mercoledì 4 settembre 2024
Con il suo nuovo libro “L’algoritmo della Vita”, il presidente della Pontifica Accademia per la Vita spiega come l’intelligenza artificiale possa avere un impatto positivo sulle persone
Come l'intelligenza artificiale impatta sulla vita delle persone

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Non si può rimanere indifferenti davanti allo sviluppo sempre più rapido dell’intelligenza artificiale. «Anche perché dobbiamo evitare le tentazioni “prometeiche”, sempre in agguato, di pensarci immortali e onnipotenti, come se fossimo Dio. La tecnologia va considerata al servizio dell’umano», spiega monsignor Vincenzo Paglia - già vescovo di Terni, poi arcivescovo, attualmente presidente della Pontificia Accademia per la Vita e consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio - nel suo ultimo libro: L’algoritmo della vita. Etica e Intelligenza Artificiale.

Algoritmo della vita. Perché questo titolo?

«Obiettivo del libro è accompagnare il lettore nella scoperta del mondo in cui viviamo e vivremo sempre di più. Un mondo dove gli algoritmi - sempre costruiti da mani umane, non dimentichiamolo – prenderanno spazio nei processi decisionali, in tutti gli ambiti. Ma gli algoritmi non sono neutri, non sono neutrali, dipendono dalle intenzioni di partenza dei programmatori e delle aziende. Dunque è necessario un approccio in cui l’intelligenza artificiale, applicata eticamente, possa davvero avere un impatto positivo sulla vita delle persone, fino a contribuire al raggiungimento di una pace universale».

L’intelligenza artificiale sta dilagando nelle nostre vite, sia da un punto di vista materiale che spirituale. Come possiamo evitare che venga tecnologizzato l’uomo? Anzi come possiamo noi umanizzare la tecnica?

«È la sfida da affrontare e risolvere. Dobbiamo evitare le tentazioni “prometeiche”, sempre in agguato, di pensarci immortali e onnipotenti, come se fossimo Dio. La tecnologia va considerata al servizio dell’umano, come uno strumento per accrescere conoscenza e benessere per tutti. Pensiamo alla sanità e alle possibilità enormi che si aprono per la chirurgia di altissima precisione. O alla possibilità di arrivare a diagnosi sempre più rapide e precise. Ma questi sviluppi vanno messi alla portata di tutta l’umanità e non solo di chi “può permetterselo”. Solo così, diffondendo conoscenza e tecnologia, si umanizza la tecnica».

…ma c’è un problema etico da risolvere?

«Il dilemma etico è bene esemplificato nell’uso che la Chiesa – a partire da papa Francesco – fa del termine algoretica, che sta entrando nell’uso comune. Cioè gli algoritmi fin dal momento della loro progettazione, vanno pensati su base etica, indagando gli effetti che potranno avere e chiarendo bene le finalità della loro applicazione e del loro uso. Non a caso quattro anni fa la Pontificia Accademia per la Vita ha promosso la “Rome Call for AI Ethics”, firmata da Microsoft, IBM, FAO e governo italiano e poi, in questi anni, da centinaia di Università, da altre importanti realtà aziendali come Cisco, e infine a luglio di quest’anno dalle religioni mondiali in Giappone. È questo il tempo dell’algoretica: la consapevolezza diffusa che è necessario un approccio etico “by design”, cioè fin dal momento dell’ideazione e della progettazione. Perché il mondo che vogliamo è quello descritto dall’Enciclica Fratelli Tutti: “sentirci tutti solidali, uniti in un vincolo di fratellanza universale”».

Perché non dobbiamo farci prendere dalla paura, visto che comunque questa scoperta è stata fatta dall’uomo?

«La “paura”, come lei accenna, è un sentimento positivo se serve a renderci cauti e consapevoli. Certo le scoperte dell’ultimo secolo – pensiamo all’energia atomica – consentono all’umanità straordinarie scoperte ma anche scenari terribili di distruzione. E la situazione politica di oggi, con le guerre in corso, e con l’uso bellico delle tecnologie di intelligenza artificiale, non è sicuramente positiva. Ma non dobbiamo cedere alla paura o alla disperazione: un’altra strada è possibile. Dobbiamo lavorare attivamente. Il libro riporta diversi esempi di uso positivo della tecnologia. Dobbiamo impegnarci per diffondere il bene!».

L’intelligenza artificiale non rischia di accentuare ancora dì più l’algocrazia, ossia il potere degli algoritmi, tanto da vanificare, mi riferisco al tema del lavoro e non solo, i diritti acquisiti dagli umani nei secoli?

«È certamente uno dei rischi di cui le dicevo. Ma è l’algoretica la visione vincente. Siamo alle soglie di una trasformazione tecnologica straordinaria: molti tipi di lavoro scompariranno, altri ne nasceranno. Si affaccia un mondo nuovo. Ma per esserlo davvero devono imporsi – proprio così: imporsi – delle regole precise basate su un controllo legislativo stringente dei governi e ancora di più delle istituzioni internazionali; su una diffusa conoscenza ed educazione all’uso degli strumenti a partire dai giovani. E, appunto, sul far capire alle aziende che la tecnologia al servizio del bene comune sarà uno straordinario impulso per l’economia mondiale».

Perché papa Francesco parla al plurale di forme di intelligenza?

«Dietro l’appellativo generico di intelligenza artificiale, operano molte e diverse scienze, teorie e tecniche, al punto che sarebbe più esatto parlare di forme di intelligenza. Come ha scritto papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2024, questi sistemi “possono solo imitare o riprodurre alcune funzioni dell’intelligenza umana”. L’uso del plurale evidenzia inoltre che questi dispositivi, molto diversi tra loro, vanno sempre considerati come “sistemi socio-tecnici”. Infatti il loro impatto, al di là della tecnologia di base, dipende non solo dalla progettazione, ma anche dagli obiettivi e dagli interessi di chi li possiede e di chi li sviluppa, nonché dalle situazioni in cui vengono impiegati. È qui lo snodo: la tecnologia va accompagnata da una formazione alla responsabilità. Nel libro sviluppo molto questo aspetto, perché è davvero centrale».

Quali sono le prospettive dell’uomo al tempo dell’intelligenza artificiale?

«Lo sviluppo tecnologico è importante. Ma ancora di più è importante la domanda di senso che è sempre sottintesa. Possiamo “fare” tanto; abbiamo una tecnologia che consente sviluppi o azioni impensabili, come ad esempio intervenire sui meccanismi stessi della vita umana. Ma è lecito? È giusto? È rispettoso del nostro essere umani? Le prospettive dell’uomo al tempo dell’intelligenza artificiale sono le stesse domande dei grandi cambiamenti epocali, quando siamo passati dalle armi di bronzo a quelle di ferro, quando venne scoperta la ruota, o la scrittura o la stampa con Gutenberg. O con l’energia atomica, o con i trapianti e le tecnologie moderne di rianimazione. È tutto lecito? Dove stiamo andando e perché lo facciamo? Sono le domande. La Chiesa entra in questa dimensione tecnologica portando la sapienza dell’Antico e del Nuovo Testamento e una visione dell’umanità come una famiglia di popoli. Che devono svilupparsi insieme, in armonia, in un contesto di sviluppo positivo e pacifico, universale».

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