Francisco Pancho Villa, ladro di bestiame e rivoluzionario messicano
C’era una volta Toussaint Louverture, schiavo dell’antica Saint-Domingue, ora Haiti, che sapeva curare con le erbe le malattie del corpo e dello spirito. Presto, però, quel giovane dovette abbandonare pozioni e misture per condurre un’inedita rivoluzione da cui sarebbe nata la prima repubblica nera della storia.
C’era una volta Juana Azurduy. La famiglia voleva obbligarla a farsi monaca. Lei, però, lasciò il convento per arruolarsi nell’esercito indipendentista della futura Argentina. Divenne tenente colonnello, la prima donna d’America a ottenere i gradi militari per i meriti in combattimento.
C’era una volta Orélie-Antoine de Tounens, un notaio di provincia che lasciò la sua Francia deciso a farsi re della Patagonia e dei suoi combattivi abitanti, i mapuche. Vi riuscì, anche se solo per due anni.
Ognuna delle storie narrate da Gabriella Saba e Alfredo Somoza potrebbe cominciare così. Come una favola appunto. Eppure si tratta di fatti rigorosamente storici, ricostruiti con precisione e passione dagli autori. Ad essere 'favolistica' semmai è la patria in cui personaggi e vicende scrivono le loro esistenze realisticamente magiche. L’America Latina è la vera protagonista di Un continente da favola, appena pubblicato da Rosenberg&Sellers (pagine 184, euro 16). Una terra con cui l’Europa ha instaurato, fin dal principio, un ambiguo gioco di specchi. Ecco perché, per raccontarla oltre gli stereotipi e i luoghi comuni, non è sufficiente un unico punto di osservazione.
Saba e Somoza, entrambi profondi conoscitori delle pieghe latinoamericane, si spostano nel tempo e nello spazio compreso tra il Rio Bravo alla Terra del Fuoco, per scovare trenta diverse angolazioni. Ciascuna corrisponde a un uomo o a una donna (spesso sconosciuti da questa parte di mondo) la cui vita è metafora dei chiaroscuri del Continente.
Eroi romantici, artisti più o meno fortunati, dittatori sanguinari, ribelli senza causa convivono, così, nelle stesse pagine. Perché tutti, con le loro azioni, hanno contribuito a rendere l’America Latina ciò che è. In positivo come in negativo.
Impossibile scordare i troppi 'signori del male'. Come Paul Schäfer, infermiere, militante della Gioventù hitleriana, che per fuggire ai cacciatori di nazisti si riciclò guru di una setta. E fra le cordigliere australi del Cile riuscì a creare il 'lager perfetto': la famigerata Colonia Dignidad. O il peruviano Abimael Guzmán, brillante insegnante di filosofia e creatore dell’incubo di Sendero Luminoso, il più feroce dei vari movimenti ribelli che hanno fatto ribollire l’America Latina.
Se il successo di Narcos ha impresso in modo indelebile nella memoria collettiva la figura di Pablo Escobar, pochi sanno che fu il boliviano Roberto Suárez Gómez a fare da apripista al business su vasta scala della cocaina. Ad aggiudicarsi un posto speciale fra i 'cattivi ragazzi latini', è il guatemalteco Efraín Ríos Montt, il primo dittatore del Continente condannato per crimini di lesa umanità per la strage di 12 mila indigeni maya. Poco importa che la sentenza sia stata annullata da un sistema giudiziario compiacente. Il precedente è segnato.
L’horror tour non esaurisce, però, la complessità latinoamericana. Nella narrazione di Saba e Somoza trovano spazio personaggi in apparenza 'minori', che hanno marchiato a fuoco l’immaginario del Continente. Da Carlos Gardel, re del tango cantato, a Gastón Acurio, chef che ha trasformato la cucina andina in opera d’arte. Dall’ideatore della popolarissima serie 'Ugly Betty', Fernando Gaitán alle Tigres del norte, cantori della narco-America.
Nella patria delle rivoluzioni, è d’obbligo citare il liberale nazionalista César Augusto Sandino, ispiratore d’ogni futuro sussulto insurrezionale contro il «potente vicino del Nord»; il 'brigante' Pancho Villa, ladro di bestiame ed eroe del Messico ribelle, e il poeta José Martí, che nelle pause della lotta anticoloniale compose l’immortale Guantanamera.
Le loro gesta sono anticipate o proseguite nel tempo dallo sfortunato Tupac Amaru II, dall’ormai celebre Pepe Mujica o dal visionario Antanas Mokus. O stravolte dalla 'bruja' (strega) Rosario Murillo, vero 'uomo forte' del Nicaragua orteguista. Saba e Somoza non trascurano neppure il fenomeno della diffusione delle sette pentacostali, potenti e ambigue, come due dei loro più celebri capi carismatici: la 'vescova' Sonia e Edir Macedo, fondatore di quella Igreja universal do Reino de Deus, motore dell’elezione del brasiliano Jair Bolsonaro.
Il risultato di questa affascinante galleria di ritratti è un mosaico in cui i colori sgargianti enfatizzano l’evanescenza delle tinte pastello. 'Un continente da favola' riesce così a trasmettere un’immagine sempre piena di sfumature - scrive Bruno Arpaia nella prefazione -, «di mezze tinte, di domande ancora in cerca di risposte, lontana dai clichés e dai preconcetti. In tempi di visioni in bianco e nero, spesso manichee e ideologiche, il suo richiamo alla complessità (…) assume quasi una valenza etica e conoscitiva più generale». © RIPRODUZIONE RISERVATAUn continente segnato da avventurieri di ogni tipo, ma capace di specchiarsi in vicende che in qualche modo ne sono il paradigma Da sinistra: il politico haitiano Toussaint Louverture (1743 1803). La statua di Jose Marti (1853 1895), politico e poeta cubano, a L’Avana. In basso: l’eroe messicano Francisco Pancho Villa