venerdì 26 luglio 2019
La città marocchina ha avviato un imponente lavoro di restauro diffuso con il recupero di 113 siti storici: luoghi di culto, biblioteche, madrasse, suk, botteghe e hammam
La conceria di Dar Dbagh Chouara (XII secolo) prima e dopo gli interventi di restauro

La conceria di Dar Dbagh Chouara (XII secolo) prima e dopo gli interventi di restauro

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Milioni di quadretti smaltati blu, verdi, gialli, a perdita d’occhio, in fuga sotto i piedi. Circondano lo spazio, risalgono le colonne, si congiungono ad altri mosaici, geometrici o floreali, e accompagnano lo sguardo fino ai soffitti affrescati. Con le sue centinaia di migliaia di metri quadrati di zellige, Fès sembra raccontare il suo passato. Ogni piccola piastrella di ceramica come la singola lettera di un infinito manoscritto, universalmente comprensibile. “Posato” a caratteri indelebili dallo spirito imperiale di una città che, otto secoli dopo l’avvento della dinastia dei Merinidi che qui vollero la loro capitale, oggi rivendica la sua centralità nell’offerta culturale, storica e artistica del Marocco. La città del Medio Atlante, patrimonio universale Unesco, si prepara a presentare al mondo, nel 2023, un imponente lavoro di restauro, forse uno dei maggiori interventi «diffusi» mai realizzati, con il recupero di 27 monumenti storici e un totale di 113 siti storici. Luoghi di culto, biblioteche, fontane, madrasse, suk, camminamenti, ponti, botteghe artigiane, hammam. «On recréer l’histoire» , qui si ricrea la storia, scandisce Rachida Bami mentre guida i visitatori lungo una parete interamente tappezzata di foto del “prima” e “dopo”: la torre di Dar Al Mouakkit le volte a botte di Borj Boutouil, le balconate lignee della medersa Sbaiyne, la scuola coranica completamente rinata da un rudere, come la medersa Sahrij e la sua scuola di calligrafia, il ponte Terrafine, la sinagoga Aben Danan nel quartiere ebraico di El Mellah, l’Università di al-Qaraouiyine fondata nell’859 da una donna, la “rifugiata” tunisina Fatima el-Fihria, e oggi considerata la più antica università del mondo.

Via le erbacce, i cumuli di macerie, i rifiuti, i panni stesi ad asciugare fra le colonne di un tessuto urbano con quasi mille anni di vita. Deve «tornare la bellezza». Devono tornare gli studenti. Sulle pietre di zellige lucide e di nuova posa devono «rifiorire antiche attività economiche » con un occhio allo «sviluppo ». Bami è una giornalista appassionata al suo mestiere, prestata al ruolo di portavoce dell’Ader, l’Agence pour la dedensification et la réhabilitation di Fès. Insieme al presidente Fouad Serrhini conosce ogni dettaglio dei lavori di recupero della Medina. Ha le chiavi di ogni fondouk. È convinta delle potenzialità della sua città adottiva, gioiello dell’architettura marrocchino-andalusa, e dell’importanza della comunicazione e dell’informazione «per avvicinare popoli e culture». «Il patrimonio di domani è quello che noi inventiamo oggi», dice citando il re Mohammed VI, che ha lanciato il programma di conservazione delle antiche medine del Marocco, assegnando a Fès, dopo un primo fondo di 600milioni di dirham, il cospicuo ammontare di 980 milioni di dirham, circa 80 milioni di euro. Bami spiega che non sarà tanto l’impennata del numero di riad, la forma di ospitalità più ricercata, a portare a Fès un turismo qua-lificato, ma l’offerta culturale unica che la medina più grande del mondo – e la più vasta area pedonale – racchiude tra le sue mura. I vecchi fondouk, come lo Chemmaine (XIII secolo) e lo Staouiniyine (XIV secolo), edifici a più piani con un cortile interno che nel Medioevo ospitavano i laboratori artigiani al pian terreno e le camere in affitto a quelli superiori, con il tempo sono stati trasformati in abitazioni private. È qui che lo sforzo governativo si concentra per riaprire gli antichi caravanserragli alla fruizione pubblica, riportarvi gli artigiani qualificati, comprese le nascenti cooperative femminili, e rendere più dinamico il tessuto economico della città.

L’operazione va sotto il nome di Fanadik Fès ( fanadik è il plurale di fondouk) e basta scorgerne il logo discreto all’ingresso dei vari cortili per essere sicuri di trovare prodotti originali (la contraffazione è arrivata anche qui). È lo sforzo di «tornare indietro nel tempo di una città millenaria, rinnovata e riportata all’originario», come spiega Aziz Lebbar, presidente del Conseil régional du tourisme di Fès. Passando dalla porta Bab Sid Al Aouad, oltre il ponte Terrafine, Bami scosta una transenna e svela il percorso per place Lalla Yeddouna, nella zona Nord della Medina: strade lastricate di pietra bianca come gli edifici, settemila metri quadrati riportati allo splendore e ancora chiusi al pubblico, che fra palazzi storici e botteghe artigiane potranno dare un posto di lavoro a 500 persone. Postazione interattive e un sistema di parcheggi a ridosso delle mura completano l’offerta. La sfida, spiega Bami, è ora far si che i nuovi spazi possano essere fruiti in sicurezza nell’intrico degli oltre diecimila vicoli, percorribili solo a piedi e invasi dal passaggio degli asini. E che non vengano snaturati i ritmi di vita dei loro abitanti. Poco lontano da Lalla Yeddouna ci sono le concerie delle pelli, con le vasche che viste dall’alto formano l’alveare di colori diventato uno dei simboli della città. Anche qui la necessità di tradurre nella modernità un metodo di lavoro medievale ha rispettato la vocazione originaria. Un importante stanziamento riporterà al centro della scena anche all’antica fabbrica di armi munizioni di Al Makina, a ridosso dell’omonima porta. Attiva a fine ’800, è un’area immensa, costellata di volte di pietra che inanellano il cielo in una prospettiva che sembra infinita.

Se Bab Al Makina è ormai punto di riferimento culturale e sede principale del Festival internazionale delle musiche sacre che si tiene in città da 25 anni, la grande fabbrica è «un contenitore che si presta a molteplici destinazioni culturali», spiega Rachida Bami. Dove nascevano strumenti di morte troverà spazio la bellezza nelle sue più diverse forme. Fès, come ha scritto L’Economiste, quotidiano economico del Marocco, vuol «assorbire le devastazioni del tempo che hanno inflitto ferite indelebili sulla medina, e gli sconvolgimenti socioeconomici che hanno creato disordini concettuali». Ed è tutto il Marocco, alla ricerca del suo volto moderno, a rifarsi alla tradizione. Nelle inevitabili contraddizioni tra povertà e lusso, arretratezza e tecnologia, leggi e modus vivendi, il paese maghrebino ha nello slancio culturale delle sue città le risorse per trovare la sua anima. Apertura e cultura sono le chiavi. Mohammed Bennis, uno tra i più importanti poeti contemporanei del mondo arabo, nato a Fès, dello scambio e della cultura che non si ferma alle frontiere ha fatto un appassionato intento poetico e ha detto che «l’orizzonte dell’eredità e dell’ospitalità è l’orizzonte dell’appello dell’esistenza». Dal Marocco si parte ancora ma al Marocco si torna anche. I giovani non vogliono andarsene e c’è una generazione che già ripercorre a ritroso le orme dei genitori emigrati in Europa. È anche per loro che Fès vuole rinascere.

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