Elio Pandolfi, 93 anni / Ansa
«Salga al primo piano, la salma di Elio Pandolfi qui giace... ». Ci accoglie così (allo scrivente e allo storico mentore pianistico, il maestro Marco Scolastra) con uno dei suoi colpi di teatro il funambolico Elio Pandolfi. Apriamo la porta del suo appartamento romano e lo troviamo in corridoio, seduto in carrozzina («per colpa de ste’ ginocchiacce, senno’ cammino ancora») mentre è assorto in preghiera: «Vedete, è lì che riposa la buonanima di Elio...». Comincia da questa gag d’alta scuola teatrale («Accademia Silvio D’Amico, prego! Diplomato al pregiato corso del 1945») la nostra splendida e umanissima chiacchierata a piedi nudi nel parco dei ricordi di un istrione che ha appena tagliato il traguardo delle 93 primavere. Un viaggio della memoria artistica, quello di un “irregolare” dello spettacolo («ho fatto tutto, recitato, cantato, ballato, doppiato, tagliato e cucito... ») di quella Roma ancora bella.
Elio l’eclettico, classe 1926, figlio di un bidello «amatissimo e ricordato dagli studenti del mio istituto di ragioneria al Gioberti. E lì che ho cominciato con le mie prime imitazioni». Una vocazione artistica assecondata da mamma, un po’ meno dalla nonna: da bambino gli diceva «un giorno canterò all’Opera », e la vecchietta satira gli rispondeva «sì, all’Opera Pia». Ma il talento c’era ed è stato subito evidente agli occhi attenti di due geni: Luchino Visconti e Federico Fellini che lo chiamava «Pandolfino ». «Luchino mi faceva esibire nel salotto della sua villa sulla Salaria e poi mi scritturò in teatro per L’impresario delle Smirne( regia di Visconti musiche di Nino Rota). Federico, su indicazione del mio amico fraterno Marcello Mastroianni mi fece un provino alla Scalera Film e mi mise subito al doppiaggio de La dolce vita. Fellini poi mi ha chiamato per piccoli ruoli in 8 1/2 e in Satyricon. Per lui ero il miglior doppiatore in circolazione, al punto che diedi la voce persino a Anita Ekberg nel suo Boccaccio ’70.
Da Spencer Tracy al cardinale di Amendi Costa Gavras, sono centinaia gli attori stranieri e non ai quali Pandolfi ha prestato il suo timbro modulabile, capace di entrare in ogni personaggio, animali compresi. «Beh la “gallina” è stato uno dei miei cavalli di battaglia. Anna Magnani quando era depressa mi telefonava e mi diceva: “Elio vie’ subito a casa mia e famme la gallina così rido un po’”. Straordinaria Anna, come Marcello...». Indica lo scaffale della libreria dove, tra le tante foto, spicca quella di Mastroianni, giovane e tenebroso, «si era appena sposato con la mia cara Flora, la Carabella, emanava un fascino alla Greta Garbo... Ho visto nascere Marcello e diventare quel grande attore che è stato e che rimarrà per sempre... Purtroppo ho assistito anche alle sue Ultime lune, lo spettacolo testamento che portava in teatro salutando fino all’ultima sera il pubblico sorretto da due assistenti». Si commuove Elio anche quando ripensa ai suoi «carissimi e inseparabili compagni d’Accademia, Bice Valori e Paolo Panelli. Fino a che ho potuto andavo a trovare Paolo al Verano, gli portavo i soldatini sulla tomba e gli leggevo il nuovo Tex acquistato apposta in edicola». Anche Pandolfi, come Valori e Panelli ha fatto coppia fissa con l’esilarante Antonella Steni. «Undici anni assieme in teatro, poi lo stop in tv. Alla Rai ci consideravano dei guitti: “Non potrete mai fare i conduttori”... Come si sbagliavano, la mia è stata una generazione geniale, in quanto preparata a tutto». Nella sua autobiografia Elio Pandolfi. Che spettacolo! (Gremese, a cura di Caterina Taricano) si ritrova davvero di tutto («anche Gianrico Tedeschi») dell’uomo Scanzonatissimo. «Non ho rimpianti né debiti, ma vanto un credito... nei confronti del cinema. Mi chiamavano sempre per fare le stesse parti e alla fine mi sono scocciato e ho detto basta. Un bel film da protagonista me lo sarei meritato».