La Coppa dalle grande orecchie è andata al Manchester City - Reuters
La finale di Champions che non ti aspetti contro il risultato che tutto il mondo si aspettava: l’Inter c’ha provato, il Manchester City ha vinto (1-0). Mamma li turchi come si sono divertiti, prima dopo e durante Inter-Manchester City. La finale ancora una volta sotto il cielo di Istanbul. Stadio infausto, dove il Milan di Pippo Inzaghi fratello del Simone mister interista per sei minuti di pura follia perse clamorosamente in rimonta con il Liverpool la Champions 2005.
La storia si ripete, infausta, su sponda nerazzurra, ma il City è qualcosa di molto di più di quel Liverpool di Rafa Benitez - che sogna di tornare a Napoli - e il popolo interista lo sapeva. «Ci vorrebbero Zanetti, Cambiasso, Materazzi, Milito… insomma quelli del triplete» (tutti seduti in tribuna a Istanbul), dicono gli euroscettici durante il riscaldamento. Considerazioni che sono vittima anche del miliardo tondo di patrimonio del City che danza baldanzoso sull’erba appena annaffiata: è di 42 milioni il costo medio del cartellino di ogni giocatore alle dipendenze di Pep Guardiola.
L’Inter vale conti alla mano vale cinque volte di meno. Chi non fa i conti in tasca prova solo affetto verso gli “eroi per caso” nerazzurri, chiamati a recitare l’ultimo atto della commedia senza repliche. Un film, speravano, con finale a sorpresa, anche questo, e non a caso lo sponsor della notte stellare per l’Inter sulle maglie è la Paramount. Sulla carta il copione è da fantascienza, gli umani interisti contro gli umanoidi del Pep che giocano a memoria con un tiki-taka catalano al bacon, assai indigesto per tutti gli avversari. Inzaghi come tutti i suoi ragazzi una finale di Champions fino a ieri sera non l’avevano mai vissuta.
Guardiola come Mourinho, un guru da triplete che in Inghilterra traducono con the treble. La prima Champions vinta da quando è alla guida del City (sette anni) consente a don Pep di calare il tris stagionale: Premier vinta sorpassando in corsa l’Arsenal, Fa Cup appena tolta dalle mani dei cuginastri Red Devils e ora la Coppa dalle grandi orecchie.
Il gol di Rodri, che ha consegnato la Coppa al City - Ansa
L’Inter c’ha provato, Barella e Bastoni, gli azzurri di Mancini hanno pensato: siamo pur sempre la patria dei campioni d’Europa in carica. Tra l’altro l’Europeo gli azzurri di Roberto Mancini due anni fa lo vinsero a Wembley, battendo gli inglesi, ai rigori. Ma di inglese nella best company dell’Abu Dhabi United Group (presero il club per far volare sempre più in alto la compagnia Etihad Airways), di britannico c’è poco. Cerchietto magico Grealish e gli operosi Walker e Stones, sono le tre pietre rotolanti autoctone, per il resto, il classico stranierificio che impera ovunque, anche nell’Internazionale di Milano, che lo è di nome e di fatto.
Di qua della sponda di Manchester sono passati anche il ct Mancini che, nel 2011 vinse una Premier insperata avvalendosi anche dell’operato del crazy-boy azzurro Mario Balotelli. E anche il vecchio Dzeko partecipò a quell’apoteosi manciniana, chiudendo il lustro al City (2010-2105) dopo aver timbrato il cartellino delle 130 presenze e 50 gol realizzati. Per il bosniaco a 37 anni suonati questa era l’ultima occasione per vincere un titolo europeo e ci mette l’anima prima della staffetta con Romelu Lukaku, bomber con le stimmate Blues del Chelsea, l’altra finalista a sorpresa che nel 2021 strappò la Champions al City del Pep.
Ma questa volta non succede. La difesa a tre dell’Inter si sapeva che poteva ingabbiare De Bruyne e compagni e così è stato per un’ora abbondante Pressing interista selvaggio, con Barella e Di Marco che vanno su ogni pallone con la bava alla bocca e i tre dietro Darmian-Bastoni-Acerbis non ricamano ma non prendono neanche rischi.
Il City gioca sulle punte, come ballerine del Royal arrivando alla conclusione solo un paio di volte con il giocoliere lusitano Bernardo Silva e il metronomo belga De Bruyne. Quest’ultimo meno ispirato del solito e la squadra ne risente. Alla mezz’ora il belga si arrende per infortunio. Al suo posto entra il goldenboy Foden e la manovra del City a gioco lungo ne beneficia. Sembra un match da 0-0 con coda supplementare, specie quando Lautaro si ritrova una palla regalata dal maldestro passaggio indietro di Silva. L’Inter sembra giocarsela alla pari, ma il copione del film prevede la giocata improvvisa dei campionissimi.
E quella puntuale arriva al ‘68: il piattone di Rodri si fa largo nel ginepraio difensivo nerazzurro. Il gol che vale la Coppa. Tutti gli sceicchi del mondo esultano sotto il cielo di Istanbul.
Il tempo di festeggiare che l’Inter potrebbe arrivare al pareggio, ma il colpo di Di Marco si stampa sulla traversa. All’89’ Lukaku imbeccato da Gosens schiaccia di testa a colpo sicuro e Ederson salva il City e si ripete su Gosens anche al 95’. Il film Paramount fnisce qui. La classe operaia nerazzurra ha fatto il possibile e anche qualcosa di più, ma il cuore non è bastato. I fuoriclasse del City hanno fatto l’essenziale, rispettare il copione che li voleva favoriti e alla fine vincenti.