare un nuovo album dopo l’ultimo lavoro del 2017 Sconfinando? «Invece un nuovo album ce l’ho, però sto aspettando perché voglio fare una cosa che mi convinca a mille, per mille». Intanto proseguono le tournée in Italia e all’estero. «Ho capito che sia in Francia, Austria, Germania, Canada il risultato è sempre lo stesso. Ci troviamo bene, ci capiamo, ridiamo e ci commuoviamo per le stesse cose, ci piacciono le belle canzoni con i ritornelli cantabili ». E della musica italiana di oggi cosa pensa? «Posso dirle molto francamente che le canzoni di adesso non mi piacciono affatto. Non ho neanche la pazienza di ascoltare quello che dicono, soprattutto i rapper – ammette franco –. Noi cantautori come una volta siamo una stirpe in estinzione, ma resistiamo».