Il presidente Francesco Ghirelli al centro della rosa dell'Aquila calcio
Parla l’ex n.1 della Lega di C che domani ripartirà con una nuova avventura: quella da presidente del club abruzzese (serie D) rinato dalle ceneri del fallimento di cinque anni fa C’è un dirigente di calcio che si aggira da decenni per il Paese. Un hombre vertical che hanno provato a piegare, quelli del palazzaccio del pallone, e a mandarlo in pensione anticipatamente, ma si è dimesso da Presidente della Lega Pro di sua sponte e adesso riparte, con un’avventura di quelle che predilige: «Un progetto di “ricostruzione” umana, ancor prima che sportiva».
L'Aquila unico club che segue l'azionariato popolare stile Bundesliga
Parola di Francesco Ghirelli, umbro, di Gubbio, classe 1948, ex n.1 della Lega di Serie C e che ora ricomincia da un gradino sotto, la serie D, e dall’Aquila Calcio. Una società modello che dalle ceneri del fallimento di cinque anni fa è rinata per espressa volontà popolare. «Siamo l’unico club in Italia che ha veramente seguito il principio dell’azionariato popolare tedesco e la spinta per riemergere è arrivata direttamente dalla Curva – spiega Ghirelli - La rinascita dell’Aquila si deve a quelli che tutti qui chiamano i “gemelli” (così vogliono essere chiamati ed io rispetto il loro desiderio di privacy) , due “ultras” che sono una forza della natura e che incarnano la voglia di correre di questa città per recuperare il tempo perduto, a causa del terribile sisma che l’ha colpita quindici anni fa». L’azionariato popolare finora ha raccolto, porta a porta, 1 milione e 200mila euro, soldi che servono a finanziare il club , e nello stesso tempo va avanti il restyling dello stadio Gran Sasso d’Italia che nel piano industriale che verrà presentato per i prossimi cinque anni si arricchirà di spazi commerciali e sanitari. L’Aquila dunque, «una città per cantare», direbbe Ron, ma anche per fare «calcio solidale», aggiunge un’entusiasta e rinvigorito Ghirelli che parla di una «incredibile identità territoriale. Qui c’è un sindaco, Pierluigi Biondi, che è un amministratore concreto: sta dirigendo una ricostruzione di alto profilo e lo stadio fa parte della centralità urbana. La squadra poi è supportata da decine di sponsor, a cominciare dai ristoranti dove veniamo ospitati gratis, perché ovunque c’è la consapevolezza che la nostra è una realtà che va aiutata a crescere. Tra questa gente, ho ritrovato l’entusiasmo e ho capito che il “monte sacro”, il Gran Sasso, conferisce e trasmette forza, energia, solidità e capacità di andare verso il cielo. Non è poesia ma la cultura e la tradizione solida di gente laboriosa».
Dimesso dalla presidenza della C perchè non c'era la volontà di fare riforme
Pronta per il campionato dopo aver lavorato sodo in preparazione è la rosa agli ordini di mister Massimo Epifani, «condivideva la stanza con Max Allegri ai tempi del Pescara di Galeone», sottolinea Ghirelli. Una pattuglia di giovanissimi ambiziosi e una vecchia volpe a fargli da chioccia, il centrocampista aquilano Lorenzo Del Pinto tornato a casa dopo 8 anni trascorsi in giro per la Lega Pro. Non si dice, ma è chiaro che l’obiettivo è puntare alla promozione in C. Ritorno in quella galassia che il presidente Ghirelli ha provato a riformare incassando però una sfiducia immeritata che l’ha portato a lasciare. «Avendo ottenuto la maggioranza, 35 club, ma non i 2/3 dei voti necessari per far passare la riforma, era prevedibile che mi sarei dimesso. Mi ero dimesso a 42 anni da Presidente della Giunta Regionale dell’Umbria e perché a 74 anni non l’avrei dovuto fare da presidente di Lega Pro? Fatte le debite differenze, il tema dell’innovazione accomunava le due esperienze. Fare il presidente della Serie C è stato bello, faticoso, ma se non si fanno le riforme necessarie allora buon viaggio a tutti… La Serie C è un campionato, il primo a livello nazionale, dove tutto è fermo da veti incrociati e indecisioni inconcepibili. Noi l’avevamo portato ad un punto di svolta, ma la sbandierata riforma era irrinunciabile. Pena: un boomerang terribile. Un progetto studiato, sostenuto scientificamente, provato negli anni dei playoff, poteva collocare la C in zona di massimi profitti e altissima attrattività. La paura del nuovo, che blocca da sempre l’Italia, si è riverberata anche nel calcio, per colpa di chi non vede oltre il proprio naso e non ha il coraggio di rischiare ». Tanti presidenti rimpiangono l’ottimo lavoro svolto nell’era Ghirelli. «Di sicuro la maggior parte di loro converranno che è stata un’esperienza affascinante. Abbiamo lavorato per costruire un modello che collegasse il calcio al sociale, al territorio, ai valori, alla innovazione. Ci siamo rivolti al passato e all’esempio unico di Artemio Franchi, il più grande dirigente italiano, il primo che capì come il calcio della storia dei Comuni d’Italia fosse una ricchezza inestimabile.
Nel nome del Beato Carlo Acutis e al servizio dei giovani
E poi abbiamo sempre pensato ai giovani e il richiamo al Beato Carlo Acutis adottato come patrono della Lega di C non era mica un pensiero visionario. I giovani oggi hanno bisogno di punti di riferimento. Girando per l’Italia, abbiamo vissuto un’esperienza moralmente gratificante, abbiamo ascoltato ragazze e ragazzi, siamo stati costruttori di valori. Io sono diventato migliore rispetto a quando non conoscevo il Beato Carlo Acutis». Sulla scia di Acutis, da Bolzano, passando per la sua tomba, nella Chiesa della Spoliazione ad Assisi, fino a Palermo. Quest’ultimo scenario di una partita epica nella storia della serie C. «La finale promozione di due anni fa, Palermo-Padova, sembrava un superbowl, 34mila spettatori allo stadio Barbera. Il calcio entro dieci anni o sarà così o la sua sorte è segnata a sport residuale, esclusivamente per un pubblico di anziani. Noi abbiamo lavorato per dei playoff come apice emozionale della stagione. La risposta? Stadi sempre sold out, tv che dopo una lotta di convincimento durissima ci hanno offerto la massima visibilità. E poi abbiamo puntato tutto sui giovani in campo, mettendo incentivi, facendo progetti di nuove infrastrutture sportive e formazione di nuovi “maestri” educatori. Massima attenzione alla salvaguardia dei giovanissimi: tutelare i 15enni “dalle rapine” dei club delle serie superiori e, contemporaneamente uno sgravio fiscale e contributivo significativo: una detassazione dei contratti fino a 15.000 euro. Un sollievo straordinario per i club; l’utilizzazione dei volontari, si pensi a chi svolge mansioni nei settori giovanili. Tutto questo fino al mio ultimo giorno da presidente di Lega Pro, poi io ho fatto un passo indietro lasciando aperta la porta della speranza.
Il sistema calcio a rischio se non si cambia passo
Ora spero vivamente che qualcuno trovi il coraggio di vincere le paure che bloccano la riforma, che ci provi e possibilmente ci riesca». Intanto la C, per le solite gabole all’italiana rischiava di perdere il Lecco dopo la storica promozione in B ed avere una promozione in meno, e ora vede la Reggina di Pippo Inzaghi (dimissionario) scivolare in D. «Per il “caso Lecco” sarebbe stato sufficiente spostare di una settimana l’iscrizione al campionato di B. Quanto alla Reggina, se avessero adeguato la normativa federale a quella statuale, si sarebbe evitata questa ennesima sceneggiata estiva. La norma “Gravina” secondo il mio parere va rivista, l’anno scorso al 25 agosto ci portò a una situazione paradossale e ogni anno sarà la stessa storia, perché quella norma prevede che occorra sempre aspettare le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato. Aggiungo che occorre risolvere il problema alla radice: fare la preiscrizione a marzo. Le riforme si fanno, non si declamano. Altrimenti si resta nella follia». Le vere follie nel calcio però sembra le stia facendo la “colonizzazione” dell’Arabia Saudita. «Mi fanno sorridere quelli che ora gridano allo scandalo del Mancini ct saudita. Certamente la questione dell’ex ct poteva essere gestita meglio, perché è stata una brutta vicenda per il calcio italiano. I calciatori che per soldi dicono sì all’Arabia Saudita? Ma non è forse la stessa strategia messa in atto decenni fa da molti imprenditori italiani ed europei? Alla metà degli anni ’80 Berlusconi e company acquistarono calciatori, fecero saltare i prezzi, costruirono epopee gloriose. L’Europa, anche del calcio, potrebbe governare la transizione se usassimo curiosità e se fossimo capaci di trovare nuove chiavi culturali e interpretative rispetto a quelle attuali obsolete, rivolte all’indietro». Guardando avanti, dopo i vituperati Mondiali in Qatar, ora siamo partnership della Turchia nella candidatura per i prossimi Europei. «Il dossier Italia per la candidatura era molto a rischio. Per gli Europei del 2012, il coordinatore della candidatura era il sottoscritto e rispetto ad allora poco è cambiato negli stadi italiani. Siamo rimasti l’ultimo Paese in materia di impianti sportivi e non si vedono sviluppi imminenti. Lo dico con chiarezza, correre con la Turchia per assicurarsi che gli Europei di calcio si svolgano in parte in Italia è stato giusto, ma guai però a pensare alla conquista dell’ Everest, mentre è solo il segno che il calcio italiano deve innovare tanto. E costruire stadi confortevoli e moderni resta una priorità». Nel suo piccolo lo stadio Gran Sasso d’Italia è al passo con i tempi e soprattutto con la categoria. E da domani il presidente Ghirelli riparte da qui e da L’Aquila-Matese, prima giornata della serie D. Girone F, come la fortuna di incidere ancora nel mondo del calcio.