La filosofa Carla Bagnoli
Anche se Aristotele sostiene nella Politica che «il maschio è per natura migliore, la femmina peggiore, l’uno atto al comando, l’altra all’obbedienza», la filosofia è stata storicamente uno dei motori dell’emancipazione femminile. Un processo che però bussa ancora alle porte dei Dipartimenti universitari italiani, dove la presenza di donne resta minoritaria. Recentemente, è nata la Società italiana per le donne in filosofia (Swip-It, dall’acronimo inglese), presieduta da Marina Sbisà. Domani e giovedì si tiene, sul tema della comunicazione digitale, il primo convegno nazionale della Società all’Università di Modena, dove insegna Carla Bagnoli, autorevole filosofa morale e teoretica, con affiliazione anche a Oslo, a lungo docente negli Stati Uniti, di cui è da poco uscito il volume Teoria della responsabilità presso il Mulino. Con Bagnoli, componente del direttivo Swip, abbiamo parlato di pensiero femminile, rapporti di potere accademico e iniziative concrete per migliorare la situazione.
La domanda posta da un uomo può sembrare provocatoria. Ma pare legittimo chiedere perché un’associazione di donne filosofe in Italia, proprio ora? Con quali obiettivi?
Se non ora, quando? L’esigenza di una società delle donne in filosofia è stata sentita da molte da molto tempo. Si è concretizzata, come spesso succede, per la convergenza di molti fattori. Una spinta decisiva è stata data da un nucleo di giovani intraprendenti filosofe attive nella Società di Filosofia Analitica (Sifa). Tuttavia, la società è molto composita e aperta ai diversi ambiti disciplinari e metodologici. Sebbene modellata su altre società Swip già attive negli Usa e in Europa, si è ritagliata la sua agenda in risposta alle peculiarità della realtà sociale e accademica italiana. L’obiettivo generale della Swip-It (swipitalia.wordpress.com) è di promuovere e sostenere il lavoro filosofico delle donne, di denunciare e contrastare la discriminazione di genere nell’accademica. Uno degli scopi principali è diffondere le prospettive femminili o femministe, che oggi formano una costellazione molto variegata. Ma sarebbe un errore limitare le aspirazioni della Swip-It alla diffusione dei cosiddetti 'studi di genere'. La società ha un ruolo politico, nel senso che si impegna a informare sulla presenza delle donne in accademia e a promuovere un’agenda di contrasto della discriminazione di genere. Questa vocazione politica contraddistingue la Swip-It e la differenzia da altre società scientifiche che hanno già adottato buone pratiche.
Da una ricerca che avete condotto emerge che nei dipartimenti di Filosofia il rapporto negli organici è di 7 a 3 in favore degli uomini. Quali possono essere le cause più probabili di questa disparità, anche considerata l’alta percentuale di laureate in filosofia?
Le cause dell’emarginazione delle donne in accademia sono complesse e stratificate, non diversamente da quelle che si riscontrano in altri ambiti. La marginalità e marginalizzazione delle donne e la loro assenza da posizioni apicali è un fenomeno che non colpisce solo l’accademia. Ma l’accademia si dimostra particolarmente restìa e conservatrice, tende a riprodursi, e a mantenere schemi di esclusione che contraddicono i fini costitutivi dell’istituzione universitaria. Rispetto ad altri ambiti umanistici, forse la filosofia ha subito di più l’influenza di stereotipi maschili associati all’attività intellettuale.
Chi giustifica lo status quo afferma che la selezione è meritocratica, con esami e concorsi per titoli. Ovviamente, vi sono antiche stratificazioni di potere maschile e distorsioni nel reclutamento all’interno dell’università, come in altre istituzioni. Ciò detto, la filosofia ha qualche particolarità che la rende più impermeabile alla parità di genere?
Credo che nessuno possa “giustificare” lo status quo, tantomeno appellandosi all’argomento fasullo della meritocrazia. Avanzare questo come un “argomento di giustificazione” è segno palese di autoinganno e, soprattutto, impone un danno morale aggiuntivo a chi è oggetto di discriminazioni. Lo dimostrano molti studi di psicologia sociale, in particolare quelli sul pregiudizio implicito. In Italia, poi, l’assenza di mobilità e la resistenza degli atenei ad accogliere “esterni” è una condizione che paralizza la ricerca, penalizza i ricercatori più indipendenti e aggrava la marginalizzazione delle donne. La filosofia è una disciplina che insegna a usare la ragione e la ragione non fa distinzioni di genere. Le barriere alla parità sono istituzionali e strutturali. Abbiamo la responsabilità etica e politica di creare un ambiente inclusivo, dove il merito può emergere, non “nonostante” il genere, ma indipendentemente da esso.
Il pensiero femminile (e femminista) negli ultimi decenni ha dato importanti contributi al rinnovamento dei temi filosofici e ha avvicinato la riflessione alla concretezza individuale di emozioni, relazioni e rapporti di potere. Ciò discende, a suo parere, da una prospettiva specifica delle filosofe in quanto donne, da una reazione alla condizione delle donne nella società e nell’accademia o ha un’altra spiegazione?
C’è senza dubbio una fioritura degli studi di genere. Non sono un’esperta di questi temi, ma se penso ai dibattiti interni alla filosofia angloamericana, direi che c’è stata una fortunata convergenza di interessi, intra-disciplinari e inter-disciplinari. Per esempio, il tema delle emozioni citato come tema paradigmatico “del pensiero femminile” è frequentato da filosofi della mente, filosofi morali, filosofi teoretici, filosofi politici e neuroeticisti che adottano metodi di esplorazione molto differenti. Credo che sia importante considerare questa diversità, piuttosto che insistere sulle prerogative filosofiche di una presunta “sensibilità femminile”. Fare il contrario è limitante e non sono sicura che vada a vantaggio delle donne o di altre minoranze. Il punto essenziale è che bisogna garantire a tutte le voci, qualsiasi sensibilità filosofica vogliano esprimere, che possano trovare spazio e ascolto. La disparità di genere è una forma di ingiustizia sociale e politica, ma è anche un enorme ostacolo alla ricerca scientifica.
Superate le discriminazioni di genere, rimarrà uno specifico filosofico femminile da coltivare anche a sé, per esempio con un’associazione, o ciò rischia di perpetuare una separazione artificiosa?
Non credo vi sia uno “specifico filosofico femminile”. Credo, piuttosto, che vi sia un pluralismo di orientamenti filosofici, e questa è una ricchezza da proteggere. Ma siamo lontani dal superamento della discriminazione di genere. Mi contenterei, per ora, che ci si rendesse conto della sua gravità e ci si ponesse il problema di come porvi rimedio. Le cause della discriminazione devono essere affrontate da una politica accademica attenta alle dinamiche sociali e territoriali. Come Swip, vogliamo dare un contributo concreto. Per esempio, stiamo lavorando a un osservatorio, che svolge funzioni di monitoraggio e ricognizione delle presenze femminili in posizioni accademiche e di ricerca in Italia. Inoltre, stiamo creando un programma di mentorato, una misura già adottata all’estero, dimostratasi molto efficace. Questi programmi consentono a chi intraprende la carriera accademica di poter beneficiare del consiglio e della esperienza di persone che hanno già una posizione consolidata. Questa relazione fiduciaria dà accesso a informazioni che altrimenti rimangono secretate e permette di comprendere quei meccanismi di selezione ed esclusione che non sono trasparenti. Il mondo accademico è regolato da norme non scritte, che spesso custodiscono e tramandano privilegi. Il mentorato aiuta a identificare le barriere strutturali di genere e, quindi, aumenta le opportunità delle persone in posizioni svantaggiate.