Rilievo dell’Arco di Tito, copia nel Museum of the Jewish People a Tel Aviv: soldati romani celebrano la Giudea Capta - / WikiCommons
Pubblichiamo un estratto dell'intervento che la storica Anna Foa terrà venerdì 19 agosto, alle 21, a Cisternino (Val d'Itria) all'interno del Festival dei Sensi.
Il nesso tra gli ebrei e l’esodo è già nel testo biblico, nella narrazione che il secondo libro del Pentateuco fa dell’Esodo dall’Egitto, del lungo cammino degli ebrei nel deserto, quarant’anni, fino all’arrivo nella terra di Canaan. Ma gli esodi, nella storia ebraica, sembrano non finire mai. C’è quello che porta gli ebrei in cattività a Babilonia, fra il VII e il VI secolo a.C., e poi, ormai denominato diaspora, termine greco che significa dispersione, quello che dopo la conquista romana della Giudea, nel 70 d.C., sparge gli ebrei nel Mediterraneo e a Roma. E altri esili seguono, le espulsioni medioevali, quella del 1492 dalla Spagna, l’esilio dall’Italia meridionale all’inizio del Cinquecento, le cacciate dai paesi arabi nel Novecento, dopo la fondazione dello Stato di Israele.
Tanto negativo è il senso di questi esili, a cominciare da quello del 70, che nella riflessione teologica cristiana la dispersione degli ebrei è il segno stesso della punizione divina per non aver riconosciuto Cristo. Ma non tutti gli esodi sono frutto di cacciate e persecuzioni e formati da schiavi in catene. Prima ancora del 70, a partire dal II secolo a.C., gli ebrei si spargono nel Mediterraneo, mercanti o soldati mercenari, stabilendosi sulle sue coste come altri popoli del Mediterraneo, i greci, i fenici. È una diaspora volontaria, spesso di numeri ristretti di persone, niente che assomigli all’esodo descritto nella Bibbia, ma è un errare spontaneo alla ricerca di luoghi favorevoli, di mercati, di vite migliori.
Quando nel 70 la Giudea viene forzatamente svuotata dei suoi ebrei, Roma era già da quasi tre secoli sede di un radicato stanziamento ebraico. E presto le coste del Sud d’Italia si popolano di nuovi e fiorenti insediamenti, solo in parte frutto dell’esilio del 70, spesso volontario: mercanti, artigiani, dotti. È la culla della diaspora occidentale. Di là nel tempo raggiungeranno la Germania renana, la Francia, l’Inghilterra, forse al seguito di Guglielmo il conquistatore. In Italia, nel Trecento gli ebrei si spargono da Roma verso il Centro e il Nord dando vita a piccole comunità di prestatori. L’allontanamento dalla terra, imposto dalle prime proibizioni dell’Impero romano-cristiano, aveva impedito loro l’ascesa sociale, tipica del Medioevo, dal commercio alla terra. Sono gli unici che hanno liquidità, una possibilità molto ambita dalle città ai loro esordi medioevali. Intanto, la loro antica culla italiana, il Sud, viene loro preclusa da persecuzioni ed espulsioni. Là, dopo la metà del Cinquecento, non vi saranno più ebrei.
Sempre erranti, dunque? Non è così. A Roma, sono i più antichi abitatori della città, dal II secolo a.C. senza interruzioni, e così a Babilonia. In molti luoghi, sono stabili e radicati. Ma il loro esser minoranza, almeno dentro il mondo cristiano, li mette sempre, in un modo o nell’altro, a rischio di una rottura del patto che li lega alla maggioranza. Alla fine del Quattrocento, un altro grande esodo, quello dalla penisola iberica, questo sì imposto e frutto di persecuzioni, spinte alla conversione, uso della forza. Gli ebrei, e con loro i convertiti a forza, i marrani, si spargono nel Mediterraneo, in Italia, fino all’Impero Ottomano che li accoglie di buon grado. Ma quel Mediterraneo continuano, da mercanti importanti, a percorrerlo da un capo all’altro, commerciando tra Anversa, Venezia, Salonicco, Costantinopoli.
Con l’emancipazione nell’Europa Occidentale, raggiungendo diritti e doveri degli altri cittadini, gli ebrei si radicano maggiormente ai luoghi dove vivono. Così gli ebrei italiani, che si sentono prima italiani che ebrei e partecipano al Risorgimento e alla Grande Guerra, così quelli tedeschi e francesi. Solo quelli dell’Est Europa, dove non c’è emancipazione, emigrano e a milioni raggiungono l’America del nord, alla fine dell’Ottocento. Migranti come gli italiani, gli irlandesi. Il resto è storia non di erranti ma di divieto di migrare, come nella Germania dopo il 1938. Non di spostamenti ma di morte, nella Shoah. Fino alla fondazione dello stato di Israele, che vorrebbe essere anche, ma chissà?, la fine della diaspora, della vita da minoranza, dell’errare.