venerdì 13 luglio 2012
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Il mattino del 28 di febbraio dell’anno del Signore 1522 Odet de Foix, visconte di Lautrec e Comminges, alla testa dei soldati di Francesco I, era pronto a non lasciare di Treviglio pietra su pietra. Alle otto, mentre l’esercito francese entra nel borgo, l’immagine della Vergine dipinta fra i santi Agostino e Nicola da Tolentino sul muro del campanile del convento delle agostiniane, inizia a lacrimare. La voce corre veloce, anche tra i francesi si grida al miracolo. La notizia arriva al <+corsivo>Maréchal<+tondo>. L’uomo, noto per la sua crudeltà e ferocia, vuole vedere di persona. Cade in ginocchio e depone l’elmo e la spada sotto l’affresco. La città è salva (andrà peggio sei anni dopo agli abitanti di Melfi: nel marzo 1528 nell’assedio del Lautrec periranno, secondo le fonti antiche, oltre tremila persone). Le armi ancora oggi si trovano sotto l’immagine miracolosa, conservata nel santuario della Madonna delle Lacrime, voluto da Carlo Borromeo nel 1583 ed eretto nel 1619.Questa storia racconta molto della Gera d’Adda, terra di miracoli e di guerre. Gera: ghiaia nella parlata lombarda. Perché la piana stesa tra Adda e Serio, nella fascia verdissima che corre poco sotto le Orobie, è composta da strati ghiaiosi deposti dai due fiumi nel corso dei secoli. Terra fertile e ricca d’acque. Non solo per i canali ma soprattutto per i fontanili, numerosi ancora oggi, garanzia di costante sostegno a quella civiltà contadina le cui opere e giorni Ermanno Olmi ha raccontato ne<+corsivo> L’albero degli zoccoli<+tondo>, che proprio qui è ambientato. Ma è stata terra squassata dal mestiere delle armi, zona di confine contesa tra il Ducato di Milano e la Serenissima (nella Gera d’Adda fu combattuta la battaglia di Agnadello che nel 1509 obbligò Venezia, sconfitta dai francesi, a rinunciare a ogni mira espansionistica sull’Italia), la cui militarizzazione è testimoniata ancora da castelli e borghi fortificati. Come il castello Visconteo di Pagazzano, nei pressi di Brignano Gera d’Adda, pressoché integro. Quello, sempre visconteo, di Brignano stessa è stato invece trasformato nel Settecento da Giovanni Ruggeri in una fastosa residenza barocca, con spettacolari affreschi di Magnasco, fratelli Galliari e (forse) Tiepolo. Indice di una storia articolata è la geografia politica e religiosa dell’area, divisa in incastri complessi e non sovrapponibili tra le province e le diocesi di Bergamo, Cremona (che da qui dista oltre 60 km) e Milano – le cui parrocchie, però, mantengono il rito romano.Perché questa è anche una terra orgogliosa della propria autonomia. Treviglio della Gera d’Adda è stata la capitale economica, godendo fino al 1761 dello status di «terra separata»: esenzione dai dazi su merci, bestiame e prodotti agricoli con Bergamo e Milano. Città senza nobili, a suo presidio erano chiamati direttamente i cittadini che nello stemma comunale sono rappresentati dai leoni, mentre l’aquila imperiale è il ricordo del passato ghibellino e il maiale il simbolo della prosperità raggiunta. Una ricchezza che si riflette nei numerosi tesori d’arte, sui quali spicca, insuperabile, il polittico di Zenale e Butinone (entrambi trevigliesi), conservato nella collegiata di San Martino, capolavoro del Quattrocento lombardo.Ma Gera d’Adda vuol dire soprattutto Caravaggio e il santuario di Santa Maria del Fonte. La sera del 26 maggio 1432 la Vergine apparve alla contadina Giannetta de’ Vacchi, che si era recata al prato Mazzolengo per falciare erba per le sue bestie. A testimonianza della verità dell’apparizione, la Madonna fece sgorgare una fonte a cui subito vennero attribuiti poteri miracolosi. Un uomo scettico, vuole la tradizione, vi avrebbe gettato un ramo secco, subito fiorito: è il virgulto che compare nell’iconografia dell’apparizione. Lo spettacolare santuario che oggi sorge sopra l’antico fonte è capolavoro di Pellegrino Tibaldi, che lo costruì su incarico di san Carlo Borromeo. Una lunga teoria di portici e tigli lo collega al centro abitato. «Oggi qui ogni anno arrivano almeno un milione di pellegrini – racconta il rettore del santuario don Gino Assensi – La maggior parte dalla Lombardia ma anche da tutta l’Italia settentrionale, di cui Caravaggio si colloca al cuore geografico. In maggio in una settimana alla messa del pomeriggio si possono contare anche 30-40 pellegrinaggi diversi». Ci sono però anche pellegrini che arrivano dall’estero: «Grazie agli emigrati la devozione è molto diffusa ad esempio nel Brasile del sud. Lì alla Vergine di Caravaggio sono dedicati ben sessanta luoghi di culto. Vengono molte comitive dalla Croazia, dove c’è un santuario eretto alla Madonna di Caravaggio nel XVIII secolo da emigrati della Repubblica Veneta». Ma per tradizione a Caravaggio ci si arriva a piedi. Si parte di notte e si arriva per la messa del mattino. «Il pellegrinaggio notturno a piedi una volta era molto più vivo per il semplice motivo che non si poteva fare diversamente – dice con un sorriso don Assensi –. Oggi è invece una scelta precisa. E anche per questo assistiamo a una riscoperta». Difficile pensare che Michelangelo Merisi, che da Caravaggio proveniva (anche se non vi nacque), non avesse in mente i piedi ruvidi e sporchi dei pellegrini visti tante volte con i suoi occhi inginocchiarsi alla fonte, quando a Roma dipinse quelli, ancora oggi così scioccanti, della Madonna di Loreto.
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