Fëdor Dostoevskij ritratto del 1872 da Vasilij Perov - archivio
L’ultima volta, veramente l’ultima. La promessa, in realtà, era già stata formulata più volte in passato, ma adesso finalmente Fëdor Dostoevskij l’avrebbe mantenuta, a dispetto di ogni scetticismo. «Ora sono tuo, tuo, completamente tuo: finora appartenevo per metà a quella maledetta fantasia», annuncia nell’ennesimo poscritto della drammatica lettera inviata da Wiesbaden alla moglie Anna Grigor’evna il 28 aprile 1871. L’argomento è il gioco o, meglio, La febbre del gioco, per riprendere il titolo della bella antologia dostoevskiana allestita dallo slavista Fausto Malcovati per Marcos y Marcos (pagine 160, euro 16). Attingendo all’epistolario e ai romanzi, oltre che alle memorie della stessa Anna Grigor’evna, Malcovati segue le tappe salienti dell’ossessione per l’azzardo (la «maledetta fantasia», appunto) patita da Dostoevskij tra il 1862 al 1871. Perché sì, dopo la famosa lettera il romanziere smette bruscamente di scommettere alla roulette. Un caso simile, almeno nei contorni esteriori, a quello del giovane Manzoni che, sorpreso da Vincenzo Monti mentre sta giocando nel ridotto della Scala, rimane talmente turbato dal rimprovero del poeta («Se andate avanti così, bei versi che faremo in avvenire!») da rinunciare immediatamente alla cattiva abitudine. Se la breve stagione di ludopatia non lascia praticamente segni nell’opera di Manzoni, ben diversa è la situazione in Dostoevskij, nelle cui trame l’accumulo e la dissipazione del denaro rappresenta una costante resa ancora più tragica dalla mania per il gioco. Nel libro da lui curato (nel quale sono riprese anche le celebri riflessioni di Sigmund Freud, imperniate proprio sull’analisi del legame tra azzardo e invenzione letteraria), Malcovati ripropone molti brani da Il giocatore, il romanzo del 1866 che, tra l’altro, segna l’incontro tra Dostoevskij e Anna Grigor’evna, assunta come stenografa per rendere più veloce la redazione del libro. C’è di mezzo una scadenza, come al solito. C’è di mezzo un contratto da onorare per ricevere il denaro di cui non si può fare a meno. Ma il circolo vizioso tra vincite e perdite ha un ruolo tutt’altro che trascurabile anche nell’ultimo romanzo compiuto di Dostoevskij, L’adolescente, datato 1875 e da poco disponibile da Feltrinelli nella nuova traduzione di Serena Prina (pagine 672, euro 13). Nell’intervallo tra un titolo e l’altro si colloca il viaggio in Europa del 1867, durante il quale Anna è direttamente coinvolta nelle peripezie del marito al tavolo verde. La vicenda – ampiamente documentata dalle già citate memorie della donna – fa da sfondo a uno dei libri più straordinari mai scritti su Dostoevskij. Si tratta di Estate a Baden-Baden di Leonid Cypkin, che Neri Pozza ripropone in una veste che ripropone in modo più fedele le volontà dell’autore (traduzione di Margherita Crepax, pagine 224, euro 16). Medico di professione e scrittore segreto per gran parte della sua vita, Cypkin morì a Mosca nel 1982, all’età di 56 anni, pochi giorni dopo che Estate a Baden-Baden era stato pubblicato negli Stati Uniti. La nuova edizione del libro (accompagnata da un importante saggio di Susan Sontag (nella traduzione è di Paolo Dilonardo), comprende una scelta delle numerose fotografie scattate da Cypkin per documentare il suo lungo pedinamento sulle tracce di Dostoevskij. Anche Estate a Baden-Baden, del resto, si presenta come resoconto di un viaggio da Mosca a Leningrado (siamo in epoca sovietica, il nome di San Pietroburgo non è ancora stato ripristinato). In treno il protagonista-narratore legge la cronistoria del terribile 1867, con Dostoevksij che arriva a impegnare i bottoni del vestito di Anna pur di racimolare altri soldi per le scommesse, e intanto si interroga sull’antisemitismo dello scritto: un elemento, questo, che all’ebreo Cypkin risulta ancora più insopportabile della «febbre del gioco». Estate a Baden-Baden non fornisce più risposte di quante se ne possano ricavare dagli scritti di Dostoevskij, ma è la conferma della forza generativa insita nei capolavori, capaci di suscitare opere a loro somiglianti e non meno impegnative per complessità. A proposito: tra i film attesi alla prossima Mostra del Cinema di Venezia c’è anche Il collezionista di carte di Paul Schrader, il regista statunitense noto, tra l’altro, per la magistrale sceneggiatura di Taxi Driver. Coincidenza suggestiva, se si considera che nel 2021 cade il bicentenario della nascita di Dostoevskij (e il 140° anniversario della sua morte). E che, se qualcuno ha saputo portare a Hollywood le inquietudini e i rovelli del grande russo, questi è proprio Schrader.