Una donna intenta a praticare l’antica arte calligrafica della scrittura nüshu - Pime
«Sii gentile con tutti e non parlare mai ad alta voce, non ribattere a ciò che ti viene detto, intervieni solo quando ti è chiesto qualcosa ». Le norme racchiuse nel canto tradizionale Il galateo delle figlie offrono uno spaccato eloquente dell’assordante silenzio a cui erano costrette le donne all’interno della società maschilista e patriarcale della Cina di età imperiale. Un contesto in cui la quotidianità femminile era scandita dalle “tre obbedienze” - dovute al padre, al marito e ai figli maschi - e le ragazze erano consapevoli di poter contare solo su se stesse fin dal giorno del loro matrimonio quando, intorno ai quindici anni, abbandonavano il villaggio natio e i propri affetti per seguire uno sposo che non conoscevano.
Eppure, tre secoli fa, in alcuni villaggi della remota contea meridionale di Jiangyong, madri e figlie, sorelle e amiche, costrette all’analfabetismo perché considerate indegne di ricevere un’istruzione, trovarono il modo per dare voce ai loro pensieri più intimi e alle fatiche di una vita dura e sacrificata. E inventarono il nüshu, l’unica lingua scritta al mondo creata e utilizzata esclusivamente da donne. Una serie di caratteri dalle forme sottili e allungate che, vergati in colonne verticali da destra a sinistra usando bastoncini di bambù intinti nei fondi bruciati dei wok, oppure ricamati su ventagli e tessuti, traducevano in sillabe i suoni dei dialetti locali.
«Si tratta di una scrittura elegante e raffinata che è, allo stesso tempo, il simbolo delle sofferenze vissute dalle donne all’interno di un sistema che le privava di una voce, ma non della volontà di comunicare, di avere un proprio spazio», spiega Giulia Falcini, docente all’Università di Macerata e curatrice di una mostra dedicata a questo originalissimo fenomeno culturale, in programma al Museo Popoli e Culture del Pime di Milano dal 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. « Il nüshu – continua la sinologa - si configura come il codice di una libertà creativa conquistata con discrezione da ragazze e anziane che, attraverso la scrittura, il canto, il ricamo, hanno tramandato vicende quotidiane, moniti, leggende, ma soprattutto la solidarietà e la comprensione reciproca per il destino che le accomunava».
Le giovani, infatti, utilizzavano la “lingua segreta” per comunicare con la propria laotong, una sorta di sorella dell’anima assegnata loro dalle mediatrici dopo la pratica tradizionale della fasciatura dei piedi (ridotti a una lunghezza tra i sette e i dodici centimetri, per ottenere l’andatura oscillante conforme ai canoni estetici dell’epoca). E in nüshu venivano compilati i “libri del terzo giorno”, donati alla neosposa nel momento in cui era costretta a lasciare il villaggio per seguire il marito: contenevano auguri e raccomandazioni ma anche pagine bianche, che la ragazza avrebbe poi potuto riempire con i suoi pensieri sulla vita coniugale.
La mostra milanese rappresenta un dialogo tra alcune opere realizzate da una eredi più giovani e apprezzate di questa tradizione, Hu Yuanyu, accanto alle interpretazioni realizzate dalla stessa Falcini, che insieme a lei ha imparato a decifrare e riprodurre i misteriosi caratteri, a cui ha dedicato anche un libro: Il nüshu, la scrittura che diede voce alle donne (CSA editrice). Ne scaturisce un confronto in bilico tra la pratica originale quella di ventagli, libri e oggetti provenienti dal villaggio di Puwei - e una sua declinazione contemporanea, in chiave transculturale, realizzata con diverse tecniche e materiali.
Un modo anche per riscattare un fenomeno che ai tempi della Rivoluzione di Mao, tra il 1966 e il 1976, fu messo al bando in quanto “lingua delle streghe” ed espressione del passato feudale. Molti dei testi conservati fino a quel momento furono distrutti. A fare le spese di questo accanimento fu anche uno dei primi conoscitori uomini della “scrittura delle donne”: Zhou Shuoyi, che ne aveva scoperto l’esistenza negli anni Venti, quando sua zia era andata in sposa in un villaggio dove ancora veniva utilizzata. Le sue ricerche, ritenute non in linea con i dettami della Rivoluzione, furono vietate e lui finì nei campi di lavoro per 21 anni. Ma nel 1979, una volta libero, Zhou riprese a studiare il nüshu e, con l’aiuto dell’ultima depositaria dei suoi segreti, Yang Huanyi, ne decifrò l’alfabeto, pubblicandone infine, nel 2003, il primo dizionario.
La mostra al Museo Popoli e Culture, organizzata in collaborazione con Associna, vuole contribuire a tenere viva un’espressione culturale a rischio di cadere nell’oblio, visto che gran parte del corpus letterario è andato perduto: nel 2012, il sinologo di Harvard Wilt Idema censì circa 500 testi rimasti. Ma l’obiettivo è anche puntare l’attenzione sulla sofferenza delle donne, nella Cina feudale e non solo. Anche oggi, nonostante il mutamento della sensibilità sociale, nel grande Paese di Mezzo la tradizione condiziona fortemente i ruoli di genere e un buon matrimonio è il massimo a cui una giovane possa aspirare per non diventare quella che viene definita una “donna di scarto”.
Ma lo sguardo può allargarsi ancora. Commenta Francesca Moretti del Museo Popoli e Culture: «Molti oggetti delle nostre collezioni ci narrano storie che hanno per protagoniste le donne e ci offrono continuamente spunti di riflessione per indagare non solo il passato, ma anche e soprattutto il mondo che ci circonda». Del resto, come recita l’iscrizione in nüshu su una moneta di bronzo risalente alla metà del XIX secolo e rinvenuta nella Cina meridionale, “tutte le donne del mondo appartengono alla stessa famiglia”.
Al Pime di Milano la mostra per vedere e scrivere
Un ventaglio decorato in scrittura nüshu - Pime
La mostra “Il nüshu. I caratteri che diedero voce alle donne” potrà essere visitata presso il Museo Popoli e Culture del Pime di Milano (via Monte Rosa, 81) dal 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, fino al 10 febbraio, Capodanno cinese. L’evento è organizzato in collaborazione con Associna, associazione che riunisce le nuove generazioni italo-cinesi. Nel giorno dell’inaugurazione sarà anche presentato il libro di Giulia Falcini Il nüshu, la scrittura che diede voce alle donne (CSA editrice), mentre nel periodo di apertura della mostra verranno organizzati laboratori di scrittura nüshu. Nato nel 1910 grazie all’opera dei missionari del Pime con il nome di “Museo etnografico indo-cinese”, il Museo Popoli e Culture è dedicato alla conoscenza delle culture extra-europee e custodisce una composita collezione di beni che provengono da Asia, Africa, Oceania e America Latina. Info: museopopolieculture.it/mostre.