giovedì 29 agosto 2024
L'attrice convince nel ruolo del grande soprano nel film “Maria” del regista cileno Pablo Larraìn che, dopo Jacqueline Kennedy e Lady Diana, affronta con originalità un’altra icona femminile del '900
Angelina Jolie in "Maria", biografia sulla Callas, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia

Angelina Jolie in "Maria", biografia sulla Callas, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia - Pablo Larraín

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Maria e non la Callas, le pareti di casa e non quelle dei teatri più importanti del mondo, i due fedeli domestici e non i fan adoranti, la donna e non l’icona. Dopo Jacqueline Kennedy e Lady Diana Spencer, il regista cileno Pablo Larraín affronta un’altra biografia femminile illustre, quella della cantante d’opera più celebre. Lo fa alla sua maniera, seguendo strade diverse, mai banali, adottando uno sguardo originale, obliquo, per meglio comprendere quello che gran parte della gente neppure conosce. Presentato ieri in concorso, Maria, nelle sale il prossimo 1 gennaio, affida il ruolo della “divina” ad Angelina Jolie, e quello dei due “angeli custodi”, Ferruccio e Bruna, a Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher, concentrandosi sull’ultima settimana di vita della cantante, ma aprendo continue finestre sul passato glorioso, quello dei successi e dell’amore per il magnate greco Aristotele Onassis, ma anche su quello più doloroso e oscuro in cui “la ragazza di Atene” era costretta dalla madre a prostituire non solo la sua voce, ormai sparita quando incontriamo Maria al termine del suo percorso umano, a Parigi nel settembre 1970. Tra le strade della capitale francese e le stanze del grande appartamento dove un pianoforte va e viene inquieto a seconda dell’umore, riaffiora la vita bellissima e tormentata di un’artista dalla voce unica. «Sono cresciuto frequentando sin da giovanissimo con i miei genitori il Teatro dell’Opera di Santiago e la presenza della Callas è stata una costante. Solo dopo ho scoperto molte cose della sua vita e così, dopo aver realizzatop Jacki e Spencer mi sembrava fosse giusto dedicare a lei il lavoro che chiuderà questa trilogia e che rappresenta il mio primo film su un’artista».

In fondo l’intera vita della Callas è un’opera. «Molti dei personaggi che interpretava erano tragici e destinati alla morte nell’ultima scena. È stato chiaro sin dall’inizio con lo sceneggiatore, Steven Knight, che questo film avrebbe raccontato una persona destinata a diventare parte della tragedia che interpretava sul palco. E se fate bene attenzione alle arie che abbiamo scelto per il film, vi accorgerete che ciascuna si relaziona perfettamente a un momento particolare della vita della Callas e del film».

Le ragioni che hanno spinto Larraín a scegliere la Jolie nei panni del soprano sono presto dette: «Entrambe hanno una presenza fisica importante sul palco, di fronte all’obiettivo o semplicemente in una stanza, e insieme al carisma ne percepisci tutta l’umanità. Per Angelina non è stato affatto difficile calarsi nei panni di Maria, anche se la sua scrupolosa preparazione sul canto è durata sette mesi».

«Imparare a cantare – interviene la Jolie – si è trasformato per me in una terapia di cui non pensavo nemmeno di aver bisogno. Trovare la mia voce è stata un’esperienza emotiva fortissima più che tecnica, ho scoperto come donare tutta me stessa, il mio corpo, la mia voce, i miei sentimenti. Nel processo di preparazione per restituire una Callas oltre quella che conoscevo, isolata dal resto del mondo, sotto pressione, con gli occhiali grandi e i suoi lunghi capelli greci, ho cominciato a cantare in una stanza per poi finire alla Scala davanti al pubblico. È stata un’esperienza davvero trasformativa per me che non sono mai stata particolarmente coinvolta dalla musica nella mia vita. Da giovane ascoltavo i Clash, poi invecchiando ho scoperto la musica classica e l’opera, che credo sia l’unico suono in grado di esprimere davvero la sofferenza, il dolore, di essere in sintonia con i nostri sentimenti». E a proposito di quello che la rende simile alla cantante, aggiunge. «Con lei condivido la parte più emotiva, fragile e vulnerabile».

Favino, che interpreta il devoto domestico Ferruccio, peraltro ancora in vita, commenta: «Avevo visto una sua intervista, ho letto alcune cose ma non era nostra intenzione rimanere troppo aderenti alla vera vita di questa persona, bensì restituire tutto il senso di amore e dedizione provato per una vera e propria regina. Quando la tua vita viene definita da una creatura così iconica, vuoi solo che questa persona continui a esistere. C’è qualcosa di egoistico in questo, Ferruccio e Bruna non erano dei santi. Nell’amore per lei c’era qualcosa che volevano ottenere per loro stessi». E aggiunge: «Quando ascolti la voce della Callas riesci a sentire le tue emozioni e sono in pochi a farti provare tutto questo. Forse non si pensa mai abbastanza ai sacrifici di un artista costretto spesso ad affrontare solitudine e dolore».

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