Dominik Vanyi
L’uomo, per la sua evoluzione tecnologica, sta chiedendo alla natura elementi che nella crosta terrestre sono presenti in quantità limitate e, stando a un nuovo studio, è necessario prenderne coscienza per trovare soluzioni alternative se non si vuole incorrere in problematiche ambientali, politiche e sociali molto importanti. Per milioni di anni la natura si è adattata a evolversi con pochi elementi della tavola periodica. Carbonio, calcio, ossigeno, idrogeno, azoto, fosforo, silicio, zolfo, magnesio e potassio sono gli elementi costitutivi di quasi tutta la vita sul nostro pianeta. Tuttavia, per costruire il mondo degli esseri umani, comprese le città, i prodotti sanitari, le ferrovie i computer, gli smartphone e altro ancora sono stati e sono necessari molti più elementi chimici.
Un articolo accademico pubblicato su “Trends in Ecology and Evolution” avverte che la gamma di elementi chimici di cui gli esseri umani hanno sempre più bisogno (qualcosa che è scientificamente noto come elementoma umano) si sta notevolmente allontanando da ciò che la natura è in grado di offrire. Nel 1900, circa l’80% degli elementi utilizzati dall’uomo proveniva dalla biomassa (legno, piante, cibo...), una situazione molto vicina a quella che il resto della natura ha sempre fatto. Tale cifra è scesa al 32% nel 2005 e dovrebbe attestarsi intorno al 22% nel 2050. Ci stiamo dirigendo verso una situazione in cui l’80% degli elementi che usiamo proviene da fonti non biologiche, che la natura richiede tempi immemori per riproporre. Tra questi elementi vi sono silicio, nichel, rame, cromo e oro, così come altri meno comuni, come il samario, l’itterbio, l’ittrio e il neodimio.
«L’estrazione e il consumo di questi elementi sta aumentando ad un tasso di circa il 3% all’anno e continuerà così almeno fino al 2050», afferma Josep Peñuelas, ricercatore del CREAF e del CSIC e coautore dello studio. «In questo scenario, è possibile che entro quella data avremo esaurito tutte le riserve di alcuni di questi elementi, come l’oro e l’antimonio e entro la fine del secolo di altri, come il molibdeno e lo zinco». Ebbene questi elementi non biologici in molti casi sono molto scarsi e, in molti casi, le loro riserve principali si trovano solo in pochi Paesi. E per la maggior parte di essi devono essere ottenuti da depositi geologici, il che comporta l’estrazione, il commercio tra Paesi e lo sviluppo di tecnologie di riciclaggio efficienti, mentre la loro scarsità e la loro ubicazione creano potenziali conflitti sociali, economici, geopolitici e ambientali. Pertanto, quella che potrebbe sembrare una questione puramente scientifica in realtà ha ripercussioni molto più vaste. Spiega Jaume Terradas, un altro autore dell’articolo: «Sostenere l’elemento umano sarà sempre più complicato e rischioso. Dovrà essere fatto in termini di giustizia ambientale e, naturalmente, con un uso più razionale delle risorse limitate della Terra».
La ricerca non lascia spazio a dubbi: la richiesta di elementi chimici in sempre maggiori quantità potrebbe portare a crisi a tutti i livelli. L’utilizzo di più elementi della tavola periodica comporta l’estrazione dei minerali che li contengono e ciò produce aumento del consumo di energia e relative emissioni di CO2. La crescente scarsità degli elementi in questione inoltre, minaccia la loro disponibilità, soprattutto per i Paesi più poveri e rende difficile il mantenimento della produzione anche per i Paesi ricchi, incidendo sullo sviluppo economico.
In questo contesto, ci sono anche considerazioni geopolitiche importanti e problematiche. Le riserve naturali di alcuni elementi, tra cui le terre rare, sono localizzate in un numero limitato di Paesi (Cina, Vietnam, Brasile, Stati Uniti, Russia e Repubblica Democratica del Congo. Recentemente è stato scoperto un importante giacimento in Svezia). La Cina controlla attualmente oltre il 90% dell’offerta globale e quasi il 40% delle riserve. La loro disponibilità è quindi soggetta a fluttuazioni di offerta e di prezzo causate da interessi geopolitici contrapposti, con tutto ciò che ne comporta.
Gli autori dello studio sottolineano la necessità di porre fine alla politica di progettare prodotti che necessitano di tali elementi come se presenti all’infinito, nonché di sviluppare nuove tecnologie che contribuiscano a un uso più redditizio degli elementi scarsi e consentano un loro efficiente riciclaggio e riutilizzo. Lo studio menziona diverse tecnologie che potrebbero essere utilizzate per il recupero degli elementi scarsi. Uno è la biolisciviazione, l’estrazione di metalli dai loro minerali utilizzando organismi viventi, come i batteri. Per evitare l’inquinamento, nel frattempo, gli scienziati stanno studiando il “biosorbimento”, un processo fisico-chimico che si verifica naturalmente in alcuni organismi e consente loro di filtrare gli inquinanti, come i metalli pesanti, nelle acque reflue.