Lo scrittore e poeta Roberto Roversi, nato a Bologna il 28 gennaio del 1923
Un invisibile militante. A chi dovesse chiedere chi era Roberto Roversi, si potrebbe anche rispondere così. Oltre a dire che è stato una coscienza critica del secondo Novecento, un intellettuale di matrice comunista e un assoluto libertario che ha esercitato la poesia, la scrittura, il giornalismo e, soprattutto, la professione di libraio. Perché era la misteriosa ed evocativa polvere dei libri la fragrante essenza che lo ha inebriato fin da ragazzo, portandolo a gestire per quasi sessant’anni la libreria antiquaria Palmaverde di Bologna, la città dove è nato un secolo fa, il 28 gennaio 1923. A ereditarla, di fatto, è stato il nipote Antonio Bagnoli (anch’egli scrittore) che con la casa editrice Pendragon porta avanti una inesausta missione di libero pensiero. Che in questi giorni diventa anche celebrazione, a partire dall’incontro odierno a Bologna intitolato appunto “Chiedi chi era Roberto Roversi”, giocando sul titolo della famosa canzone degli Stadio con testo di Roversi, scopertosi anche “paroliere” negli anni 70 per Lucio Dalla.
Senta Bagnoli, intanto chi è stato Roversi per lei?
Fratello di mia mamma, per me è stato anzitutto come un secondo padre, avendo io perso il mio presto. Da lui ho preso anche la passione per la letteratura e il mondo dell’editoria, infatti la casa editrice Pendragon è nata grazie ai suoi consigli e indirizzi. Così nel ‘93 il mio esordio non poteva che essere con la ristampa della sua rivista Officina, fondata nel 1955 con Leonetti e Pasolini. Volevano ripubblicarla Einaudi e Mondadori, ma lui disse anche stavolta no in linea con la clamorosa decisione a metà degli anni 60 di rifiutare di pubblicare con le grandi case editrici.
Fu una scelta di totale rottura. Perché la fece?
In Roversi il rigore è sempre andato di pari passo con la dignità e la cura del proprio lavoro, ma anche con fedeltà ai propri sentimenti e al proprio modo di pensare. Per anni ha ricevuto inviti a rilasciare interviste e a intervenire a programmi televisivi, ma lui ha sempre declinato. “Dovrebbero saperlo che non vado in televisione”, mi ripeteva sempre. Era assente, eppure assai presente. Pasolini gli diceva che cercava la clausura nella clausura. Ritrosia sì, ma straordinaria osservazione di quello che gli stava attorno.
Una lezione, soprattutto oggi...
Molti dovrebbero imparare da lui che tenersi appartati non significa essere fuori dal mondo, ma semmai riuscire a guardarlo con molta più lucidità. Informandosi, parlando, incontrando e ascoltando. Ed è quello che è riuscito a fare per tutta la vita. Che io ricordi, l’unico evento pubblico a cui ha partecipato dagli anni 80 in poi è stata la conferenza stampa di presentazione della collana da lui diretta L’Arca ( 18 volumi dal ‘97 al 2000 pubblicati da Pendragon), nome che era stato scelto da sua moglie. Forse anche per questo aveva deciso di presentarsi in pubblico. Però ora nella due giorni a lui dedicata a Bologna, in attesa di future iniziative in biblioteche cittadine e regionali, faremo ascoltare alcune sue interviste radiofoniche. Alcune le avevo già messe online: sono interviste rilasciate da lui tra il 1975 e il 2000. Attraverso le sue parole mi piace che soprattutto i giovani possano riflettere con lui sulla poesia, sulla scrittura, sull’impegno culturale o anche solo sulla situazione cittadina. Poi daremo la parola a persone che hanno conosciuto Roversi dopo la sua morte, cioè solo attraverso il suo lavoro.
E il Roversi “paroliere”?
Nel giorno dell'anniversario, a Pieve di Cento. Ci sarà il gruppo musicale Zois che ha messo in musica sette suoi testi inediti che aveva scritto per Lucio Dalla. Ne uscirà un disco. Poi sul modello di Officina Pasolini, che è a Roma, si farà qui a Bologna con i giovani una Officina Roversi al DumBo, una fucina creativa che sta per nascere a Bologna. Vorrei che come adesso si studia Pasolini, la gente studiasse Roversi, uno dei protagonisti culturali del secondo Novecento. Far capire che qui c’è un autore che è a disposizione di tutti. Così come è stato a disposizione quando dava i suoi testi a riviste e fanzine e lui stesso ciclostilava i suoi scritti. Ha fatto rete ancor prima che nascesse il web.
Pubblicazioni in vista?
Ce ne saranno certamente. L’ultima, con Pendragon, è stata lo scorso 14 settembre, nel decennale della morte: un’antologia di sue poesie e scritti intitolata Non isolarsi ma ascoltare con testi tratti da Dopo Campoformio, Le descrizioni in atto, L’Italia sepolta sotto la neve e fogli sparsi, com’era sua prassi.
Come mai, pur non amando schierarsi, ebbe a dirigere l’allora settimanale Lotta Continua?
Accettò la direzione di Lotta Continua perché era l’unico modo per poterlo fare uscire. Firmò comunque un solo numero, il 17 del 1970, perché nelle bozze del numero successivo, diretto da Sante Violante, fu presa una posizione assolutamente contraria alle sue idee. Il numero 19 di quell’anno ebbe invece come direttore Marco Pannella. Fu direttore anche Pasolini, per il numero 5 del ‘71, mentre quello dopo fu firmato da Giampiero Mughini... Conservo ancora una lettera in cui mio zio racconta dei dodici processi subiti e il rapporto che c’era tra il Partito comunista, a cui era vicino, e quel movimento.
Come visse Roversi la fine del Partito che incarnava anche nel nome il suo credo politico?
La fine del Pci per lui era inevitabile, essendo venuta a mancare la spinta propulsiva che vedeva in origine nel marxismo, ideale della sua giovinezza. Ma ancor prima venne la delusione per la repressione sovietica dei moti di Ungheria nel ’56 e la presa di coscienza della fine di una utopia. La caduta del suo ideale avvenne lì.
Poi però scrisse Comunista per Dalla...
Un brano rimasto nel cassetto e uscito molto tempo dopo la loro trilogia. Una collaborazione che consentì a Roversi di comunicare ad ampio raggio, raggiungendo con la canzone molte più persone di quante ne potesse raggiungere con le poesie.
Com’era il loro rapporto?
Roversi era per Dalla una figura paterna. Avevano vent’anni di differenza. Però quando si separarono per l’album Automobili ( per il taglio di alcuni brani voluto dai discografici, ndr) la rottura c’era stata davvero e i toni erano molto duri soprattutto da parte di Dalla. Lui aveva bisogno del pubblico e del consenso. Per Roversi invece la canzone era solo una strada per comunicare. Sul divorzio diceva sempre che avevano fatto benissimo tutti e due. Anzi, gli aveva addirittura consigliato di scrivere da solo i testi. E Come è profondo il mare è un disco molto roversiano.
Dalla amava molto di Roversi il verso “nevica sulla mia mano” della Canzone di Orlando. A Roversi quale suo verso piaceva di più?
Lo commuoveva molto il passaggio di Nuvolari dove c’è lo stacco recitativo che inizia con “quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari” e finisce con “e lo guarda scomparire come guarda un soldato a cavallo, a cavallo nel cielo di aprile”. Lui ricordava infatti che da bambino vide proprio passare Nuvolari in auto durante una corsa, davanti ai Giardini Margherita di Bologna. A proposito di Nuvolari, fu Roversi stesso a dire a Dalla di velocizzarla. Un giorno Lucio gli portò un provino che era molto più lento e mio zio gli disse: “Bello, ma guarda che Nuvolari andava molto veloce”. Dalla rimase folgorato, disse: “Ciao Roberto, vado”. Corse via e una settimana dopo Nuvolari era come la conosciamo tutti.
Anni dopo Roversi scrisse anche per gli Stadio, oltre al brano 20 Parole cantato persino da Mina...
Sì, ma Gaetano Curreri non sapeva che il testo di Chiedi chi erano i Beatles Roversi l’aveva scritto per Lucio. Era un testo del ‘75 che gli Stadio hanno pubblicato dieci anni dopo e che era stato firmato con lo pseudonimo Norisso, lo stesso usato per protesta anche nell’album Automobili.