Eric Voegelin - voegelin-principles.eu
Ci sono autori che il canone filosofico non comprende, eppure non per questo possono considerarsi ininfluenti. Poi ce ne sono altri ancora, quasi del tutto dimenticati. E questo non perché di poco interesse ma per il fatto che, per il metodo di ricerca utilizzato, con difficoltà si fanno incastonare nel perimetro di una qualche disciplina riconosciuta. È il caso di Eric Voegelin (1901-1985), uno dei maggiori filosofi del Novecento, il cui nome con difficoltà si rintraccia nei manuali, forse anche perché disallineato con una visione della vita, oggi e ai suoi tempi dominante, che ignora l’esperienza della trascendenza. Una ricaduta della sua diffidenza verso il mondo moderno si ritrova nella sua fortuna editoriale in Italia, che non può dirsi particolarmente florida. Dopo che la casa editrice Borla, guidata da Alfredo Cattabiani, aveva dato alle stampe La nuova scienza politica, nella collana diretta da Augusto Del Noce e Elémire Zolla, ben poco si è visto in circolazione dei lavori di Voegelin, se si prescinde da alcune pubblicazioni uscite per Giuffrè, Medusa e il volume dedicato a Platone pubblicato dal Mulino per iniziativa di Nicola Matteucci. Ben poco, comunque, rispetto ai trentaquattro volumi che compongono le opere complete, e soprattutto rispetto ai cinque volumi che raccolgono il suo opus magnum, Ordine e Storia, di cui il citato testo sul filosofo greco è parte del terzo volume.
L’editore Vita e Pensiero, dal 2009, in controtendenza rispetto alle mode editoriali, si è fatto carico di un lavoro imponente, rendere disponibile al lettore italiano i cinque volumi di Ordine e Storia. Dopo la pubblicazione del primo, dedicato a Israele e la rivelazione, e del secondo, incentrato su Il mondo della polis, grazie all’abnegazione di Nicoletta Scotti Muth, docente di storia della metafisica antica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e promotrice dell’impresa editoriale, il 10 novembre uscirà il terzo volume di Ordine e Storia, impegnato ad affrontare il pensiero di Platone e Aristotele (pagine 448, euro 35,00), intesi entrambi come pensatori della crisi della polis.
Per cogliere il tono dell’argomentazione sviluppata da Eric Voegelin e del perché abbia goduto di così poca attenzione, basta prendere le mosse dalle parole con cui esordisce il primo volume del suo monumentale lavoro: «Dio, l’uomo, il mondo e la società formano una comunità d’essere primordiale». Già solo da qui si coglie la distanza, o addirittura l’estraneità, che separa Voegelin da altri filoni della filosofia politica del Novecento. Riconoscendo agli uomini di essere partecipi del «dramma dell’essere» egli si oppone radicalmente al positivismo delle scienze sociali e giuridiche dell’epoca. Il suo approccio si regge sulla necessità di avviare una riflessione a partire dall’analisi dei simboli attraverso cui si esprimono le esperienze umane della realtà, e tra esse in particolare le esperienze dell’ordine.
Ciò a cui allude il pensatore nato a Colonia con la precedente espressione è da intendersi come «esperienza di partecipazione della coscienza alla realtà», così precisa Nicoletta Scotti Muth nell’introduzione. E in particolare l’esperienza è da ritenersi sia dell’ordine politico e sia dell’ordine dell’essere, entrambi rilevanti nel riconoscere un senso alla storia dell’umanità. La crisi di un ordine politico è il tema al centro dell’intera riflessione di Voegelin anche quando si occupa dei filosofi mistici o di Platone, divampa non perché ci si imbatta «in un errore riguardo alla giustizia, ma nello spostarsi, cedendo alla pressione sociale, rispetto a quello che si è chiamato “accento della realtà”». Vale a dire quando, abbandonata l’esperienza della verità, l’uomo si sposta verso l’apparenza socialmente dominante, in cui il sogno tende a divenire realtà. Nella società in cui questo spostamento diventa prevalente, gli uomini, assecondando i propri desideri, vivono come se stessero sognando. Se alla verità si preferisce il sogno di vivere i propri desideri a vacillare è l’esperienza della trascendenza su cui si regge la comprensione della comune umanità degli uomini.
In questo contesto «l’esperienza di partecipazione a un ordine universale, lo xynon in senso eracliteo, va perduta, - ammonisce Voegelin -; la realtà si riduce alla vita delle passioni del singolo e l’universalità dell’ordine va dunque ricostituita a partire dagli unici elementi esperiti come reali. Se la passione è l’unica realtà, l’ordine, che in un certo senso si dà anche in una società corrotta, verrà costruito sulla base di un accordo tra individui caratterizzati dalle passioni». Unica soluzione possibile è la costruzione artificiale di un mondo comune fatto della semplice convivenza di mondi privati. Cesellatore di questa strategia, nel Seicento, fu Thomas Hobbes «in cui l’accordo contrattuale era motivato da una passione riconducibile alla stessa classe di passioni che avevano causato l’isolamento dell’individuo. Hobbes infatti fece della paura della morte la passione prevalente che indurrà l’uomo a rinunciare al soddisfacimento pieno delle altre passioni».
La perdita dell’esperienza della verità e il volgersi all’opinione e ai desideri reca con sé delle conseguenze sia a livello di comunità politica sia personale. «L’uomo è essenzialmente un essere sociale - puntualizza Voegelin -; vivere nella verità contrastando l’apparenza in un momento in cui il potere della società è schierato dalla parte dell’apparenza, costituisce un fardello spirituale impossibile da sopportare per i molti, estremamente oneroso per i pochi che lo possono. La pressione esercitata dalla necessità di conformarsi penetra l’anima costringendola ad attribuire all’opinione i caratteri esperienziali della verità. L’ultimo stadio consisterebbe nell’accecamento completo dell’anima recidendo da essa, mediante un controllo psicologico pianificato, qualsiasi capacità di ristorarsi all’esperienza di trascendenza. È esattamente ciò che troviamo nei moderni movimenti politici di massa». Eppure la ricerca dell’ordine che abita l’uomo, come recita il titolo dell’ultimo volume di Ordine e Storia uscito postumo, adombra sempre in sé una possibile esperienza della trascendenza, rendendo la storia imprevedibile.