PIERANGELO SEQUERI: «INTUIZIONE CHE SUPERA I PREGIUDIZI POSITIVISTICI»Ai miei studenti di solito dico: per conoscere la tradizione su Gesù, non occorre interrogare tutta la storia del mondo o fare innumerevoli comparazioni (come invece oggi accade, perché il cristianesimo è stato diffuso e fatto conoscere a tutti, con l’inevitabile infittirsi della selva delle interpretazioni). In realtà, non abbiamo molto di più dei Vangeli. Questo fatto mi induce a proporre due considerazioni. In primo luogo, ciò che nei Vangeli impressiona – deponendo a favore della serietà della loro testimonianza – è che i garanti della loro attendibilità sono d’altra parte costretti a figurare, negli stessi racconti evangelici, come protagonisti del quotidiano fraintendimento di colui di cui erano discepoli, cioè di Gesù. Questi testi, concepiti certamente con un’intenzione kerigmatica, quindi anche apologetica e propagandistica (nel senso più alto della parola), contengono autorevolmente non solo la testimonianza su Gesù, ma anche la cronaca del quotidiano fraintendimento di coloro che ne garantivano l’attendibilità.Questo fatto – verrebbe da dire con una battuta – è quasi una prova dell’esistenza dello Spirito Santo! Proviamo infatti a calarci nella situazione: quando si leggevano i testi evangelici, di fronte al nome di Pietro, Giovanni o Giacomo, per fare degli esempi, si levava il capo e si stava in religioso silenzio. Ora, però, in quei testi c’è scritto anche (senza peraltro che ci fosse bisogno di scrivere una tale storia, perché il cristianesimo aveva già una dogmatica, una liturgia, una misterica) che Pietro non ha capito Gesù, Giuda l’ha tradito, quell’altro l’ha abbandonato, l’altro ancora voleva fare la propaganda secondo il proprio modo di vedere… Ebbene, per esprimere una tale sconcertante verità bisogna avere un coraggio straordinario, che si può pensare solo dello Spirito Santo, perché io non ho ancora mai visto nessun ciclostilato parrocchiale e nemmeno una enciclica papale così critici nei confronti della propria parte! E tuttavia credo che questa peculiarità delle Scritture sia del tutto pertinente, perché soltanto le Scritture sono ispirate, nel senso inteso anche dal dogma cattolico quando afferma che in esse è presente una qualità differenziale della confessione della fede (che è insieme apologetica e autocritica, quando viene dallo Spirito) che non si è mai più riprodotta a quell’altezza. Questo fatto mi impressiona molto e trovo che solleciti un confronto serio con questa testimonianza.In secondo luogo, si impone all’attenzione l’atteggiamento che Gesù ha rispetto al punto cruciale e delicato di Dio e del rapporto dell’uomo con Dio. Io vedo Gesù come folgorato da un’intuizione, da una percezione, si potrebbe dire anche da una fede (non ho paura di questo termine, giacché la stessa Lettera agli Ebrei parla della fede di Gesù, intesa non in senso intellettualistico ma dal punto di vista del legame) nei confronti di Dio, del Padre, che potrebbe lasciarsi esprimere in questi termini: «Voglio che vi affidiate totalmente a Lui, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze, come dice la vecchia Legge, a costo di essere io in secondo piano, e sapendo anche che ci sono cose che non debbono essermi chieste perché solo il Padre le conosce».Il rigore di questa mediazione risplende anche nel fatto che in Gesù vedo un<+corsivo> unicum<+tondo>, uno cioè che non parla semplicemente di Dio in terza persona, come un profeta. Questo è clamoroso, perché rispetto all’antica Legge di Dio nessuno si sarebbe permesso di dire: «Ma io vi dico…», come invece Gesù fa (cfr. Mt 5, 21 ss.), men che meno un uomo religioso, il quale sa che non ci si può accreditare così. Questo modo di fare di Gesù avrebbe suscitato dubbi anche in me, come del resto in tutti, per la sua enormità. E invece ne viene una fede che corrisponde alla sua, la quale osa un tal modo di esprimersi, manifestando al tempo stesso anche la chiara consapevolezza della differenza fra lui e Dio (in quanto egli ne è la rivelazione), come quando ad esempio Gesù dice che neanche il Figlio dell’uomo sa quando verrà la fine del mondo, o che stare alla sua destra o alla sua sinistra lo decide non lui ma il Padre.A mio parere è qui il nocciolo della questione. In una cultura come la nostra, piena ancora di vieti pregiudizi positivistici, Vattimo si apre e dice: i racconti evangelici mi dicono che qui è accaduto qualcosa di enorme per il nostro destino ed io mi trovo all’interno di questo annuncio, non ho motivo per non esservi. A mia volta, io faccio un’operazione simmetrica: anziché esprimermi – come sarebbe fin troppo facile fare – sul fondamento della resurrezione, della missione trinitaria del Figlio, ecc., vorrei dire: quando di notte mi interrogo sulle cose sulle quali è giusto che ciascuno si interroghi per essere onesto nel renderne ragione, ciò che mi tiene rispetto al cristianesimo è questo: mi sentirei un vigliacco se non continuassi ad avere la stessa fede di Gesù.
PIERANGELO SEQUERI: «INTUIZIONE CHE SUPERA I PREGIUDIZI POSITIVISTICI»Ai miei studenti di solito dico: per conoscere la tradizione su Gesù, non occorre interrogare tutta la storia del mondo o fare innumerevoli comparazioni (come invece oggi accade, perché il cristianesimo è stato diffuso e fatto conoscere a tutti, con l’inevitabile infittirsi della selva delle interpretazioni). In realtà, non abbiamo molto di più dei Vangeli. Questo fatto mi induce a proporre due considerazioni. In primo luogo, ciò che nei Vangeli impressiona – deponendo a favore della serietà della loro testimonianza – è che i garanti della loro attendibilità sono d’altra parte costretti a figurare, negli stessi racconti evangelici, come protagonisti del quotidiano fraintendimento di colui di cui erano discepoli, cioè di Gesù. Questi testi, concepiti certamente con un’intenzione kerigmatica, quindi anche apologetica e propagandistica (nel senso più alto della parola), contengono autorevolmente non solo la testimonianza su Gesù, ma anche la cronaca del quotidiano fraintendimento di coloro che ne garantivano l’attendibilità.Questo fatto – verrebbe da dire con una battuta – è quasi una prova dell’esistenza dello Spirito Santo! Proviamo infatti a calarci nella situazione: quando si leggevano i testi evangelici, di fronte al nome di Pietro, Giovanni o Giacomo, per fare degli esempi, si levava il capo e si stava in religioso silenzio. Ora, però, in quei testi c’è scritto anche (senza peraltro che ci fosse bisogno di scrivere una tale storia, perché il cristianesimo aveva già una dogmatica, una liturgia, una misterica) che Pietro non ha capito Gesù, Giuda l’ha tradito, quell’altro l’ha abbandonato, l’altro ancora voleva fare la propaganda secondo il proprio modo di vedere… Ebbene, per esprimere una tale sconcertante verità bisogna avere un coraggio straordinario, che si può pensare solo dello Spirito Santo, perché io non ho ancora mai visto nessun ciclostilato parrocchiale e nemmeno una enciclica papale così critici nei confronti della propria parte! E tuttavia credo che questa peculiarità delle Scritture sia del tutto pertinente, perché soltanto le Scritture sono ispirate, nel senso inteso anche dal dogma cattolico quando afferma che in esse è presente una qualità differenziale della confessione della fede (che è insieme apologetica e autocritica, quando viene dallo Spirito) che non si è mai più riprodotta a quell’altezza. Questo fatto mi impressiona molto e trovo che solleciti un confronto serio con questa testimonianza.In secondo luogo, si impone all’attenzione l’atteggiamento che Gesù ha rispetto al punto cruciale e delicato di Dio e del rapporto dell’uomo con Dio. Io vedo Gesù come folgorato da un’intuizione, da una percezione, si potrebbe dire anche da una fede (non ho paura di questo termine, giacché la stessa Lettera agli Ebrei parla della fede di Gesù, intesa non in senso intellettualistico ma dal punto di vista del legame) nei confronti di Dio, del Padre, che potrebbe lasciarsi esprimere in questi termini: «Voglio che vi affidiate totalmente a Lui, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze, come dice la vecchia Legge, a costo di essere io in secondo piano, e sapendo anche che ci sono cose che non debbono essermi chieste perché solo il Padre le conosce».Il rigore di questa mediazione risplende anche nel fatto che in Gesù vedo un<+corsivo> unicum<+tondo>, uno cioè che non parla semplicemente di Dio in terza persona, come un profeta. Questo è clamoroso, perché rispetto all’antica Legge di Dio nessuno si sarebbe permesso di dire: «Ma io vi dico…», come invece Gesù fa (cfr. Mt 5, 21 ss.), men che meno un uomo religioso, il quale sa che non ci si può accreditare così. Questo modo di fare di Gesù avrebbe suscitato dubbi anche in me, come del resto in tutti, per la sua enormità. E invece ne viene una fede che corrisponde alla sua, la quale osa un tal modo di esprimersi, manifestando al tempo stesso anche la chiara consapevolezza della differenza fra lui e Dio (in quanto egli ne è la rivelazione), come quando ad esempio Gesù dice che neanche il Figlio dell’uomo sa quando verrà la fine del mondo, o che stare alla sua destra o alla sua sinistra lo decide non lui ma il Padre.A mio parere è qui il nocciolo della questione. In una cultura come la nostra, piena ancora di vieti pregiudizi positivistici, Vattimo si apre e dice: i racconti evangelici mi dicono che qui è accaduto qualcosa di enorme per il nostro destino ed io mi trovo all’interno di questo annuncio, non ho motivo per non esservi. A mia volta, io faccio un’operazione simmetrica: anziché esprimermi – come sarebbe fin troppo facile fare – sul fondamento della resurrezione, della missione trinitaria del Figlio, ecc., vorrei dire: quando di notte mi interrogo sulle cose sulle quali è giusto che ciascuno si interroghi per essere onesto nel renderne ragione, ciò che mi tiene rispetto al cristianesimo è questo: mi sentirei un vigliacco se non continuassi ad avere la stessa fede di Gesù.
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