Franz Beckenbauer - Reuters
L'imperatore ha abdicato. Franz Beckenbauer, per tutti semplicemente Kaiser Franz, capitano del Bayern Monaco e della Germania Ovest si è spento domenica a 78 anni. Un calciatore, un allenatore, un uomo che ha profondato cambiato il calcio tedesco, in campo e fuori. Lui che era partito da Giesing, quartiere operaio di Monaco di Baviera. Il papà, che si chiamava come lui, era un impiegato delle poste, mentre suo zio Alfons negli Anni Trenta aveva giocato nel Bayern Monaco.
Storia di un predestinato
Un segno del destino per uno come Franz, che dopo aver iniziato con il piccolo SC München 1906 , sembrava invece indirizzato al Monaco 1860, a quell'epoca la squadra più importante del capoluogo bavarese. A cambiare la sua vita e la geografia calcistica della città e del calcio tedesco, un episodio che accade al giovane Beckenbauer a 12 anni. Durante una partita contro i pari età del Monaco 1860 un avversario, Gerhard König gli tira uno schiaffo. Franz decide che per quella squadra non giocherà mai. Infatti accetta l'offerta del Bayern Monaco. Sull'altra riva dell'Isar da lì a pochi anni il neo presidente Wilhelm Neudecker allestirà una squadra che segnerà l'inizio del primo vero ciclo vincente del club, con uno sgraziato attaccante di Nördlingen Gerd Müller e un portiere con i riflessi di un gatto Sepp Maier. Su questo trio, l'allenatore jugoslavo Zlatko Čajkovski, amante delle salsicce, delle sigarette e dei giocatori di talento, mette le basi per una squadra che vincerà il primo titolo tedesco nel 1969 con Branko Zebec ma che poi non si fermerà più fino al 1976. Conquista tutto quello che può conquistare in Germania, in Europa e nel mondo. Al centro c'è lui, Franz. Prima centrocampista, poi libero. Fisico, classe, personalità.
Il primo calciatore tedesco con il suo "procuratore"
È il primo giocatore tedesco ad avere un manager Robert Schwan, che era anche il ds del Bayern e anche uno dei primi a diventare un personaggio globale. Lo diventa grazie alle sue giocate, al suo aspetto angelico, alla sua capacità di incarnare il figlio-che-tutti-vorrebbero-avere. Incide dischi, recita, presta il volto a tanti prodotti. E poi c'è la Nazionale. Ci arriva nel 1965, nella partita decisiva per la qualificazione ai Mondiali d'Inghilterra dove giocherà un torneo eccezionale. È un centrocampista a tutto campo, sa difendere, attaccare e segnare. È la rivelazione del Mondiale. Non vince, come non vincerà nel 1970, ma in quell'edizione consegna al calcio mondiale, una delle immagini più celebri della storia del Gioco. Un giocatore con un braccio al collo allo Stadio Azteca contro l'Italia, nella partita del secolo, simbolo di uno che il campo dà tutto e non ama perdere. Il 1974 è il capolavoro. Al di là delle prestazioni sportive è lui dopo la partita persa con la Germania Est a prendere per mano emotivamente i suoi compagni. Li condurrà fino alla finale vinta all'Olympiastadion contro l'Olanda di Cruijff. Per il Kaiser, soprannome che secondo alcuni sarebbe stato dato dopo una foto del giovane Franz di fianco a un busto dell'imperatore Francesco I d'Asburgo, è il punto più alto della sua carriera. Dopo tre anni andrà ai New York Cosmos dove sarà a fianco di Pelè e uno dei soggetti di un'opera di Andy Warhol e poi ritornerà in Germania per giocare nell'Amburgo, dove il general manager era quel Günter Netzer, a cui da calciatore era stato sempre contrapposto per personalità e stile.
Il carisma da ct della Germania campione del mondo
Un uomo carismatico che nel 1984 viene chiamato al capezzale della Nazionale della Germania Ovest, reduce dalla cocente eliminazione dagli Europei in Francia. Lui, da novello Cesare, che mai ha allenato prima viene, vede e vince. Dopo aver perso una finale del 1986 in Messico contro l'Argentina di Maradona, quattro anni dopo nel 1990 si prende la rivincita in un altro Olimpico quello di Roma, diventando dopo Zagallo, curiosamente scomparso poco prima di lui, il secondo di sempre a vincere un Mondiale da giocatore e da allenatore. In panchina, a parte un'avventura con l'Olympique Marsiglia come direttore tecnico, ci tornerà solo in caso di emergenza e con il suo Bayern, con cui nominalmente nel 1996 vincerà una Coppa UEFA. Nel suo vecchio club Beckenbauer sarà presidente tra il 1994 e il 2009 e leggenda vivente fino a quando la salute l'ha sostenuto. I palazzi del potere saranno la sua vera casa e non senza polemiche. Beckenbauer sarà uno dei vicepresidenti della Federazione tedesca e in questo ruolo sarà uno dei principali fautori dell'assegnazione dei Mondiali alla Germania nel 2006. Su di lui sono piovute accuse di corruzione, che termineranno con la prescrizione. Gli ultimi anni saranno di lento declino e segnati dalla morte di Stephan, uno dei suoi figli. L'uomo che ha cambiato il calcio tedesco si spegne pian piano. Appare poco, parla ancora di meno, come i vecchi regnanti prossimi alla fine.
Il palmarès del Kaiser Franz
Con la Germania Ovest ha partecipato a tre campionati del mondo (1966, 1970, 1974) e due campionati d'Europa (1972, 1976), vincendo da protagonista l'europeo 1972 e il mondiale 1974. Vanta inoltre una piazza d'onore ai Mondiali (1966) e una agli Europei (1976), oltre al terzo posto ai mondiali messicani del 1970; in quest'ultima occasione ha inoltre preso parte alla cosiddetta partita del secolo Italia-Germania 4-3. Da allenatore ha guidato la Germania Ovest, l'Olympique Marsiglia e il Bayern Monaco (in due occasioni), vincendo il campionato del mondo 1990, il campionato tedesco 1993-1994 e la Coppa UEFA 1995-1996. Assieme a Mário Zagallo e Didier Deschamps è una delle sole tre personalità del mondo del calcio riuscite a vincere il mondiale sia da giocatori sia da allenatori (e, come Deschamps, da capitano della nazionale vincente). Da commissario tecnico ha inoltre raggiunto la finale del mondiale 1986, uscendone tuttavia sconfitto dall'Argentina trascinata da Diego Armando Maradona.
Dal 2009 era presidente onorario del Bayern Monaco. È stato presidente del comitato organizzatore del campionato del mondo 2006.