giovedì 19 settembre 2024
La concordia, spiegava, non è un’invenzione ma la scoperta del ritmo impresso dalla Trinità alla storia: per questo c’è corrispondenza tra età biblica ed età della Chiesa
Liber Figurarum Tavola XIb di Gioacchino da Fiore

Liber Figurarum Tavola XIb di Gioacchino da Fiore - Centro Internazionale di Studi Gioachimiti

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Nella scia di Paolo, Gioacchino da Fiore riconosce nella condizione aperta dalla Resurrezione la pienezza dei tempi, intesa non come un evento puntiforme, ma come un lungo percorso storico avviato da Cristo e destinato a compiersi in virtù dello Spirito Santo. Il messaggio divino si fa più nitido e comprensibile via via che ci si avvicina alla fine. La fase dei profeti si è conclusa. Per capire il presente e gli imminenti tempi ultimi occorre quindidiffidare di oracoli e vaticini di incerta provenienza e ritornare alle Scritture, innanzitutto all’Apocalisse, l’unica profezia biblica riguardante l’intera storia della salvezza.

Celebrato come profeta già in vita e dopo morte (Dante: «il calavrese abate di spirito profetico dotato»), Gioacchino rifiuta di dirsi tale. Ai profeti, dice, si sono sostituiti i dottori, al tempo dei miracoli il tempo della scienza, cioè dell’interpretazione. Può capitare ancora che si usi il verbo “profetare”. In tal caso profetare significa però disporre del dono di comprendere spiritualmente le Scritture. Quando spiega a papa Lucio III un oscuro vaticinio recuperato dalla cassa di un cardinale defunto, o polemizza con Goffredo di Auxerre, abate cistercense come lui, spiegandogli con le parole di Geremia che per la Chiesa romana è meglio piegarsi all’Impero, piuttosto che sfidarlo militarmente; quando preannuncia l’esito della crociata a Riccardo Cuor di Leone e al suo seguito in attesa dell’imbarco a Messina, o avverte Enrico VI all’assedio di Napoli che un temporaneo ritiro risulterà alla lunga più vantaggioso per lui, in tutte queste situazioni chi lo ascolta lo considera un profeta. Gioacchino si presta all’equivoco, rivendicando però il proprio ruolo autentico di interprete delle Scritture: chi sa leggere spiritualmente la Bibbia comprende la storia del mondo e i pericoli incombenti. Il suo nome è legato alla concordia, il procedimento interpretativo che dà il titolo all’opera più fortunata, la Concordia del Nuovo e dell’Antico Testamento. Per Gioacchino la concordia non è un’invenzione, ma la scoperta del ritmo impresso dalla Trinità alla storia, per cui un certo soggetto o un certo conflitto dell’Antico Testamento trovano puntuale corrispondenza in un soggetto o in un conflitto del tempo della Chiesa. La novità non sta tanto nell’idea della correlazione (fin dai primi secoli elementi dell’Antico Testamento sono considerati dai cristiani prefigurazioni rispetto al Nuovo), ma nella sistematicità con cui il progetto è perseguito. Un’impresa totale: per ogni racconto biblico deve darsi un corrispettivo simmetricamente convincente. Figure e vicende delle generazioni dell’Antico Testamento trovano, grazie a semplici calcoli aritmetici, puntuali riscontri nelle generazioni successive alla venuta di Cristo. La storia cessa così di apparire un groviglio insensato di catastrofi.

In linea di principio il programma è semplice. La complessità nasce dal fatto che la storia si (di)spiega come proiezione della Trinità. Ciascuna delle tre persone divine vi imprime un proprio segno speciale in tre grandi fasi, distinte e successive: i tre stati del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, ciascuno dei quali caratterizzato da un proprio ordine, rispettivamente dei coniugati, dei chierici e dei monaci. L’impianto ternario – teologico, ecclesiologico e sociologico - non poteva essere ignorato nella modellizzazione della concordia: strada facendo, Gioacchino sostituisce il modello binario semplice (Antico Testamento / Nuovo Testamento; primo popolo / secondo popolo) con due modelli, che sviluppa parallelamente, miranti entrambi a disporre le serie di corrispondenze secondo un ritmo ternario. Connessioni e accostamenti magnetizzano il lettore. Solo chi si addentra fino in fondo nei dettagli della costruzione si rende conto di incongruenze e forzature. Gioacchino stesso le segnala qua e là, come piccole crepe che non compromettono la solidità del suo edificio.

Dopo aver fissato la concordia, Gioacchino passa alla comprensione spirituale (intelligentia spiritalis), che include dodici possibili piani di lettura delle Scritture. Innanzi tutto, cinque comprensioni “generali”: storica, morale, tropologica (riguardante propriamente l’espressività dei discorsi divini), contemplativa e anagogica (rivolta alla vita celeste e alla natura divina e come tale non pienamente raggiungibile nella vita terrena). Poiché nella storia della salvezza si manifesta la Trinità, le storie narrate nelle Scritture vanno propriamente comprese nella luce delle relazioni trinitarie. Un passo biblico può perciò essere letto anche secondo sette specie di comprensione “tipica”: in rapporto al Padre; al Figlio; allo Spirito; alla relazione Padre-Figlio; alla relazione Padre-Spirito; alla relazione Figlio-Spirito; e infine alle tre persone considerate nella loro unità. Questo in teoria. In pratica Gioacchino fornisce un semplice assaggio della possibile applicazione delle comprensioni tipiche. La sola esegesi del racconto della Creazione secondo Genesi 1, condotta nella prospettiva di quattro di esse, occupa già un centinaio di pagine della Concordia! Il progetto grandioso di un’interpretazione del testo integralmente trinitaria è quindi abbandonato. Resta l’intuizione che il dinamismo della vita divina, in quanto innerva la storia, deve risultare leggibile in ogni passo biblico.

Scritture e storia si trovano racchiuse entro un sistema interpretativo coerente. La storia presenta peraltro situazioni e rovesciamenti che l’interprete deve tenere nel giusto conto. La scelta divina, potenzialmente eversiva di tutte le gerarchie, è a sostegno degli umili e dei deboli. Dio elesse Giacobbe a spese di Esaù non in previsione di qualche futuro merito o demerito dell’uno o dell’altro, e neppure per una decisione arbitraria e imperscrutabile, ma proprio perché Giacobbe era il secondo. Così, la Chiesa dei tempi finali si troverà posta come nella festa dei santi Innocenti, il giorno dell’anno in cui eccezionalmente un vescovo si caricava sulle spalle un bambino.

Grazie a Gioacchino l’annuncio apocalittico del Regno millenario rivive come attesa di una condizione terrena futura e imminente, incuneata tra le ultime tribolazioni e il giudizio universale. «Il gran sabato che ci piacque chiamare terzo stato» è la settima età, lo stato dello Spirito prefigurato nel settimo giorno della Creazione. Agostino aveva affermato che i mille anni dell’incatenamento di Satana (Apocalisse 20) coincidono con il tempo della Chiesa. Gioacchino condivide solo in parte la censura agostiniana nei confronti del millennio finale. Rinuncia volentieri all’idea dei mille anni tondi, ma tiene ferma la fiducia in una fase finale pienamente storica di pace e di libertà. E così apre nuove vie alla storia intellettuale e alla teologia politica dell’Occidente.

Il convegno: tre giorni per esplorare l'eredità del grande monaco medievale

“Gioacchino da Fiore e la Bibbia”: è il tema del X congresso internazionale di studi gioachimiti, organizzato dal Centro intitolato al grande pensatore medievale e monaco, che si svolgerà da oggi al 21 settembre nella chiesa abbaziale florense di San Giovanni in Fiore (Cosenza). Cinque le sessioni previste. E oggi alle 15.30 a introdurre il tema principale del congresso sarà proprio Gian Luca Potestà direttore del Comitato scientifico del Centro Studi Gioachimiti Scritture e storia, e docente all’Università Cattolica di Milano. Qui presentiamo una sintesi del suo intervento, che nello specifico affronterà il tema «Gioacchino da Fiore e l’esegesi del suo tempo». L’evento intende affrontare una questione nodale per la conoscenza di uno tra i più originali pensatori dell’Occidente. Ad aprire i lavori sarà con i suoi saluti il presidente del Centro Studi Gioacchimiti, Giuseppe Riccardo Succurro. Il programma e l’organizzazione scientifica si devono al domenicano e docente di storia del cristianesimo alla Cattolica di Milano Marco Rainini e al medievista Dominique Poirel e professore, tra l’atro, all’Istituto cattolico di Parigi. I relatori del congresso, – tra loro Andrea Scalia, Cédric Giraud, Julie Barrau, Emmanuel Bain, Lorenzo Cozzi, Ayelet Even-Ezra e Montse Leyra Curiá – provengono dalle università di Gerusalemme, Oxford, Cambridge, Montreal, Michigan, Parigi, Madrid, Ginevra, Strasburgo, Marsiglia, Cosenza, Bologna, Bergamo, Milano, Modena, Roma. La tre giorni cercherà di affrontare in prospettiva storica, filologica, teologica ed esegetica le questioni fondamentali relative a Gioacchino interprete del grande codice biblico, da cui tutta la sua visione trae ispirazione e vigore. Non è un caso che, il 27 giugno scorso, papa Francesco, nel messaggio per la Giornata mondiale del Creato, abbia citato Gioacchino da Fiore affermando che «seppe indicare l’ideale di un nuovo spirito»

Filippo Rizzi


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