Avrebbe voluto organizzare proprio oggi il Trofeo Topolino di sci di fondo, ma la pandemia lo ha costretto ad alzare bandiera bianca e a rinviare l’appuntamento a tempi migliori. Per la stessa ragione lunedì non potrà festeggiare gli 80 anni invitando a casa amici e conoscenti, ma dovrà limitarsi a un brindisi con l’amata moglie Inger. Franco Nones raggiunge l’ambito traguardo anagrafico con la stessa lucidità con cui 53 anni fa batteva gli scandinavi con gli sci di legno ai piedi, diventando nel 1968 a Grenoble il primo mediterraneo a vincere un oro olimpico nel fondo.
«Resto chiuso a casa in attesa che il virus possa essere sconfitto, ma nel frattempo continuo a seguire tutte le gare». Di uno sport completamente diverso rispetto ai suoi tempi. «Noi non potevamo fare lo skating perché non c’erano i mezzi battipista e quindi al massimo gli organizzatori potevano prepararci un binario lungo cui farci scivolare. Oggi le piste sono autostrade e gli aspetti tecnici sono passati in secondo piano. Se cito il passo finlandese oppure il passo triplo nessuno sa cosa siano. Alla mia epoca per vincere contava la tecnica nella sciata e il nostro gesto era bello da vedere. Adesso gli atleti leggeri non esistono più e con la scomparsa del passo alternato e l’imporsi della scivolata spinta bisogna avere le spalle come i nuotatori per imporsi in tecnica classica».
A pesare sulla perdita di appeal del fondo attuale hanno inciso pure lo strapotere della Norvegia («Vichinghi e russi sono gli unici due squadroni rimasti nel circuito ») e la scelta di format di gara discutibili: «Qui la colpa è delle tv che hanno imposto le prove con partenza in massa e numerosi giri di un circuito ristretto. Così facendo si è snaturata la disciplina».
In casa Italia l’unica nota positiva sono le vittorie di Federico Pellegrino nelle sprint, il resto del gruppo invece arranca. Mescolando passato e presente Nones detta gli ingredienti per una possibile ricetta futura. «La base con cui deve confrontarsi l’Italia del fondo è limitata, per invertire la rotta occorrerebbe fare come ai miei tempi, cioè cercare un allenatore straniero, capace di portare da noi altri metodi. Oggi il responsabile perfetto è contemporaneamente tecnico, psicologo e manager. Se non si posseggono queste tre doti non si può allenare con profitto un gruppo».
Il vate di Nones fu lo svedese Bengt Herman Nilsson, «il primo tecnico professionista dello sci di fondo», che fu ingaggiato dall’allora dt azzurro, il milanese Vittorio Strumolo, «un commercialista, organizzatore di gare di ciclismo e riunioni pugilistiche». Da un lato il tecnico, dall’altro il manager. Furono lanciate così le basi per il trionfo di Nones e compagni. «Eravamo quattro pellegrini a cui piaceva girare il mondo e fare sacrifici. Per 13 anni siamo stati ad allenarci in Svezia dal giorno dei Santi fino alla Befana, non tornando a casa né a Natale né a Capodanno. Solo stando a contatto diretto con gli scandinavi potevamo osservarli e carpire i loro segreti. Ricordo che a seguirci al Nord erano anche famosi giornalisti come Rolly Marchi e Gianni Clerici che stavano con noi per tutto il raduno».
Eppure i suoi trionfi più che in inverno furono costruiti d’estate, quando Nones si allenava lungo i boschi della sua adorata Valle di Fiemme. «Nilsson mi diceva sempre che i chilometri di allenamento sono come i soldi in banca. Se li metti sul conto, poi quando ti servono li trovi. Se non li accumuli, quando avrai necessità rimarrai a secco. È così anche oggi. Per esempio la norvegese Johaug in estate ha fatto il record nazionale dei 10mila metri, non stupiamoci quindi se è la dominatrice del circuito».
In Svezia Nones ha trovato pure l’amore. Conobbe infatti Inger a Vålådalen prima dei Giochi di Grenoble e la sposò dopo il trionfo olimpico. Insieme hanno già celebrato le nozze d’oro. «Mia moglie è stata fondamentale per l’avvio della mia seconda vita. Sono diventato un imprenditore nel settore degli articoli sportivi e ho sempre abitato a Castello di Fiemme, continuando a seguire le competizioni sportive in Valle».
Nones fu secondo nella prima edizione della Marcialonga, andata in scena esattamente cinquant’anni fa e ha ricoperto il ruolo di vicepresidente in tutti e tre i Mondiali fiemmesi: 1991, 2003 e 2013. «La vera sfida saranno i Giochi olimpici del 2026, quando tra Predazzo e Lago di Tesero verranno assegnati 33 titoli, dei 100 complessivi in palio, nel salto, nel fondo e nella combinata nordica. Dovremo essere bravi a sfruttare questa opportunità sia per il turismo sia per lo sport. L’assegnazione delle Olimpiadi è come il Recovery Fund: devi investire bene adesso per raccogliere i frutti tra cinque anni, pertanto le medaglie del 2026 si costruiscono oggi, non si può perdere tempo».
Padre di quattro figli, nonno di sei nipoti, Nones ha dovuto superare anche un terribile choc: la morte prematura, a soli 25 anni, della figlia Caterina a causa di una malattia rara. «Perdere una figlia non è stata un’esperienza bella. Sono riuscito a superarla solo grazie alla fede. Sono un laico consacrato nella comunità monastica dei Figli di Dio, fondata da don Divo Barsotti, che mi auguro presto possa essere beatificato».
D’altronde la preghiera è stata sempre una fedele compagna nella vita del montanaro Franco, che anche durante le sue gare recitava l’Ave Maria. «Prima di Grenoble feci un voto: se non mi fosse successo niente durante la 30 chilometri olimpica sarei andato a Lourdes. Non solo arrivai sano al traguardo, ma riuscii anche a vincere, perciò il pellegrinaggio ai piedi dei Pirenei fu doveroso». E così lo sciatore che scatenò un Sessantotto si scopre uomo mite e dispensatore di consigli ai giovani. Spetta alle nuove generazioni ascoltare e mettere in pratica il verbo proferito da un saggio e arzillo ottantenne.