Il tennista svizzero Roger Federer, 38 anni, numero 3 del mondo
Infinito. Roger Federer per l’ennesima volta, in Australia, ha dimostrato di essere “Re” senza tempo. Agli Open di Melbourne, il 38enne svizzero (n. 3 del ranking Atp) si supera: qui nel 2017, dopo sei mesi di stop, ripartì trionfante la sua seconda vita tennistica. Ieri, in una incredibile partita contro l’americano Tennys Sandgren, dieci anni più giovane, Roger – nonostante un problema muscolare alla coscia destra – ha annullato sette match point e vinto al quinto set (6-3, 2-6, 2-6, 7-6, 6-3), regalandosi la 15ª semifinale australiana, il più anziano dai tempi di Ken Rosewall (1977). Qui il tennis è lui. «Fortunato», ha ammesso. E «felice». Domani dovrà vedersela con il n. 2 Novak Djokovic, che ha superato in tre set il canadese Milos Raonic.
Nell'altra semifinale si sfideranno Dominic Thiem che ha battuto in quattro set (7-6, 7-6, 4-6, 7-6) il numero 1 del mondo Rafa Nadal, e Alexander Zverev che ha superato l'altro svizzero, il 15° del ranking, Stan Wawrinka per 1-6, 6-3, 6-4, 6-2. Ma qualunque sarà il risultato per Federer, resta il legame unico fra il Re e l’Australia che emerge anche dalle pagine di Roger Federer. La biografia definitiva( Sperling & Kupfer, pagine 368, euro 18,90, da ieri in libreria) del giornalista René Stauffer di cui pubblichiamo uno stralcio: il mito di Rod Laver e altre leggende. Nel regno di Roger. (Giuseppe Matarazzo)
L'Australia affascina Federer non soltanto perché in passato stava per andarci a vivere, ma anche perché apprezza la storia del tennis del Paese e il grande valore che i suoi abitanti attribuiscono a questo sport. All’inizio i tanti vincitori australiani di Slam e della Coppa Davis erano soltanto nomi illustri per lui, atleti che avevano segnato la storia del tennis e immagini sfocate in bianco e nero a cui guardava con ammirazione: Rod Laver, Roy Emerson, Ken Rosewall, John Newcombe, Neale Fraser, Lew Hoad, Frank Sedgman, Ashley Cooper, Tony Roche. Nel corso degli anni ha avuto la possibilità di conoscere personalmente molti di questi grandi campioni, cosa che ha accresciuto la sua ammirazione per loro.
Il grande interesse di Federer per la storia del tennis australiano risulta evidente nella prefazione che ha scritto per Rod Laver. Le mie memorie, l’autobiografia dell’ex tennista australiano pubblicata nel 2013. «Se ami davvero il tuo sport, devi studiarne la storia per capire com’è diventato quello che conosciamo oggi», scrive nelle prime righe. Federer racconta del suo primo incontro con Laver, avvenuto alcuni giorni prima della finale degli Australian Open del 2006, nella quale strappò il trofeo Norman Brookes a Marcos Baghdatis: in quel momento era così emozionato che si lasciò andare in uno dei suoi pianti più commoventi.
Già da tempo Federer veniva citato insieme a Laver come uno dei tennisti migliori o più importanti della storia. Laver aveva vinto «solo» undici titoli del Grande Slam, ma come sottolinea lo stesso Federer nella sua prefazione, il «razzo» di Rockhampton – il soprannome di Laver era infatti The Rocket – non aveva potuto partecipare ai tornei del Grande Slam nel suo periodo migliore, tra i ventiquattro e i ventinove anni, eppure era stato l’unico a vincere per due volte, nel 1962 e nel 1969, tutti e quattro questi tornei nello stesso anno, un’impresa tra le più ardue che non a caso viene chiamata «Grande Slam», ovvero «un gran bel colpo».
Dopo avere fatto conoscenza, Laver e Federer cominciarono a vedersi sempre più spesso. L’8 gennaio 2014 fecero anche due tiri insieme. Federer si riscaldò con l’ospite d’onore, all’epoca settantacinquenne, prima di disputare una partita amichevole contro Jo-Wilfred Tsonga per raccogliere fondi a favore della sua fondazione, creata dieci anni prima. «Per me giocare con Laver è stato un sogno», commentò allora. Quell’episodio memorabile si svolse nella Rod Laver Arena di Melbourne, lo stadio principale dell’Australian Open che nel 2000 era stato dedicato al grande giocatore australiano.
La più grande dimostrazione di rispetto per Laver da parte di Federer, però, doveva ancora arrivare. Durante l’Australian Open del 2016 Roger e il suo manager, Tony Godsick, annunciarono la nascita di una nuova competizione in collaborazione con la federazione australiana del tennis: la Laver Cup.
L’ammirazione di Federer per la gloriosa storia del tennis australiano è evidente anche dal modo in cui insistette per avere Tony Roche come allenatore. Nel 2004 era addirittura pronto a trascorrere il Natale in Australia, pur di potersi allenare con lui a Turramurra, nei pressi di Sydney. All’epoca Roche aveva cinquantanove anni: «Quando mi chiamò e si disse disponibile ad allenarsi con me nel periodo natalizio, rimasi impressionato e pensai che avrei potuto dedicargli qualche settimana».
A spiegarmi il motivo del grande fascino esercitato su Federer dalle leggende australiane del tennis è stato John Newcombe, quando gli parlai di questo argomento a Wimbledon: «Roger incarna tutto ciò che noi australiani apprezziamo nel tennis. Innanzitutto ama questo sport; secondo, si comporta in modo esemplare, esattamente come vorremmo che facessero tutti i nostri giocatori al top; terzo, è un giocatore brillante che però non ha mai perso la modestia. Sa come vincere e sa anche come perdere, e noi ammiriamo queste qualità».