mercoledì 29 giugno 2022
Premiati col Balzan, gli archeologi sono i massimi conoscitori della civiltà dell’antico Oriente: «Con il nostro lavoro cresce la consapevolezza dei popoli locali»
Giorgio Buccellati e Marylin Kelly-Buccellati

Giorgio Buccellati e Marylin Kelly-Buccellati - Premio Balzan

COMMENTA E CONDIVIDI

«La Siria, allora come oggi, era molto variegata, un po’ come l’Italia. A nord c’erano gli hurriti, a ovest e a sud i semiti con la famosa città di Ebla. Questa concomitanza di popolazioni diverse è molto caratteristica anche della Siria di oggi». Una Siria che dal 2011 è preda della guerra civile e conosce il fenomeno del terrorismo islamico targato Isis. Il salto dal Terzo millennio avanti Cristo a oggi è vertiginoso. Ma aiuta a capire molte cose se lo si compie con Giorgio Buccellati e Marylin Kelly-Buccellati, gli archeologi che il 1 luglio a Berna riceveranno il Premio Balzan per la sezione “Arte e archeologia del Vicino Oriente antico”, conferitogli nel 2021 e rimandato a causa del Covid. Il premio è motivato dalla loro attività con le popolazione locale: mille iniziative sul campo che neppur la guerra ha fermato. E dal loro lavoro pionieristico con le tecnologie al servizio dell’archeologia: 40 anni fa sono stati tra i primi a introdurre negli scavi la fotografia digitale.

«In questi 11 anni abbiamo continuato a mantenere rapporti attivissimi, siamo l’unica missione straniera a farlo», ci dice Giorgio Buccellati, classe 1937, professore emerito all’Università della California di Los Angeles (Ucla), dove ha fondato il Cotsen Institute of Archeology, all’interno del quale dirige il Mesopotamian Lab. Alla coppia si deve la scoperta della città hurrita di Urkesh, sito a nord della Siria verso il confine turco, dove scava dal 1984. Urkesh è importante soprattutto dal punto di vista archeologico «perché dagli scavi risulta essere una delle città più antiche della storia. Risale al 4.000 a.C. Lo stesso periodo dello sviluppo urbano al sud con i sumeri», spiega l’archeologo. Ma chi erano gli hurriti? «La definirei una popolazione “elusiva”, ci sono pochi documenti scritti per i periodi più antichi».

Le inferenze che si possono fare sulla loro compagine sociale e politica riguardano, dunque, soprattutto l’osservazione dell’ambiente. Ne emerge che tra hurriti e sumeri «c’era una grande differenza nell’approccio al territorio. I sumeri vivevano in un ambiente pianeggiante, dove l’irrigazione era centrale per lo sviluppo economico». Ogni città era quindi limitata come territorio. Nel nord invece c’era sufficiente acqua piovana. Ed erano presenti i rilievi dell’altopiano: «Per questo, dal punto di vista sociale e politico, gli hurriti avevano rapporti meno basati sul contatto faccia a faccia all’interno di un piccolo territorio e più sui rapporti di parentela, “etnici”. Una diversa concezione della solidarietà sociale all’interno del gruppo politico».

A testimoniare l’importanza della città nel III millennio sta il fatto che «la figlia dell’accadico Naram-Sin, considerato il Napoleone dell’epoca, andò in sposa al re hurrita di Urkesh», ricorda Marylin Kelly- Buccellati, docente emerita alla California State University e visiting professor al Cotsen. «Sono molto importanti anche i rapporti con il nord, con la Turchia fino al Caucaso. Non ci sono tracce scritte, ma ceramiche e tradizione dei focolari», spiega la studiosa, che è specialista dell’archeologia del Caucaso, in particolare della Georgia.

A parte alcune puntate nella capitale siriana Damasco, dove saranno a ottobre, dal 2011, come detto, gli scavi sono interdetti alla missione archeologica dei Buccellati. Il lavoro lo portano avanti soprattutto sui dati informatizzati dalla loro casa in Val d’Ossola. Ne hanno fatto il quartier generale da cui irradiano le iniziative che mettono in campo, anche grazie al sostegno dei loro collaboratori, per sensibilizzare la popolazione locale e così contrastare i problemi di conservazione, dovuti a molti fattori: il clima, viste le piogge e il gran caldo; il vandalismo, favorito dal caos della guerra civile; il terrorismo, che distrugge per motivi ideologici. Come nel 2015 a Palmira, dove hanno ucciso Khaled al-Asaad, curatore degli scavi e grande amico dei Buccellati. «Noi come Occidente non abbiamo fatto praticamente niente per controbattere questo aspetto – constata amaro Giorgio Buccellati –. L’archeologia è invece un modo molto efficace per poterlo fare. Proponiamo un orgoglio del passato che è proprio ciò che l’Isis nega».

Perciò sono state mantenute in loco una serie di attività. Tour con gli autobus, per portare al sito un turismo per forza di cose locale e che è stato anche frenato dal Covid. Poi mostre nelle piccole città vicino al sito. E le conferenze che alcuni archeologi siriani tengono nei villaggi davanti a un uditorio di 20-30 persone. Incontri che «indicano la nostra volontà di essere presenti e vicini. Abbiamo anche mandato dei videomessaggi di saluto », sottolinea Marilyn Kelly-Buccellati. Tutto questo per incoraggiare la gente locale a identificarsi con un passato «che è loro, ma non è loro». Gli hurriti, infatti, non hanno legami etnici con i cinque gruppi più importanti, tra i quali curdi e arabi. «Siamo riusciti, però a mostrare loro come l’affinità territoriale è equivalente». Insomma gli hurriti non sono i progenitori della popolazione odierna, ma abitavano gli stessi luoghi. Per cui alla fine «tutti questi gruppi sono molto orgogliosi di questo passato. Una consapevolezza che è il miglior baluardo contro il terrorismo». E anche contro i “tombaroli”. «Nel nostro sito contrariamente ad altri, seriamente vandalizzati, non è stato toccato un coccio», afferma Giorgio Buccellati.

Last but non least, le attività con i giovani. I ragazzi siriani di medie ed elementari, che vengono messi in contatto con coetanei di altri Paesi. Si è iniziato con l’Italia, poi gli Stati Uniti, la Grecia, in futuro la Spagna e dall’anno prossimo anche Gaza, «situazione in un certo senso ancora più difficile, perché si deve parlare di orgoglio del territorio in un luogo dove questo è messo in questione». Il progetto è ambizioso e impegnativo. I giovani sono seguiti da archeologi in Siria e nei vari Paesi. E lo scambio devono condurlo in inglese attraverso le tecnologie. Il digitale per i Buccellati, infatti, non è solo un ausilio pratico, aiuta nella concettualizzaione dell’immensa mole di dati. «Milioni se si considerano piccoli cocci e ossa. Ognuno ha una sua dignità. A partire da essi, grazie al sito web, si può portare avanti un “discorso digitale” in parallelo su molti livelli di analisi. Mettendo così in rapporto dinamico e critico i dati». Il digitale serve, dunque, ad analizzare criticamente la realtà. A «stimolare il cervello invece di annebbiarlo», come avviene con l’uso che oggi molti adolescenti fanno della tecnologia. Lo sguardo è dunque sempre proiettato al futuro. «Quando potremo andare, gli scavi riprenderanno e sarà come se fossimo partiti ieri», dicono i due con entusiasmo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: