Creatività, ricerca del mistero dell'animo umano e impegno civile. Il cinema di Bernardo Bertolucci, morto stanotte all'età di 77 anni nella sua casa di Roma, ha segnato il "secolo breve", e non solo per la Settima Arte. Primogenito del grande poeta Attilio, il regista, sceneggiatore e produttore parmigiano imparò da Pasolini, di cui fu assistente in Accattone, l'uso della macchina da presa come strumento per raccontare l'uomo, anche nei suoi aspetti più intimi e inquieti. «Ho visto lavorare Pier Paolo, l'ho visto inventare i suoi film giorno dopo giorno - ricordava Bertolucci -, l'ho visto inventare il suo stile, fare le sue carrellate e i primi piani, e mi sembrava di assistere ogni volta alla nascita del cinema, un'arte che lui reinventava e riscopriva continuamente».
Parole che possiamo spendere, oggi, una per una, per definire l'intera opera del cineasta italiano vincitore di due Oscar (regia e sceneggiatura) per l'Ultimo imperatore, di un Leone d'Oro alla carriera alla Mostra di Venezia nel 2007 e della Palma onoraria a Cannes nel 2011.
Un gigante dell'arte cinematografica che ha saputo accompagnare con i suoi film i passaggi fondamentali del pensiero e della cultura del nostro tempo, con tutte le contraddizioni. Tra politica, sessualità e contrasti sociali. In sei film più importanti (tra i 17 realizzati) la summa, tra luci e ombre, della sua "poetica", raccontata anche da se medesimo.
La commare secca (1962)
Opera d'esordio. Soggetto del suo maestro Pasolini, reinventato però dal ventitreenne Bertolucci sul set, scena per scena, come un esercizio di stile. È una storia di ladruncoli, ruffiani e "ragazzi di vita" sospettati dell'omicidio di una mondana nella Roma del sottoproletariato. «Ero convinto di fare letteratura: è un film molto più vicino alla poesia di un romanzo».
Il conformista (1970)
Da un romanzo di Alberto Moravia ambientato in epoca fascista: le vicende personali e intime del protagonista si intrecciano a quelle politiche. Narrazione e surrealismo insieme. Interpreti straordinari, Jean-Louis Trintignant e Stefania Sandrelli. «Dirigere gli attori significa soprattutto amare le persone: si tratta di scoprire e tirare fuori la loro vera natura. Tutto qui».
Ultimo tango a Parigi (1972)
Film scabroso, costò all'autore una condanna a 4 mesi di reclusione per le numerose scene erotiche. La censura avviò un procedimento penale contro la pellicola che sfociò nella condanna al rogo del film, decretata il 29 gennaio 1976. Un americano che vive nella capitale francese (Marlon Brando) sembra perdere le ragioni della sua esistenza con la morte della moglie e cerca di ritrovarle nel rapporto passionale con una giovane incontrata per caso. Racconto psicanalitico. «Volevo fare un film su una coppia ma quando ho iniziato le riprese mi sono accorto che stavo facendo un film sulla solitudine»
Novecento (1976)
L'epopea di un secolo nella Bassa emiliana raccontata attraverso le vite di due amici (Robert De Niro e Gérard Depardieu) che appartengono a classi contrapposte: proprietari terrieri e contadini. Marx e il fascismo. Ma non solo. «I due protagonisti, lo sfruttatore e lo sfruttato, sono uniti da un sentimento comune per cui perdono la loro identità e finiscono per essere due poli dello stesso discorso, intercambiabili».
L'ultimo imperatore (1987)
Kolossal hollywoodiano (nove Oscar). Fastoso ed emozionante, girato nella Città Proibita, entra nella drammatica esistenza di Pu Yi, l'imperatore della Cina abbattuto dalla Rivoluzione di Mao. «In Occidente, e soprattutto in Italia, un modello da seguire è colui che ha cominciato come meccanico ed è direttore d'azienda e non invece un uomo che era imperatore ed è diventato giardiniere. (...) I cinesi si sono prostrati davanti a Mao proprio come facevano davanti a Pu Yi».