Francesco Gabbani sul palco dell'Ariston per Sanremo 2017 (Ansa/Ettore Ferrari)
L’unico modo per sopravvivere al Festival è fare come Francesco Gabbani, “scimmiottare” Sanremo. Per questo nel primo Festival sballettato, nessun balletto ufficiale e niente vallette (tranne una caramellata, Maria De Filippi), l’anarchico del nuovo cantautorato sale sul palco con un gorilla-orango ballerino. Una performance spiazzante e divertente, nonché virale, di una voce fuori dal coro che ha un solo neo sotto il baffo, non ha ancora deciso cosa farà da grande. «Essere o dover essere il dubbio amletico / Contemporaeneo come l’uomo del neolitico».
Il senso per la musica pop per Gabbani sta tutto nell’attacco del suo pezzo esilarante Occidentali’s karma. Una seconda prova, dopo Amen il brano vincente delle Nuove Proposte 2016. E anche l’unico brano rimasto nella memoria collettiva radiofonica. Autodidatta, ma cresciuto tra gli strumenti del negozio di famiglia, Gabbani un anno dopo è tornato nel luogo - di quello che poteva essere - del “delitto”: era stato eliminato e poi riammesso dal riconteggio del letale votatore, oltre che a furor di popolo. «E allora avanti popolo / che spera in un miracolo. Elaboriamo il lutto con un Amen…», gli cantano dietro i fan che sono cresciuti assieme a lui, il quale per stupire ancora si affida allo «scimmiografo». La danza scimmiesca sta spopolando – anche in radio – «Ho copiato la coreografia di Salirò di Daniele Silvestri? No, ero consapevole che fosse un balletto già visto, ma Silvestri aveva un ballerino, io questa scimmia che è una citazione de La scimmia nuda, il libro in cui di Desmond Morris analizza l’uomo non come essere pensante e intellettuale ma come una delle tante specie di scimmia presenti sul pianeta».
Questo 34enne carico di verve non è solo un allegro cantastorie dance, ma uno dei pochi cantanti in gara consapevole che Sanremo è anche la città di Italo Calvino: «il suo concetto di “leggerezza” lo cerco di trasferirla nelle canzoni». Brani che sfuggono a un genere preciso perché il cantautore toscano spazia dalla satira di Amen e Occidentali’s kharma ai testi impegnati d’autore come Il bimbo col fucile che ha regalato a Adriano Celentano per il suo ultimo disco con Mina. In mezzo la colonna sonora del film Poveri ma ricchi di Fausto Brizzi. Segnali di un giovane, ma non più troppo per il mondo usa e getta del cantar leggero, che pare alla ricerca di un centro di gravità permanente. «L’idea è quella di poter creare una musica “gabbaniana” – sorride – Uno stile riconoscibile sul quale lavoro da tempo e con la libertà di chi rispetta i talent ma io non vengo da lì, ma da una gavetta senza punti di riferimento e tanto meno dei miti. Anzi la mia tendenza è quella a smitizzare continuamente, a cominciare dal sottoscritto».
Gioca con la musica e le parole. Danza con Shakespeare e Karl Marx denunciando la «coca dei popoli, oppio dei poveri». L’alto e basso televisivo di Freccero a Gabbani piace “mixarlo” nelle sue canzoni in cui continua a battere sui tasti della mistica. «Amen e kharma sono parole che rientrano nella mia ricerca di una dimensione spirituale nella quale ancora non ho trovato risposte. Il fatto che uso l’ironia per parlare di aspetti “parareligiosi” è solo perché, nonostante l’accezione pop negli ultimi anni viene vista negativamente, io faccio canzoni pop, musica per divertire e divertirmi». Se andrà, e continuerà a divertirsi, bene, altrimenti con molto “kharma” Gabbani potrebbe anche ripiegare sull’«allevamento di vacche in Val Badia». Amen.