sabato 22 maggio 2021
Riflessione a quattro mani di due grandi intellettuali su come le affinità tra i due Paesi restino un punto di partenza per l’unità continentale
“Italia e Germania”, dipinto allegorico del 1828 di Friedrich Overbeck

“Italia e Germania”, dipinto allegorico del 1828 di Friedrich Overbeck - WikiCommons

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Questo 700° anniversario della morte di Dante Alighieri, nel 1321, è commemorato ovunque, e non solo nel suo Paese d’origine: l’Italia. Dante è diventato da tempo una delle figure di spicco di quella che è conosciuta come “letteratura universale”, con un termine – tanto citato – di Goethe, e in Germania ha titolo di “idolo letterario” dall’inizio del XIX secolo. In occasione della celebrazione del 600° anniversario della nascita di Dante, nel 1865, fu fondata la Società Dantesca tedesca, tuttora esistente, che si dedica alla continuità scientifica e alla divulgazione della sua opera. Per quanto sorprendente possa apparire, quando la Società Dantesca italiana venne costituita nel 1888 uno dei modelli per la sua fondazione fu la corrispondente Società Dantesca tedesca. La sorpresa ha tuttavia le sue ragioni, poiché il largo anticipo, in Germania, è spiegato da un’intensa accoglienza dell’opera e del mito di Dante e da un profondo entusiasmo dantesco, soprattutto tra i romantici. Per loro, egli era modello di una letteratura che si allontanava dal classicismo, essenzialmente francese, basato sulle regole.

Offriva un modello di libertà di immaginazione poetica; e sotto questo aspetto il suo ruolo era abbastanza paragonabile a quello che nello stesso momento iniziava a svolgere Shakespeare. Nel caso di Dante, però, la situazione è diversa: la sua autorità, come modello per la letteratura, non si limita infatti al punto di vista estetico. Con Dante emergono domande che hanno plasmato l’immaginario romantico anche sotto altri aspetti. In fondo, egli è visto come il rappresentante di una visione storica dell’Europa che, al di là dei nazionalismi che stanno anche ora riemergendo con le loro note e devastanti conseguenze, si presenta come l’utopia di una comunità pacifica dei popoli di questo continente. E tale visione ha cercato il suo modello nelle “origini”. In una sintesi in cui l’universalismo di ispirazione cristiana è combinato con l’istituzione storica dell’Impero romano per creare l’immagine di un futuro migliore. In un romanzo di Joseph von Eichendorff, scritto in Italia e ambientato nel 1818, intitolato Das Marmorbild, si sviluppa una storia romantica basata su un convergere di storia e psicologia, e si caratterizza così il Paese in cui è ambientata l’azione: «Impero sommerso ai tuoi piedi, / Dal cielo vicino e lontano / Saluti da un altro regno – / Questa è l’Italia!».

È l’immagine allora sentita dell’Italia che traspare in questi pochi versi: la Penisola incarna l’eredità storico-culturale dell’Occidente, che si estende tra il passato di un impero pagano e la cristianizzazione dell’Europa. Negli stessi anni Novalis celebrava in Cristianità ossia Europa[Die Christenheit oder Europa] questo mito universale di segno spirituale: «Erano tempi belli, splendidi, quando l’Europa era un paese cristiano, quando un’unica cristianità abitava questa parte del mondo plasmata in modo umano; un unico, grande interesse comune univa le più lontane province di questo ampio regno spirituale». In Italia, questa eredità di un passato in corso, in cui la Germania è ugualmente parte, è visibile fino ai giorni nostri. «La terra dove fioriscono i limoni», come viene chiamata nel Wilhelm Meister di Johann Wolfgang Goethe – anche lui appassionato viaggiatore in Italia – incarna per i contemporanei una sintesi tra un tipo ideale di natura e la “presenza” di una storia introvabile da qualsiasi altra parte. Si tratta di una storia comune, e in questa eredità storica nella quale i tedeschi hanno più di una semplice parte, perché essa collega Germania e Italia in uno speciale vincolo – ma questo significa anche: in un modo che è incline al conflitto.

Nel-la Divina Commedia, sesto canto del Purgatorio, il pellegrino Dante e la sua guida Virgilio – e questa coppia già ripropone un ibrido culturale tra un grandioso passato pagano e un (per ora meno radioso) presente cristiano – incontrano il trovatore italiano Sordello da Goito. Quando questi e Virgilio si accorgono di provenire dalla stessa zona, Mantova, i due poeti si salutano in un caldo abbraccio. Ma Dante coglie il loro affetto spontaneo come occasione per un’invettiva violenta e ampia contro lo stato attuale dell’Italia, che offre la contro-immagine di un profondo dissidio. Chiamata un tempo a governare i popoli, l’Italia si sta ora distruggendo in battaglie intestine incessanti. L’accusa di Dante è altresì diretta contro il re tedesco-romano Alberto I d’Asburgo, ch’egli accusa di negligenza nei confronti dell’Italia, il «giardino dell’impero» colpevolmente trascurato. Il suo rimprovero si inserisce ancora nella storia comune di Germania e Italia, il cui quadro istituzionale è fissato a partire dall’incoronazione imperiale di Carlo Magno nell’800.

Per secoli, questo tentativo di rinnovare l’Impero romano nell’Europa post-antica ha unito i due Paesi in una comunità di destino e ha condotto a quella alternanza continua di cooperazione e opposizione tra i due poteri che stanno all’origine della rinnovazione dell’Impero nel IX secolo: l’Imperatore e il Papa. L’idea di restaurare un’antica istituzione in un mondo completamente cambiato, questa miscela ibrida di presente e passato, dovrebbe – politicamente e culturalmente – avere conseguenze significative per l’Italia e per la Germania. L’aspirazione a un impero sovranazionale ha, tra le altre cose, contribuito in modo notevole al fatto che entrambi i Paesi hanno imboccato molto più tardi di altri un percorso orientato al futuro in tutta Europa: la formazione, cioè, di uno Stato nazionale. Questo ritardo ha portato alla percezione di uno “svantaggio” storico, che su entrambi i versanti delle Alpi nel XX secolo è sfociato in un nazionalismo eccessivo e violento, in cui Italia e Germania si sono di nuovo trovate riunite in una comunità politica e fatale di azione, le cui conseguenze catastrofiche si sono ripercosse non solo sul nostro continente.

È inevitabile che una storia comune così mutevole sia contrassegnata da uno ciclico scontento tra i due Paesi. Ma anch’esso è conseguenza della loro “unione”; è parte di una storia condivisa che, indipendentemente dall’entità del conflitto, ha consentito uno scambio singolarmente fruttuoso tra i due Paesi e ha prodotto una grande ricchezza culturale. Tutti gli sconvolgimenti temporanei – percepibili anche nel presente nei rapporti tra Italia e Germania – non possono intaccare questa eredità comune e duratura, e quindi non vanno dimenticati.

Non bisogna solo avere in mente la reciproca permeabilità di civiltà e i fecondi parallelismi che si illuminano a vicenda: Italia e Germania sono gli unici Paesi in Europa in cui le creazioni dello spirito, e specialmente la musica, là Wagner e qui Verdi, abbiano contribuito, nel XIX secolo, così vigorosamente alla coscienza nazionale. Ma si tratta anche di una collaborazione scientifica, industriale, filantropica, della quale i due esempi più illustri rimangono, a nord, Heinrich Mylius (Francoforte sul Meno, 1769 - Milano, 1854), imprenditore della seta, filantropo, fondatore della Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri, la cui visione ed esemplarità industriale rimarrà per sempre legata al luminoso quadro di Giovanni Migliara, La filanda Mylius, 1828; e poi, a sud, Anton Dohrn (Stettino, Pomerania 1840 - Monaco di Baviera, 1909), promotore e fondatore della Stazione zoologica marina di Napoli, 1872, uno dei vanti scientifici dell’Ottocento europeo (con Ostenda e Concarneau). Non meno ricca e continua è la feconda presenza di italiani in Germania, a cominciare dal riformatore illuminista Carlo Denina (Revello 1731-Parigi 1813), alla corte di Federico di Prussia, autore non solo della Prusse littéraire sous Frédéric II (1790-1791), ma anche di un radicale trattato ergonomico Dell’impiego delle persone (1776-1777), nel quale immaginava una società nella quale tutti dovessero lavorare, nobili e clero compresi.

La storia comune è arricchita soprattutto da Clemens Brentano (della famiglia dei Brentano di Tremezzo), uno dei responsabili dell’«unità delle tradizioni popolari», delle leggende, fiabe, credenze europee, nutrita dalla conoscenza delle fiabe del Basile, e approfondita – nel solco di Novalis – dalla frequentazione e dalle visioni di Anna Katharina Emmerick. Il caso di Clemens Brentano mostra, ancora più in profondo, la vena che unisce Germania e Italia nel futuro dell’Europa comunitaria: una sapienza popolare di memorie e “storie di calendario” (come quelle di Johann Peter Hebel e in Italia di Carlo Collodi), unita a un anelito di universalità che non passa dalla formazione delle élite soltanto, ma soprattutto dalla “conservazione del patrimonio”, di tutto ciò che è comune nel popolo. In questo senso, anche le arti dello spettacolo sono una testimonianza attiva: basti pensare, per il XX secolo, all’attore italo-tedesco Bernhard Theodor Henry Minetti (Kiel 1905-Berlino 1998, nativo da una famiglia italiana immigrata in Germania da Crusinallo nel Verbano), del quale Thomas Bernhard ha voluto, nel suo Minetti, 1977, lasciare il più straordinario ritratto di purezza e follia, come le sue interpretazioni del Re Lear. Su altro piano, Hans Carossa (Bad Tölz, 1878-Rittsteig, 1956, di origini savoiarde), presidente – negli anni difficili della Seconda guerra mondiale – dell’«Unione europea degli scrittori», ci ha lasciato il primo ritratto dell’Italia del dopoguerra nel suo sensibile Aufzeichnungen aus Italien (Insel, 1947).

Ma se un emblema si deve scegliere di questa unità, e di questa missione congiunta della Germania e dell’Italia per l’Europa a venire, e per un’umanità raccolta nella dignità dello spirito, questo può essere riconosciuto, ci sembra – e lo suggerisce proprio questo anno dantesco –, in Romano Guardini (Verona 1885-Monaco di Baviera 1968), teologo, filosofo, interprete tra i più acuti della Divina Commedia. Il suo Landschaft der Ewigkeit (1950) e i suoi studi su Dante testimoniano dell’elemento essenziale che, ancora una volta, riunisce Germania e Italia, sotto il segno di una universalità dello spirito, «la vastità della speranza»: «Pende su ogni cosa il potere dell’astro d’amore, simbolo di quello spirito la cui mancanza ha fatto dell’Inferno appunto l’Inferno». È questa restituzione di vastità e di luce ai nostri destini umani, che ci attende come eredità e come compito.

(© Avvenire e Die Welt)

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